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Adesso si fa sul serio. Sulle tracce del Bigfoot, dopo tanti avventurieri e ricercatori improvvisati, ora ci si mette un’ equipe scientifica a dir poco autorevole, visto che ne fa parte un genetista di fama internazionale, il professor Bryan Sykes, pronto a mettersi in discussione.

UNA DELLE IMMAGINI PIÙ NOTE E DISCUSSE DEL BIGFOOT

Il progetto denominato “Ominide collaterale”  coinvolge  l’Università di Oxford e il Museo Zoologico di Losanna, nella persona del suo direttore, Michael Sartori. Lo scopo: appurare se la leggendaria creatura presente nelle culture di mezzo mondo con nomi diversi (ma caratteristiche molto simili) sia solo il frutto della fantasia o nasconda invece una base di verità. Finora, la scienza ufficiale ha sempre seguito la prima opzione, negando a priori che Bigfoot, Sasquatch, Yeti, Almasti, Orang Pendek e tutti gli altri “uomini-scimmia” avvistati o fotografati possano essere reali.

Ora il professore Sykes, docente del Wolfson College di Oxford, cambia decisamente approccio: senza posizioni aprioristiche, ma con la volontà di verificare personalmente le prove finora acquisite. Alla stampa ha spiegato le varie teorie in materia: “Al momento si va dai rami collaterali di ominidi, come l’Homo Neanderthalensis o l’Homo Floresiensis, ai grandi primati ritenuti estinti come il Gigantopiteco, fino ad un genere di primati non ancora noti o a sottospecie locali di orsi bruni“.

Punto di partenza della nuova iniziativa, il materiale raccolto in decenni di studi dal dottor Bernard Heuvelmans che per primo ha acceso i riflettori della scienza sul mistero dell’Uomo-scimmia. Dal 1950 fino al 2001, anno della sua morte, il biologo svizzero ha in particolare investigato sul mistero dello Yeti, il fantomatico Uomo delle Nevi che vivrebbe sull’Himalaya. Reperti come peli,  frammenti di pelle e ossa ora conservati proprio nel museo di Losanna verranno analizzati alla luce delle tecniche più moderne. 

SUI REPERTI PIÙ INTERESSANTI VERRÀ EFFETTUATO IL TEST DEL DNA

Alcuni non sono mai stati esaminati, mentre per altri si procederà in modo più approfondito. “Sono già stati effettuati in passato dei test del Dna, ma adesso la metodologia, soprattutto nell’esame dei capelli,  si è affinata, grazie alla scienza forense- ha spiegato Sykes, che auspica l’invio di altri campioni custoditi altrove. “Sfido e invito tutti i criptozoologi a mostrarci le loro prove, anzichè lamentarsi perchè la scienza rifiuta quello che hanno da dire”, ha detto il genetista.

Lo scienziato non si aspetta di trovare tracce concrete dello Yeti o del Bigfoot, ma si riterrebbe già soddisfatto se potesse identificare una ventina di reperti sospetti. E soprattutto, sarebbe felice di potersi imbattere in un esemplare di una specie ignota.”Sarebbe meraviglioso- ha detto infatti- se uno o più di uno si rivelasse appartenere ad una specie di cui non sappiamo nulla, magari un primate, magari persino un ominide di un ramo collaterale. Sarebbe un risultato ottimale.”

Così come la ricerca potrebbe servire ad aumentare le nostre conoscenze sulle interazioni dei vari tipi di ominidi nel passato. “Negli ultimi due anni è diventato chiaro che ci sono stati degli incroci tra l’Homo Sapiens e il Neanderthal: dal 2 al 4 % del Dna dei moderni europei proviene da quest’ultimo”, aggiunge Bryan Sykes. E alcuni ricercatori sono convinti che quei bipedi di grosse dimensioni e coperti di peli noti con vari nomi possano essere gli eredi di ominidi come l’Homo Erectus o l’Homo Floresiensis (chiamato anche “Hobbit di Indonesia” per le sue piccole dimensioni) scomparsi da milioni di anni.

L'UOMO-SCIMMIA POTREBBE ESSERE UN GIGANTOPITECO SOPRAVVISSUTO ALL'ESTINZIONE?

Va detto però che l’enigmatica creatura, avvistata tanto tra i boschi americani come nella giungla di Sumatra e di cui si narra da secoli nelle leggende di tanti diversi popoli, è quanto mai sfuggente. Al momento, mancano dati oggettivi che possano dimostrarne l’esistenza. Il professor Sykes, per evitare di essere sommerso da unghie o brandelli di pelle a casaccio  provenienti da tutto il mondo, chiede preventivamente una descrizione del campione e magari delle foto. Solo dopo una prima scrematura, il team scientifico invierà un kit per quelli più interessanti e meritevoli di un’ulteriore analisi.

La prima fase di raccolta dei reperti partirà a settembre, poi da novembre inizierà il rigoroso esame del Dna. Da ultimo, i risultati verranno pubblicati su riviste scientifiche. “Da accademico ho un po’ di resistenza nell’introdurmi in questo campo, ma penso che l’esame genetico sia assolutamente oggettivo, non si può falsificare”, ha sottolineato il ricercatore. “Non mi metterò nella condizione di dover credere oppure no a queste creature. Ma se non si guarda, non si scopre niente.”

SABRINA PIERAGOSTINI

 

 

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