Ormai è lontano, lontanissimo, e non possiamo più né osservarlo, né studiarlo. Ma i dati raccolti durante il suo passaggio ravvicinato, quelli sì, possono essere oggetto di analisi e di valutazioni. Stiamo parlando di ‘Oumuamua, il primo visitatore interstellare di cui siamo a conoscenza, un “messaggero”- come significa il suo nome in hawaiano- arrivato da chissà dove. A oltre un anno dalla sua fugace comparsa, un articolo scritto da due astronomi apre la strada ad un’interpretazione scientifica sorprendente.
Quel corpo anomalo, a forma di sigaro, sottile ma lungo circa un chilometro, di colore rossastro, è stato avvistato nel settembre 2017 dall’osservatorio Pan-STAARs 1, alle Hawaii, ed è apparso subito molto singolare. Per la sua forma, certamente, ma anche per il suo moto e per la sua struttura: Oumuamua non orbita attorno al Sole, ma proviene dallo spazio profondo, con caratteristiche uniche proprie sia degli asteroidi che delle comete. Qualcuno ha persino ipotizzato che potesse trattarsi di un’astronave: il SETI però non ha captato alcuna emissione con i suoi radiotelescopi. Così, il misterioso oggetto spaziale è stato archiviato come strano sì, ma del tutto naturale.
A sollevare seri dubbi su questa conclusione, sono ora due ricercatori del Centro di Astrofisica Harvard-Smithsonian, Shmuel Bialy e Abraham Avi Loeb. Quest’ultimo fa parte del comitato del progetto Breakthrough Starshot, promosso dal miliardario russo Yuri Milner per individuare forme di intelligenza extraterrestri. Il loro studio, intitolato “Could Solar Radiation Pressure Explain ‘Oumuamua’s Peculiar Acceleration?” (Potrebbe la pressione della radiazione solare spiegare l’accelerazione particolare di ‘Oumuamua?) è stato da poco pubblicato online su ArXiv.org. In sostanza, i due astronomi sostengono che quell’oggetto interstellare, dopo tutto, potrebbe essere davvero un manufatto alieno: una sorta di sonda spinta dalla luce.
Proprio il progetto al quale il professor Loeb partecipa ha già ipotizzato di lanciare entro breve migliaia di “vele solari”- dei quadrati sottilissimi, dotati di microchip, GPS, telecamere e sensori- alimentate da un laser che permetterebbe loro di raggiungere velocità stratosferiche (circa il 20% di quella della luce) in modo di raggiungere nel giro di pochi anni il complesso stellare a noi più vicino, quello formato dalle tre stelle Alpha Centauri, e raccogliere informazioni sul pianeta roccioso che orbita attorno alla nana rossa, Proxima b. Già nel 2010, la JAXA, l’ente spaziale giapponese , ha lanciato una sonda- Ikaros– che si muove grazie all’energia solare. Dunque, una realtà per la nostra tecnologia attuale.
Ecco perché Bialy e Loeb, per provare a spiegare il comportamento peculiare di ‘Oumuamua, hanno incluso anche “la possibilità che si possa trattare di una vela di origine artificiale.” Un’ipotesi azzardata, alla quale sono giunti dopo aver esaminato le varie anomalie nel comportamento di quel’oggetto oblungo osservato l’anno scorso. Aveva un’alta densità, prova della presenza di metalli e roccia, come un asteroide. Però conteneva anche una grande quantità di ghiaccio, tipico delle comete. Motivo per cui, hanno sostenuto tutti gli altri astronomi, anziché rallentare, come ci si aspettava, la sua velocità è andata via via aumentando: nell’avvicinarsi al Sole, il ghiaccio evaporando le ha dato quella spinta in più. Ma quello stesso ghiaccio avrebbe anche dovuto formare la classica “coda” luminosa, che nessuno ha però visto. Non solo, questi gas provocati dal calore avrebbero dovuto modificare la sua rotazione. Altro elemento non riscontrato.
Così, Bialy e Loeb suggeriscono questa spiegazione: si tratta di una vela meccanica, progettata per sfruttare come propellente la luce stellare attraverso lo spazio. Rispondendo via email al sito Universe Today, il professor Loeb ha scritto: “Spieghiamo l’eccesso di accelerazione dopo aver superato il Sole come il risultato della forza che la luce solare esercita sulla sua superficie. Affinchè questa forza giustifichi l’eccesso di accelerazione misurata, l’oggetto ha bisogno di essere estremamente sottile, nell’ordine di una frazione di un millimetro in spessore, ma decine di metri in lunghezza. Questo rende l’oggetto leggero per la sua superficie e gli consente di agire come una vela solare. La sua origine potrebbe essere naturale (nel mezzo interstellare o nei dischi proto-planetari) o artificiale.”
Eppure, ha stabilito il SETI, da quel corpo in rapido movimento non arrivava alcun segnale, non c’era alcuna trasmissione in atto. Bialy e Loeb lo spiegano così: forse è un relitto, una vela solare ormai non più funzionante, alla deriva nel cosmo, in balia dei venti interstellari. Insomma, la prova di una antica tecnologia aliena, che dovrebbe essere studiata dall’archeologia spaziale per scoprire le civiltà del passato esistite nella Via Lattea. Il professor Loeb lo ha di recente scritto in un articolo su Scientific American: “Trovare tracce di spazzatura spaziale di origine artificiale fornirebbe una risposta affermativa alla vecchia domanda: siamo soli? Ciò avrebbe un impatto drammatico sulla nostra cultura e aggiungerebbe una nuova prospettiva cosmica al significato dell’attività umana.”
Ma resta aperta un’altra possibilità. Sempre a Universe Today, Loeb ha dichiarato che ‘Oumuamua potrebbe anche essere una sonda inviata per una missione di ricognizione nella regione interna del Sistema Solare alla ricerca di tracce di vita. Non sarebbe insomma uno tra milioni e milioni di oggetti inviati a caso nella galassia, ma uno specifico con un compito specifico: visitare proprio noi. “‘Oumuamua potrebbe essere un pezzo operativo di tecnologia aliena che è arrivato per esplorare il nostro sistema solare, nello stesso modo in cui noi speriamo di esplorare Alpha Centauri usando Starshot e una tecnologia simile.”
SABRINA PIERAGOSTINI