Una luce lontana può aiutarci a capire la presenza della vita nello spazio. È il nuovo approccio alla atavica domanda (“siamo soli nell’universo?”) proposto da alcuni ricercatori: un particolare bagliore emesso dai pianeti, rilevato grazie i più potenti telescopi a nostra disposizione, potrebbe dare la conferma dell’esistenza di creature biologiche- i primi extraterrestri accertati dalla scienza.
UN BAGLIORE EMANATO DA UN MONDO LONTANO RIVELERÀ LA PRESENZA DI VITA?
Alcuni mondi alieni, infatti, potrebbero brillare di colori spettacolari. A creare quell’aura luminescente, gli organismi che li popolano come risposta alle radiazioni potenzialmente distruttive emesse dai loro soli. Ad esempio, la luce ultravioletta: si è sempre pensato che i raggi UV espulsi dalle stelle rosse più giovani e più attive significassero la morte istantanea di ogni forma di vita. Invece, c’è un modo nel quale alcune creature riescono a difendersi, producendo- nello stesso tempo- una forte luminosità. È un fenomeno detto “biofluorescenza fotoprotettiva”.
Ne parla una nuova ricerca pubblicata dalla Royal Astronomical Society, come spiega un articolo del quotidiano britannico The Independent. Il punto di partenza è stata l’osservazione del comportamento di un particolare animale molto diffuso nei nostri mari. “Sulla Terra, ci sono alcuni coralli che usano la biofluorescenza per trasformare le dannose radiazioni ultraviolette del Sole in innocue lunghezze d’onda visibili, creando una splendida luminosità”, ha detto la coautrice dello studio, Lisa Kaltenegger, professoressa associata di astronomia e direttrice dell’Istituto Carl Sagan della Cornell University. “Forse tali forme di vita possono esistere anche su altri mondi, lasciandoci un segno rivelatore per individuarli.”
LA BIOFLUORESCENZA DEI CORALLI NEI NOSTRI MARI
Gli astronomi ritengono che molti dei pianeti al di fuori del nostro sistema solare orbitino attorno a stelle di tipo M- stelle rosse, meno calde del nostro Sole. Sono le più diffuse nell’universo: i mondi che esse illuminano potrebbero assorbire i raggi dannosi ultravioletti in colori più lunghi e meno pericolosi esattamente come avviene sulla Terra. Se così fosse, da quei pianeti si irraggerebbe un bagliore intenso che darebbe la prova della presenza di vita aliena. “La biofluorescenza rivelerebbe biosfere nascoste su nuovi mondi attraverso quella luminosità temporanea che si produce quando la luce di una stella colpisce il pianeta”, dice ancora la Kaltenegger.
I ricercatori, analizzando i pigmenti fluorescenti dei nostri coralli marini, hanno potuto ipotizzare che colori potremmo vedere luccicare da altri mondi alieni, a secondo del tipo di superficie, dell’ atmosfera e della presenza o meno di nubi, simulando l’intensità e le caratteristiche del segnale che potrebbe essere rilevato dalle nostre strumentazioni. Il primo candidato ad essere studiato con questo nuovo metodo è Proxima b, il pianeta che orbita attorno a Proxima Centauri- la stella a noi più vicina, una nana rossa- potenzialmente adatto ad ospitare la vita. E potremmo capire se la vita lassù c’è davvero osservandone semplicemente la luminosità.
IL PRIMO PIANETA AD ESSERE STUDIATO CON LA BIOLUMINESCENZA: PROXIMA B
“Questi tipi di esopianeti sono ottimi obiettivi per la nostra ricerca e queste meraviglie luminescenti sono tra le nostre migliori scommesse per trovare la vita”, ha commentato Jack O’Malley-James, autore principale dello studio, anch’egli ricercatore dell’Istituto Carl Sagan. Dopo Proxima b, toccherà a Ross-128 (nella costellazione della Vergine, a 11 anni luce da noi, con un pianeta di tipo terrestre in orbita), LHS-1140 (nella costellazione della Balena, a circa 40 anni luce e sempre con un pianeta roccioso) e al sistema di TRAPPIST-1 (nella costellazione dell’Acquario, con ben 7 pianeti). “È un modo del tutto nuovo per cercare la vita nell’universo: basta individuare un mondo alieno che brilla delicatamente nei nostri più potenti telescopi.”
IL SISTEMA PLANETARIO DI TRAPPIST-1
Gli autori dell’articolo auspicano che, presto, gli osservatori siano sviluppati proprio in questa direzione, per essere in grado di catturare quel particolare bagliore mentre viene inviato nel cosmo. “È un grande obiettivo per la prossima generazione di telescopi, capaci di catturare abbastanza luce da piccoli pianeti per analizzare i segni di vita, come il Very Large Telescope in Cile”, ha confermato la Kaltenegger. Ovviamente, nello stesso modo, dall’altra parte della galassia, qualcuno potrebbe aver già individuato la nostra biofluorescenza e aver scoperto che sul nostro pianeta esiste la vita…