«Cerchiamo le sonde aliene per scoprire la vita intelligente»

Non limitiamoci all’ascolto, mettiamoci attivamente alla ricerca di prove tecnologiche che dimostrino l’esistenza di intelligenze extraterrestri. È questo l’invito che Avi Loeb, ex direttore del Dipartimento di Astronomia di Harvard, rivolge ai suoi colleghi impegnati nel SETI, acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence. E lo fa a pochi giorni dall’annuncio del rilevamento di un segnale radio ancora misterioso proveniente da una porzione del cielo molto vicina a noi, dove si trova la stella Proxima Centauri con i suoi pianeti.

L'ASTROFISICO AMERICANO AVI LOEB

L’ASTROFISICO AMERICANO AVI LOEB

Con un articolo pubblicato su ScientificAmerican.com, lo studioso americano ora a capo dell’Istituto di Teoria e Computazione nel Centro di Astrofisica di Harvard-Smithsonian, punta la sua attenzione sulle sonde spaziali. Le nostre- da Voyager in poi- attualmente alla deriva nel cosmo potrebbero indirettamente annunciare la nostra esistenza ad altre creature intelligenti nello spazio. Ma ancora più importanti sono quelle intenzionalmente inviate allo scopo di individuare civiltà interstellari e che il SETI potrebbe provare a cercare. Una variabile in più da inserire nella famosa formula di Drake che calcola ipoteticamente il numero di società spaziali evolute dalle quali potremmo ricevere un segnale radio e che ancora non contempla la possibilità di trovare delle sonde aliene direttamente sulla soglia di casa- la stessa differenza che intercorre tra spedire una lettera per posta ordinaria e chiamarsi in tempo reale con un cellulare.

IL SETI DOVREBBE CERCARE TRACCE DI SONDE ALIENE

IL SETI DOVREBBE CERCARE TRACCE DI SONDE ALIENE

Di questi strumenti tecnologici lanciati nella galassia potrebbero essercene un’infinità: «Il numero di sonde in un volume di spazio interstellare può essere espresso come il numero di stelle moltiplicato per il numero medio di sonde prodotte per stella», scrive Avi Loeb. Il sistema stellare più vicino, quello formato da Alpha Centauri A e B e da Proxima Centauri, dista circa 4 anni luce, ma la sonda più vicina potrebbe trovarsi a una distanza inferiore. «Sarebbe all’interno della distanza Terra- Sole se le civiltà producessero in media un quadrilione di sonde per stella nel corso della loro vita. Se ogni sonda pesasse un grammo, come proposto dall’iniziativa Breakthrough Starshot, la massa totale di un quadrilione di sonde sarebbe paragonabile al peso di un asteroide grande qualche chilometro, del tutto trascurabile nel budget della massa planetaria», spiega l’astrofisico.

Il numero effettivo delle sonde interstellari dipende però anche dall’abbondanza e dalla durata delle civiltà avanzate per stella, dal peso di ogni sonda e da quanto sia sofisticata la tecnologia di produzione. Riconoscerle non dovrebbe essere difficile, perché avrebbero caratteristiche tali da essere ben distinguibili da altri oggetti di origine naturale. E secondo Loeb, potremmo averne già incrociata una. In aperto contrasto con quanto pensano i suoi colleghi, lo scienziato ritiene infatti che lo fosse Oumuamua (“messaggero che arriva da lontano”, in lingua hawaiiana), lo strano oggetto – il primo proveniente da un’altra stella- che ha attraversato il sistema solare alla fine del 2017. «Aveva un aspetto bizzarro, diverso da ogni cometa o asteroide visto in precedenza- dice Loeb che sull’argomento ha scritto un libro di prossima uscita intitolato “Extraterrestrial: The First Sign of Intelligent Life Beyond Earth” (Extraterrestre: il primo segno di vita intelligente oltre la Terra).

UNA RESA ARTISTICA Di OUMUAMUA, IL "MESSAGGERO" INTERSTELLARE

UNA RESA ARTISTICA Di OUMUAMUA, IL “MESSAGGERO” INTERSTELLARE

«Il libro elenca le insolite proprietà di Oumuamua: aveva una forma piatta con proporzioni estreme- mai viste prima tra comete e asteroidi, al pari della sua inusuale velocità iniziale e dell’aspetto luminoso. Inoltre era privo di coda cometaria, ma ciò non di meno mostrava una spinta allontanandosi dal Sole in eccesso rispetto alla forza gravitazionale solare». Se fosse stata una cometa, continua l’astrofisico di Harvard, avrebbe dovuto perdere un decimo della sua massa per sperimentare quella spinta. Invece, l’oggetto interstellare non mostrava molecole a base di carbonio lungo la sua scia, né tremolii o modifiche nel suo periodo di rotazione, come ci si aspetterebbe da getti cometari. L’unica spiegazione a suo avviso è pensare che si trattasse di una vela a energia solare, teorizzata nel 1924 da Friedrich Zender e ora sviluppata dall’attuale generazione di ricercatori.

Dunque, un oggetto artificiale, prodotto da chissà chi, chissà dove e chissà quando, forse un relitto nemmeno più funzionante, che continua a muoversi nel cosmo alimentato dalla luce. Non solo, le sonde interstellari potrebbero anche seguire rotte predeterminate e non percorsi casuali, verso una specifica stella: in questo caso, l’attrazione gravitazionale esercitata dall’astro li guiderà direttamente nella sua direzione. In prossimità della stella, la traiettoria si farà sempre più precisa, permettendo loro di viaggiare attraverso la fascia abitabile per spiare eventuali firme tecnologiche. Nella parte più esterna del sistema solare, le sonde in lento movimento si nasconderebbero in mezzo alle miriadi di rocce ghiacciate che formano la Nube di Oort- a metà strada tra il Sole e il sistema di Alpha Centauri.

SECONDO AVI LOEB, OUMUAMUA POTREBBE ESSERE UN RELITTO ALIMENTATO A ENERGIA SOLARE

UNA SONDA A VELA SOLARE,  PROPOSTA DA BREAKTHROUGH STARSHOT

Se gli Alieni volessero rimanere anonimi- prosegue Avi Loeb- basterebbe che depositassero le loro sonde in questo immenso parcheggio spaziale: una volta partite da qui, non sarebbe più possibile identificare la loro provenienza. E sorprendentemente, anche Oumuamua è passato da lì per entrare nel sistema solare. I dati raccolti sull’oggetto interstellare, tuttavia, sono incompleti: dobbiamo continuare a monitorare lo spazio per trovarne di simili e comprenderli meglio. Forse proprio grazie a loro, a questi “messaggeri” inviati nel cosmo, un giorno potremo avere la certezza di non essere gli unici abitanti della galassia. E di non essere nemmeno i più evoluti.

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