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Cold case 2: Lo strano caso di Travis Walton, rapito dagli Alieni

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5 novembre 1975. Sette uomini stanno tornando a casa, dopo un’intera giornata trascorsa nei boschi, nell’Apache Sitgraves Nazional Forest, in Arizona. Lavorano per il servizio forestale, per ripulire il sottobosco. Mentre percorrono il tragitto che li riporta verso la cittadina in cui abitano, Snowflake, accade qualcosa di imprevisto.

Dal camion vedono, fermo nel cielo, un disco volante: largo circa 5 metri e coperto da una cupola  trasparente, è immobile a mezz’aria. Uno degli operai, Travis Walton- all’epoca 22enne- salta giù dal mezzo  e si avvicina di corsa all’oggetto misterioso. Le urla di richiamo dei compagni sono inutili: la curiosità del giovane boscaiolo è più forte. Ma quando è a poca distanza dal disco volante, il ragazzo viene investito da un raggio di luce verde-blu emesso  dall’Ufo. Gli altri lo vedono – come in una scena al rallentatore- balzare all’indietro, completamente avvolto dal fascio luminoso, con tutto il corpo disteso, finchè non cade pesantemente   a terra, qualche metro più indietro. Gli amici lo credono morto e in preda al panico fuggono via, lasciandolo là, esanime. Mezz’ora dopo, tornano indietro per recuperare il corpo: ma il luogo è deserto. Non c’è più il disco volante e non c’è più Travis: né vivo, né morto.

Una volta in paese, allora, avvisano la polizia. Raccontano la loro storia incredibile , sono molto agitati  e in lacrime supplicano lo sceriffo Gillespie di andare a cercare il loro amico. Gli agenti non credono ad una parola. Giunti nel punto preciso del presunto atterraggio alieno, anche loro non trovano nulla. Iniziano a sospettare che la storia fantasiosa nasconda una verità diversa: forse Walton è rimasto vittima di un incidente oppure è stato ucciso e il gruppetto sta cercando di crearsi un alibi.

Intanto le ore volano e del giovane manca ogni traccia. Indossa abiti leggeri, inadatti al clima delle notti autunnali: se è ancora vivo, rischia l’ipotermia. Ma le ricerche effettuate da decine di poliziotti anche con  gli elicotteri non danno esito. Trascorrono i giorni e del caso si interessa la stampa, non solo quella locale. A Snowflake arrivano reporter ed ufologi, attratti dalla storia curiosa. Intervistano la madre e uno dei fratelli di  Travis, Duane, che ammette  quanto entrambi, da bambini,  fossero appassionati di Ufo  e desiderosi di vederne uno da vicino. Rivelazioni che sono interpretate come mezze ammissioni: forse i due ragazzi hanno architettato uno scherzo clamoroso. Eppure, i colleghi di Travis- sottoposti alla macchina della verità- dimostrano di non mentire quando raccontano l’incontro ravvicinato del 3° tipo. “Sono sinceri quando dicono di aver visto un Ufo”, deve riconoscere lo sceriffo .

Arriva il 10 novembre. Sono passati 5 giorni dalla scomparsa e sembrano davvero troppi, anche per un burlone. Quel pomeriggio, Grant Neff riceve una chiamata: è suo cognato, Travis Walton,  che dalla cabina di una stazione di servizio lo supplica di andarlo a prendere “Sto male, vieni subito”, dice al telefono. Grant trova Travis svenuto: indossa ancora gli stessi abiti che portava il giorno della sparizione e ha la barba lunga. In auto, il giovane appare disorientato, confuso, spaventato. E si ammutolisce quando gli chiedono dove è stato per quei lunghi 5 giorni: lui era convinto di essere stato via   per poche ore. Duane non rivela subito alla polizia il suo ritrovamento, vuole proteggere il fratello dalla curiosità e permettergli di riprendersi. E questo attirerà sulla famiglia ulteriori dubbi. Il ragazzo viene anche visitato da due medici che lo trovano sostanzialmente in salute, anche se un po’ disidratato. Ma notano due stranezze: ha il segno di una puntura, sul gomito destro, in un punto che non coincide con  nessuna vena; in più, nelle urine non ci sono chetoni- come invece ci si aspetterebbe, in una persona che dice di non aver toccato cibo da giorni.

Tutto molto sospetto. Specie  dopo che Travis racconta allo sceriffo tutto quello che vissuto in quel lasso di tempo in cui è sparito. Ricorda di aver visto il disco volante, ricorda di essersi avvicinato all’oggetto, ma della scarica di energia  che lo ha stordito non ha memoria. Sa di essersi trovato, ad un certo punto, sdraiato su un lettino, in un luogo spoglio, simile ad una sala operatoria. Attorno a lui, tre figure non umane che descrive così: di bassa statura (non oltre il metro e mezzo), con la pelle grigia di consistenza spugnosa,   grandi teste a cupola e occhi enormi tutti iride, naso e bocca piccolissimi, dita affusolate e prive di unghie. Alla loro vista, Travis dice di aver reagito per difendersi, impugnando a mo’ di arma un cilindro di vetro trovato vicino al lettino. Un atteggiamento minaccioso che intimidisce i tre alieni che se ne vanno. Trevis allora- prosegue il racconto- si sarebbe avviato per quel luogo sconosciuto dalle pareti lisce fino ad una stanza occupata da una sola poltrona. Sedendosi, avrebbe assistito ad uno spettacolo unico: il moto delle stelle e delle costellazioni, come si vedrebbe in un viaggio intergalattico.

 Ma le sorprese non sono ancora finite per lui. Si avvia verso un’apertura nella parete e lì incontra un umanoide, molto alto, di belle fattezze, che si distingue da un essere umano solo per gli occhi, più grandi del normale e di color oro. L’alieno indossa un casco e non risponde alle sue domande: con un sorriso, però, gli fa capire che deve seguirlo. Ecco allora che Trevis si trova in un enorme hangar, pieno di dischi volanti. Incontra lì  altri tre alieni simili al suo accompagnatore, due maschi  ed una femmina, ugualmente silenziosi e cortesi. Gli offrono una mascherina, come quelle usate per l’ossigeno. Ma non appena Trevis la porta al volto, perde i sensi e si ritrova,  all’improvviso, in quel distributore di benzina.

Inutile dire che la versione del giovane Walton non convince: sembra la trama di un film. O chissà, forse  l’allucinazione di un tossicodipendente. Trevis, in effetti, ha fatto uso, qualche volta , di marijuana. La macchina della verità alla quale si sottopone, poi,  lo manda in crisi: tra le varie domande, alcune riguardano anche una condanna subita per frode e lui si contraddice. Risultato: per l’esaminatore, è tutta una menzogna. Trevis si deve essere inventato tutto, magari ispirato dalla storia dei coniugi Barney e Betty Hill, i primi addotti dell’epoca moderna, appena ricostruita in un programma tv.

In seguito, Travis passerà indenne altri due esami alla macchina della verità, ma il primo fallimento lo segnerà per sempre . Di lui si interessano giornalisti e ricercatori. Pochi credono alla sua buona fede, molti sono scettici. Eppure la sua storia appassiona e scatena il dibattito, che non si placa nemmeno con il passare degli anni. Anche perché, nel 1978, il giovane mette nero su bianco la sua traumatica esperienza nel libro “The Walton esperience” – colpevole, dicono però  i detrattori, di essere un po’ troppo romanzato e di contenere evidenti invenzioni letterarie. Da quello stesso libro, 15 anni dopo, verrà tratto il film “Fire in the sky” (“Bagliori nel buio”) , ancora più distante dalla  versione originale  e ancora più fantasioso.

Nel frattempo, il giovane- ormai diventato un padre di famiglia di mezza età- ha continuato a raccontare imperterrito in tutte le trasmissioni e in tutti i convegni la sua storia di addotto. Si è fatto più volte sottoporre a regressioni ipnotiche che non hanno però rivelato nuovi dettagli, come se, in lui, coscienza e memoria incoscia coincidessero  o come se ci fosse un blocco psicologico insormontabile. E il suo caso continua a dividere gli esperti.

Chi lo crede un truffatore, insiste sulla totale mancanza di riscontri oggettivi a tutte le sue affermazioni, punta l’indice sull’uso di droghe ( ammesso anche dagli altri amici testimoni dell’avvistamento) e ritiene che l’uomo abbia astutamente elaborato un racconto immaginario per guadagnare denaro: il libro, il film, le comparsate in tv lo proverebbero.

A favore però della sua versione- ripetuta inalterata da 36 anni a questa parte- giocano altri fattori, come  i test della verità riusciti più volte ( che dimostrano, quanto meno, che egli sia convinto di aver davvero visto quello che dice di aver visto) e la secolare presenza, nelle leggende degli indiani Apache che abitavano queste zone, di misteriosi “abitanti del cielo” che saltuariamente rapivano ignari viandanti.

Nel caso Walton, non manca poi un piccolo giallo: un probabile tentativo di depistaggio, per gettare discredito sui metodi di analisi e dunque sulla fondatezza dell’intera vicenda. Infatti, ad un certo punto si presenta  un cacciatore  che sostiene di aver visto anche lui,   quel 5 novembre del 1975, un Ufo nel bosco e una luce blu squarciare la foresta vicino a Snowflake. L’uomo si sottopone alla macchina della verità, ma l’operatore scopre che riesce ad alterarne i risultati: quel testimone altri non è che un agente dell’Intelligence militare. L’obiettivo, evidente, è dimostrare che i test non sono affidabili e che quindi i ricercatori possono aver sbagliato anche con Travis e con i suoi amici.

E oggi? Oggi Travis Walton ha 58 anni e ha scritto un altro libro sulla sua esperienza. Gira ancora per il mondo, ovunque lo chiamino, per rendere la sua testimonianza. L’ultima tappa, Roma, dove proprio nei giorni scorsi ha preso parte- come ospite d’onore- ad un convegno sui contatti con gli Alieni. La sua tenacia e la sua coerenza hanno persuaso lo scienziato Stanton T. Friedman, illustre  assertore dell’esistenza di civiltà aliene. <Gli E.T ci stanno visitando, non saprei dire se sono già in mezzo a noi, se sono esseri ibridi o cos’altro– ha detto di recente- ma esistono e ci osservano. Conosco molto bene Trevis  Walton e sono solidamente convinto della veridicità della sua storia. E’ il momento di dire che siamo parte di un vicinato galattico e sfortunatamente non siamo noi i più forti del quartiere. Esistono prove schiaccianti che intelligenze extraterrestri sono venute sulla Terra e poche persone, all’interno dei Governi, lo sanno: siamo di fronte ad un Watergate cosmico.>

 In un’intervista concessa al tg di Italia Uno Studio Aperto, Walton , nel ricordare la sua esperienza, ha interpretato così la sua “abduction”:<Credo che il raggio di energia che mi ha colpito sia stato un incidente involontario: evidentemente mi ero avvicinato troppo. Quegli esseri mi hanno preso con loro solo per salvarmi. Tanti addotti raccontano di esperimenti medici ai quali sono stati sottoposti. Io non ricordo nulla del genere, ma sono convinto che sull’astronave gli alieni mi abbiano rianimato. Quella scarica elettrica mi poteva uccidere, anzi, se i miei amici mi avessero soccorso e portato all’ospedale, di sicuro sarei morto.>

Nonostante la  voce pacata e i toni gentili, Travis Walton non ha poi nascosto quanto difficile sia stato, per lui, fare i conti con la realtà che dice di aver vissuto. <Il trauma psicologico che ho subìto è dovuto principalmente al fatto che io ho visto negli occhi quelle strane creature non umane. E ho continuato a sognarle, nei miei incubi notturni, anche in seguito. Ma il punto fondamentale che deve ancora essere spiegato è la presenza degli altri esseri, così somiglianti a noi. Per molto tempo ho rifiutato le interviste e ho cercato di dimenticare, ma poi ho capito che devo convivere con questi ricordi e che devo parlarne, informarne la gente. Perché il pubblico deve sapere che questi fenomeni sono reali, accadono veramente. No, noi non siamo soli nell’Universo.>

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