Sembrano comuni sassolini grandi un centimetro o anche meno. Eppure, potrebbero riscrivere quello che conosciamo del sistema solare. Queste piccole pietre scoperte anni fa nel deserto egiziano arrivano infatti da molto lontano, nel tempo e nello spazio, e hanno stupito gli scienziati perché contengono composti micro-minerali che nessuno si aspettava di trovare.
Una volta, questi frammenti componevano un’unica roccia che i geologi hanno chiamato Ipazia, in onore della grande astronoma e matematica alessandrina vissuta nel IV secolo- la prima scienziata della storia. In origine doveva avere un diametro di alcuni metri, ma entrando nella nostra atmosfera e impattando contro il terreno del meteorite originale è rimasto poco o nulla: solo questi piccoli detriti trovati nel 1996 dal geologo egiziano Aly Barakat. Quel pietrisco è subito sembrato insolito e così sono scattate indagini più accurate.
Nel 2013, il professor Jan Kramers ha stabilito che si trattava di materiale di provenienza extraterrestre. Nel 2015, un altro gruppo di ricerca ha annunciate che le pietre non erano parte di comete o meteoriti noti: le analisi infatti evidenziavano una composizione chimica che non ricordava affatto quella consueta delle rocce spaziali rinvenute finora sulla superficie terrestre. Allora i ricercatori dell’Università di Johannesburg, in Sudafrica, li hanno “scannerizzati” e hanno scoperto che i frammenti hanno una struttura senza precedenti, mai riscontrata prima. Perchè Ipazia contiene sì elementi comuni, ma i rapporti sono completamente sbagliati.
Nei meteoriti, ad esempio, prevale nettamente il silicio e il carbonio è in percentuali ridotte. In questi sassolini speciali invece è esattamente il contrario: tanto carbonio, poco silicio. Non solo: contengono anche alluminio allo stato puro– una vera rarità in tutto il sistema solare. E se non bastasse, si trova l’altrettanto rara moissanite, ovvero carburo di silicio, insieme ad un composto di nichel, fosforo e ferro. A sorpresa, poi, sono stati individuati anche grani di fosforo di iodio d’argento e idrocarburi aromatici che impattando con l’atmosfera terrestre si sono fusi e hanno poi formato minuscoli, durissimi diamanti.
Nell’articolo pubblicato dalla rivista di settore Geochimica et Cosmochimica Acta, vengono presentate due ipotesi ugualmente affascinanti per spiegare la provenienza della roccia. La prima propone che Ipazia sia quel che resta di un asteroide nato prima della formazione del nostro Sole. In questo caso, avrebbe più di 4 miliardi e mezzo di anni, proverrebbe da molto, molto lontano – oltre la Nube di Oort- e dopo aver viaggiato nel cosmo avrebbe terminato la sua corsa 28 milioni di anni fa, attratta dall’orbita terrestre, frantumandosi nel deserto africano.
La seconda ipotesi invece contempla un altro scenario: la roccia aliena si sarebbe formata in contemporanea con il nostro sistema solare, utilizzando la medesima polvere cosmica. Ma se fosse proprio così, verrebbe messo in discussione il nostro attuale modello su come abbia avuto luogo questo processo, ovvero una nebulosa di elementi ugualmente dispersi dai quali si sono formati i vari corpi celesti. Ipazia invece non assomiglia a nessun pianeta o corpo celeste del nostro sistema solare.
“Quando abbiamo scoperto che Ipazia era una roccia extraterrestre, è stato sensazionale, ma questi ultimi risultati aprono interrogativi ancora più grandi in merito alla sua origine”, ha detto uno dei membri del team di ricerca, il geologo Marco Andreoli. “Nei cristalli di Ipazia- continua lo studioso- i rapporti degli elementi chimici sono completamente differenti da quelli che abbiamo calcolato sul pianeta Terra o misurato nei vari tipi noti di meteoriti. Elementi unici nel sistema solare”.
SABRINA PIERAGOSTINI