“Gli Alieni sono qui, da parecchi anni. Ci sono tante ottime prove che lo dimostrano”. Fa un certo effetto leggere che un ex astronauta ritiene sicura l’esistenza di civiltà extraterrestri, non in qualche remota galassia, ma sul nostro pianeta, in mezzo a noi. Ma vi assicuro che fa ancora più effetto sentirglielo dire di persona. Specie se l’ex astronauta in questione è un eroe dell’epopea spaziale del XX secolo, membro del ristrettissimo Club dei 12– tanti sono gli uomini che (ufficialmente) hanno posato il loro piede sulla Luna.
È quindi con un po’ di emozione che ho ascoltato le parole di Edgar Mitchell, durante la lunga intervista telefonica che ho realizzato nei giorni scorsi: lui dalla sua casa in Florida, io dall’Italia. Ottenerla è stato incredibilmente semplice: dopo un primo contatto via mail con la sua cortesissima segretaria Cathy, nel giro di pochi giorni l’appuntamento era fissato.
La nostra chiaccherata, ovviamente, non poteva che incentrarsi prevalentemente sull’argomento che dal 2008 l’ha riportato alla ribalta: la vita extraterrestre e il cover up. Con qualche divagazione su altri temi, come ad esempio il futuro dell’esplorazione del cosmo e il dilemma che attanaglia la Nasa: meglio tornare sulla Luna o puntare su Marte?
Mitchell- classe 1930, pilota della Missione Apollo 14 e recordman di permanenza sul suolo lunare- non si è tirato indietro. Ha risposto a tutte le mie domande, ribadendo la sua assoluta certezza che non siamo soli: una verità a suo avviso nota da tempo a molti Governi e che forse, un giorno, sarà finalmente svelata.
Nello stesso tempo ha escluso, in modo categorico, che le sue convinzioni siano legate ad esperienze dirette, vissute durante la sua permanenza nello spazio o in seguito. Ma ciò che ha saputo e sentito, dopo il suo ritorno dalla Luna, lo ha persuaso che il fenomeno Ufo sia reale.
Uno su tutti: il celeberrimo caso di Roswell. Il crash forse più famoso della storia della moderna ufologia è avvenuto a pochi chilometri di distanza da Artesia, la cittadina del New Mexico in cui il giovane Edgar è cresciuto. Il giorno dello schianto di quello che da decenni l’esercito americano definisce un banale pallone-sonda meteorologico, però, Mitchell non era lì: studiava al college.
Ma a distanza di molti anni, quando – divenuto ormai celebrità di livello internazionale- è tornato a trovare gli amici, i testimoni di quella misteriosa vicenda hanno fatto la fila per andare da lui a raccontare cosa fosse davvero accaduto, quel 3 luglio del 1947. “L’ incidente è reale, è tutto vero“, mi dice senza la minima esitazione.
SABRINA PIERAGOSTINI
(CONTINUA)
L’intervista ad Edgar Mitchell sarà pubblicata, in anteprima, sulla prossima News Letter di Extremamente.it
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