Una folla così non l’avevano mai vista, nel museo che ospita il tesoro della basilica di San Isidoro a Leòn, nel nord della Spagna, uno dei più maestosi esempi di architettura romanica dell’intera Europa. Ad attirare tanti fedeli e curiosi, una coppa molto speciale, visto che si tratterebbe addirittura di quella usata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena. Insomma, il Santo Graal. Quello vero.
IL CALICE CONSERVATO A LEON: È IL SANTO GRAAL?
A sostenere questa tesi, è il libro “I Re del Graal” scritto dagli storici medioevali spagnoli Margarita Torres Siviglia e José Miguel Ortega del Rio, presentato al pubblico a fine marzo. L’indagine- durata tre anni e commissionata dal Ministero della Cultura per approfondire la storia delle opere di origine islamica conservate nella Real Collegiata di San Isidoro- ha portato ad un risultato clamoroso ed imprevisto. I due ricercatori sono infatti arrivati alla conclusione -“senza possibilità di errore”, dicono- che l’oggetto più ricercato e misterioso della Cristianità si trovi nella capitale della Castiglia e Leòn da quasi mille anni.
A dar loro questa inequivocabile certezza, sono due manoscritti egiziani risalenti al XIV secolo. In base alla ricostruzione degli storici, quella coppa, scavata in un blocco di onice, venne saccheggiata dagli Arabi nella Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme- dove si trovava dal IV secolo- e finì al Cairo, in possesso del Califfato Fatimide.
Quando in Egitto, nel 1054, esplose una terribile carestia, l’emiro di Denia– in territorio spagnolo- offrì di mandare viveri in cambio dell’ oggetto trafugato. Una volta nelle sue mani, egli lo donò- come pegno di pace- a Ferdinando il Grande, re di Castiglia e re consorte di Leòn. Solo in seguito, la coppa venne incastonata in oro e pietre preziose e da allora è nota come “il calice dell’Infanta Donna Urraca“, la figlia del sovrano.
IL COMPLESSO DELLA REAL COLLEGIATA DI SAN ISIDORO, IN SPAGNA
Il fatto che il manufatto in onice sia scheggiato, a detta dei due storici, sarebbe un’ulteriore conferma di quel travagliato viaggio dalla Terra Santa fino in Occidente testimoniato dai testi medioevali. “Tutti i pezzi dell’enorme puzzle che non combaciavano ora si incastrano”, ha detto Josè Manuel Ortega. Eppure, ammette, restano interrogativi ancora aperti: ad esempio, non si sa dove fosse la reliquia prima del IV secolo.
La collega Torres ha ricordato che già in passato l’abate di San Isidoro, Antonio Viñayo, aveva ipotizzato che quel calice fosse proprio il Santo Graal e altri indizi interessanti arriverebbero dai dipinti del Panteon dei Re, ovvero la cappella funeraria della famiglia reale nel medesimo complesso architettonico.
Le affermazioni dei due ricercatori spagnoli hanno sollevato molto clamore in Spagna e anche- comprensibilmente- molte critiche. “Il Santo Graal è solo un’invenzione letteraria del XII secolo, priva di fondamento storico. Non si può cercare qualcosa che non esiste“, ha commentato glaciale Carlo de Ayala, anch’egli storico medioevale presso l’Università di Madrid.
Più cauta l’americana Therese Martin, storica dell’arte, profonda conoscitrice di San Isidoro di Leòn .”I Medioevalisti tendono ad interpretare i racconti del Graal in chiave simbolica. Sono molto curiosa di leggere quello che c’è scritto nel libro. Forse i due autori hanno trovato delle fonti finora trascurate. Ma anche se l’Infanta Urraca pensava che quello fosse la coppa dell’Ultima Cena, sembra difficile sostenere una simile teoria al giorno d’oggi”, ha detto.
IL LIBRO DEI DUE STORICI SPAGNOLI
Di sicuro, però, le polemiche non fanno altro che amplificare l’eco di questa scoperta. Subito dopo l’annuncio, centinaia di turisti hanno affollato San Isidoro per vedere di persona quel calice tenuto in mano da Gesù Cristo. Tanto che la direttrice del museo della Basilica , Raquel Jaen, ha dovuto rimuovere il reperto dalla teca nella quale era esposto, in attesa di predisporre uno spazio sufficientemente ampio, adeguato alla grande affluenza di pubblico. “Qualcuno viene per motivi religiosi, altri per curiosità, ma ci sono anche degli scettici”, ha spiegato. “In ogni caso, il libro è basato su criteri scientifici. Spetta ad altri valutare che se le conclusioni siano valide o meno.”
Da parte sua, padre Antonio Trobajo, addetto alle pubbliche relazioni per la Diocesi di Leòn, non si scompone. “Spero che il calice non sia sfruttato per promuovere il turismo. È irrilevante per la fede sapere se sia il vero Santo Graal oppure no. Per chi crede, come me, non fa differenza se la coppa del Cristo sia qui o a Valencia o da qualche altra parte. Io continuerò a credere, non nell’oggetto, ma nella persona.”
SABRINA PIERAGOSTINI