Se l’universo è pieno di vita, se esistono sparse nel cosmo così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove concrete e verificabili di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali? Insomma, dove sono finiti tutti quanti?
Suona più o meno così quello che è noto come il “paradosso di Fermi”, attribuito proprio al grande scienziato italiano e pronunciato negli anni ’50 a Los Alamos a commento di un presunto avvistamento Ufo. Oltre mezzo secolo dopo, quel paradosso appare ancora più paradossale.
Dopo tutti questi decenni, con lo sviluppo della tecnologia, le nostre conoscenze sulla galassia sono decisamente aumentate. Ora ipotizziamo che nella sola Via Lattea potrebbero esistere 100 miliardi di mondi alieni. Stiamo rapidamente ampliando la nostra nozione di esopianeti, visto che ne abbiamo già individuati a migliaia.
Ormai, più o meno, sappiamo anche dove guardare, per cercare mondi il più possibile simili al nostro. Eppure non si sono fatti grandi passi avanti nella scoperta della vita extraterrestre: finora, nessuno ha potuto portare una singola prova che dimostri che davvero non siamo soli nello spazio infinito.
E allora? Come faceva Fermi, verrebbe da domandarsi: dove sono finiti tutti quanti? Un dilemma che tormenta i ricercatori– accademici ed alternativi- tutti alle prese con questo “Grande Silenzio” diventato la vera, reale sfida della moderna astronomia. Ognuno tenta di dare una risposta a questa totale assenza di qualsivoglia segnale di vita aliena, ma nessuna di esse sembra convincere del tutto.
Ora ci prova lo scrittore canadese di fantascienza Karl Schroeder a trovare un perchè. Parafrasando le parole del ben più famoso autore di “2001: Odissea nello spazio”, Arthur C. Clarke , che diceva: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, Schroeder sostiene invece che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla natura”.
Il ragionamento si basa sulla premessa che una civiltà, per sopravvivere il tempo necessario per progredire in chiave tecnologica, deve per forza diventare “ecologica”: deve essere in grado di non alterare l’ambiente in cui si trova e di non produrre materie di scarto. Ma in questo modo, autoconservandosi al meglio, non lascia dietro di sè le tracce giuste che noi potremmo facilmente scovare. Anzi, con questo comportamento virtuoso si rende praticamente “invisibile”: ciò che è artificiale e ciò che è naturale si fondono e si confondono, specie ai nostri occhi.
Un’altra soluzione al paradosso di Fermi è immaginare che la mancanza di contatti con evolute civiltà aliene sia da imputare al fatto che esse, invece, non esistano più. Ma prima di autodistruggersi o di eliminarsi l’un l’altra in guerre fratricide, potrebbero aver disseminato nello spazio sonde capaci di replicarsi e di moltiplicarsi.
In questo caso, prima o poi dovremmo imbatterci– anche solo per pura fortuna- in uno di questi oggetti frutto di tecnologia extraterrestre. A meno che Schroeder non abbia davvero ragione e queste sonde siano così “verdi” da mimetizzarsi nella natura e da non lasciare segni del loro passaggio…
Ma c’è anche un’altra possibile spiegazione. Non abbiamo trovato, finora, prove di vita extraterrestre semplicemente perchè non saremmo in grado di riconoscerle neppure se ce le trovassimo sotto il naso.
Già lo stesso concetto di vita è complesso dal punto di vista biologico. Sulla Terra, essa si basa su carbonio, ossigeno e idrogeno: definiamo “vivente” un organismo se è in grado di crescere e di riprodursi. Ma non solo: deve anche disporre di un proprio metabolismo grazie al quale riesce a mantenere stabili e controllate le condizioni della temperatura, del Ph e degli altri parametri, assicurando un equilibrio al proprio interno e con l’esterno.
Ma se ci imbattessimo in una forma di vita completamente diversa? Potremmo non capire di che si tratta. Se avesse uno sviluppo lentissimo, o un tipo di riproduzione ignoto, o ancora un metabolismo basato su processi chimici sconosciuti, rischieremmo di archivarla come qualcosa di poco interessante. E perderemmo la scoperta del Millennio…
Senza contare, poi, che potremmo non riconoscere le altre creature cosmiche per il motivo opposto: perchè, chissà, potrebbero essere fin troppo simili a noi, con caratteristiche somatiche così umane da essere del tutto indistinguibili dagli attuali abitanti di questo pianeta.
È questa, in estrema sintesi, la teoria “ex-terrestre” che sta sempre più diffondendosi tra i ricercatori alternativi. Quelli che noi definiamo alieni sarebbero invece i veri, primigeni inquilini della Terra dai quali discenderemmo e con i quali condivideremmo gran parte del patrimonio genetico. Un’affermazione ovviamente non dimostrata e per ora indimostrabile, ma che tra tutte è di sicuro la più inquietante.
SABRINA PIERAGOSTINI