Non uno, ma due crash sarebbero avvenuti a Roswell, nel giro di pochi mesi. È questa la verità raccontata da un ex militare, di stanza alla fine degli anni ’40 presso la base dell’Air Force del New Mexico.
I GIORNALI DELL'EPOCA PARLAVANO DEL DISCO VOLANTE CADUTO A ROSWELL: ERA IL 3 LUGLIO DEL 1947
Una verità sconosciuta e tutta da dimostrare, ovviamente, che raddoppia però gli interrogativi su quanto successo ormai 65 anni fa in questo angolo di America. Se fosse veritiera questa inaudita versione dei fatti, il famigerato episodio (ritenuto il più importante e il più clamoroso dell’ufologia moderna) non sarebbe stato un unicum, ma avrebbe avuto una sorta di “fotocopia”.
A rivelarlo, a molti anni di distanza dalla testimonianza originale, è lo scrittore ed astrologo americano Ray Grasse. Solo ora confessa, in un articolo pubblicato di recente online, di essere stato depositario delle confidenze di un uomo che vide quel presunto, secondo disastro accaduto sempre nel deserto del New Mexico e sul quale aveva mantenuto fino a quel giorno il massimo riserbo.
Venuto in contatto con il sedicente testimone oculare, zio di un suo conoscente, Grasse era riuscito con grande pazienza a guadagnarsene la fiducia. Quell’uomo non cercava soldi, nè fama: anzi, desiderava solo condividere il peso del suo segreto, a patto però che rimanesse tale. In cambio della promessa di non parlare con nessuno delle sue rivelazioni, tra il 1989 e il 1990 l’astrologo aveva potuto intervistare l’ex soldato, ormai già avanti con l’età: due volte per telefono, altre due invece di persona, davanti ad un registratore.
L'AUTOPSIA DELL'ALIENO DI ROSWELL, RIVELATASI UN FALSO
Il suo nome era Irwin Fortman, ma tutti lo conoscevano con il soprannome di Tiny ( noi diremmo “Piccoletto”). Diceva di essere arrivato alla famigerata base del New Mexico nell’autunno del 1947 e di aver assistito ad un avvenimento sconvolgente poco tempo dopo, quando insieme ad altri soldati aveva dovuto ricomporre i cadaveri di strane creature precipitate nel deserto su un mezzo volante. Praticamente, quello che si racconta del famoso crash di Roswell, avvenuto però nel luglio di quell’anno e non in inverno.
Si aprivano così tre scenari: primo, il testimone si stava inventando la storia di sana pianta. Secondo: forse si confondeva semplicemente sulle date. Terzo, il più sconvolgente: era davvero a conoscenza di un altro, distinto incidente identico in tutto e per tutto a quello riportato dalle cronache ufologiche e di cui nessuno aveva mai parlato. La prima ipotesi appariva la più probabile: quel racconto incredibile sembrava privo di riscontri.
Eppure, una prima conferma arrivò a sorpresa da una foto, nella quale Irwin “Tiny” Fortman- recluta 18enne- era ritratto, alla fine del 1947, proprio nella base militare di Roswell. Su quel dettaglio, dunque, non aveva mentito: era stato davvero lì nel periodo indicato. E ciò bastò al suo intervistatore: Fortman gli sembrava un tipo sincero e poteva essere affidabile- o per lo meno, degno di attenzione– anche per quanto riguardava il resto dei suoi racconti.
UN'IMMAGINE DALL'ALTO DELLA BASE AEREA DI ROSWELL
Poco mesi dopo l’uomo morì. I nastri con le registrazioni dei colloqui tra Tiny e lo scrittore americano rimasero così chiusi in un cassetto, dimenticati. Fino a quando, oltre 20 anni dopo, parlando con un amico ufologo Grasse non si è ricordato di quell’ enigmatico, secondo incidente occorso a Roswell ed è andato a “sbobinare” le cassette.
A distanza di due decenni, i nastri risultano un po’ danneggiati ed alcune parole non sono più comprensibili, ma il senso è ben chiaro. E il contenuto è stupefacente. Quello che segue è una sintesi delle confidenze fatte, allora, da Irwin Fortman.
Ray: Prima di tutto, permettimi di chiederti di descrivere la notte nella quale tutto avvenne, a partire dal modo in cui voi foste informati dall’ufficiale al comando.
Tiny: Bè, mi sembra che eravamo appena andati a dormire e…boom! Eravamo rimasti fuori fino a tardi e loro svegliarono me, quest’altro mio compagno e altri due ragazzi nella baracca, ci dissero di vestirci e di radunarci nell’infermeria– che loro chiamavano “stanza preoperatoria”, lontana da tutto il resto. Ci diedero il caffè, si sedettero e iniziarono a parlarci– sai, giusto per capire se eravamo abbastanza svegli e pronti mentalmente, insomma, per evitare che guidassimo le ambulanze fuori strada o cose del genere, capito…
Ray: Dunque era molto tardi?
Tiny: Oh sì, ci hanno svegliato nel pieno del sonno. Mi sembrava che fossero le 2 del mattino.
Ray: E fino a quel punto non stavano facendo nulla che fosse al di fuori dell’ordinario?
Tiny: No, finchè non siamo andati sull’ambulanza e… conosci la porta nord? Quando l’abbiamo raggiunta, lui (probabilmente il Colonnello Blanchard, citato più volte nelle vicende legate a Roswell, N.d.T.) ci stava aspettando. E ci ha detto: Dovete tenere la bocca chiusa! Non dovete dirlo a nessuno!
(In una precedente conversazione, scrive in nota l’autore, Tiny aveva raccontato che un ufficiale aveva detto loro qualcosa del tipo: ” Se dite una parola a qualcuno, getteranno le vostre ossa e quelle di tutti i vostri famigliari nel deserto.”)
Ray: Sono curioso, voi lì eravate tutti ragazzi di 17, 18 anni…
Tiny: Certo, io non ne avevo ancora 19.
Ray: Deve essere stata un’esperienza sconvolgente. Come avete reagito quando siete arrivati sul posto?
Tiny: Quando ho visto i corpi? Ero completamente sbigottito ed ero mezzo addormentato, e poi faceva un freddo polare, mi ricordo questo. Noi guardavano e vedevamo queste cose, ma io non le registravo. E poi quando alla fine ho capito cosa avevo visto, semplicemente non riuscivo a crederci, capisci, come se non fosse mai accaduto. Eppure stava accadendo, come se fosse un sogno. Sai, quante volte si vedono cose del genere?
Ray: Ma cosa hai pensato una volta che hai capito di cosa si trattava? Hai pensato automaticamente che dovevano provenire da qualche altro luogo?
Tiny: Assolutamente sì. Non sapevo cosa fossero, sembravano degli orientali, nel senso, erano molto piccoli. Io sapevo però che i Giapponesi non erano così piccoli. E non potevo pensare a nessun altro Paese, magari Bali o simili, magari lì erano più bassi, ma…
Ray: Le teste erano grosse?
Tiny: Molto grosse, come… insomma, erano completamente sproporzionate rispetto ai corpi. Capisci cosa intendo? Cioè, per dare un’idea, è come se la tua testa fosse una volta e mezza quella attuale, ecco più o meno quanto erano grosse.
Ray: C’era qualche altra caratteristica strana? Riguardo agli occhi, il naso o la bocca?
Tiny: Non c’erano capelli. E… Ho visto delle narici, ma per quanto riguarda il naso… se c’era, era molto molto piccolo. E le labbra… aspetta un secondo, non so se avessero le labbra, ma ho visto i denti, o almeno mi sembrava che li avessero. Orecchie? Caspita, se c’erano, erano piccolissime. Non me le ricordo.
Ray: Che dici del colore della pelle?
Tiny: Ah…tipo giallo, ma molto pallido. Sembrava la pelle di un pachiderma, con un sacco di rughe.
Ray: E mi hai detto qualcosa su uno dei corpi privo di casco, ma intero?
Tiny: Sì, era uno di quelli che abbiamo raccolto e non aveva il casco.
Ray: Come hai reagito, quando l’hai visto?
Tiny: L’unica cosa che posso ricordare è che uno che mi stava aiutando- non so se era Tommy- mi ha detto:”Deve aver perso il suo casco ed essere finito fuori da quell’apparecchio, qualsiasi cosa sia “. Perchè tutti gli altri, invece, avevano il casco in testa. O meglio, non lo so, immagino che avessero gli elmetti in testa, tutti i corpi erano sparsi ovunque, a pezzi. Ma quello che abbiamo raccolto noi era integro. Cioè, non gli abbiamo tolto i vestiti, quindi non sappiamo se era lacerato- non ce lo avrebbero permesso. Ci dicevano solo:”Metteteli nei sacchi”. Non abbiamo neanche messo i sacchi sull’aereo da trasporto che dove poi li hanno sistemati. FINE PRIMA PARTE
SABRINA PIERAGOSTINI