Un SETI Made in England. È il progetto di un gruppo di astronomi britannici, intenzionati a lanciare una nuova missione per cercare segnali di vita aliena nello spazio. Gli scienziati, provenienti da 11 diverse università del Regno Unito, hanno ribattezzato la loro iniziativa “UK Search for Extraterrestrial Intelligence Research Network”. E sono convinti che lassù E.T. esiste e forse sta cercando di mettersi in contatto con noi.
Prima di partire, è però indispensabile recuperare i fondi necessari: setacciare il cosmo costa, e parecchio, come sanno i colleghi del SETI americano sempre sull’orlo di chiudere i battenti. Ecco perchè gli studiosi inglesi hanno lanciato una petizione per chiedere di poter usufruire di una piccola parte del budget annualmente riservato dal Governo di Londra alle ricerche scientifiche.
“Se ottenessimo l’1 per cento di quei 200 milioni di sterline oggi destinati all’astronomia, potremmo fare la differenza”, dice ad esempio Sir Martin Rees, Astronomo di Corte e promotore del network che aggiunge: “Con un milione di sterline all’anno ( circa 1,2 milioni di euro, NdT) potremmo metterci alla pari con gli Stati Uniti”.
Gli scienziati Usa sono infatti in prima linea nel progetto volto a captare segnali radio provenienti dallo spazio profondo, prove di una civiltà intelligente in grado di comunicare: da anni le antenne posizionate in California sono al lavoro, senza in realtà conseguire risultati degni di nota. Dal 1981, poi, da quando sono finite delle sovvenzioni statali, la dottoressa Jill Tarter e gli altri vanno avanti solo grazie al sostegno dei privati.
Il nuovo progetto britannico sfrutterà il nuovo circuito a fibra ottica, denominato eMerlin ( acronimo di Multi-Element Radio Linked Interferometer Network) che connette i 7 principali radio telescopi di Sua Maestà. Tutti i dati raccolti dalle strumentazioni vengono inviati al Jodrell Bank Observatory nel Cheshire: qui gli eventuali messaggi spediti da mondi alieni saranno sottoposti ad analisi. “Ora siamo in grado di raccogliere le onde radio in una vasta gamma dello spettro audio”, conferma il direttore dell’osservatorio, Tim O’Brien.
L’astronomo è fiducioso sulla possibilità di ottenere lo stanziamento necessario a far partire il progetto. “Potremmo accompagnare la ricerca dei segnali radio agli studi più consueti, procedendo in modo occasionale. Ad esempio, se i telescopi stanno studiando una quasar, potremmo fermarci un attimo per analizzare i dati che sembrano essere particolari: non concentrandoci sui soliti elementi ai quali di norma gli astronomi si interessano, ma su qualche anomalia che potrebbe essere associata alla presenza di vita aliena.”
Ma a sorprendere di più è l’affermazione che O’Brien ha rilasciato, parlando con il quotidiano The Guardian. “Se si chiedesse agli astronomi se credono all’esistenza degli extraterrestri, la maggior parte di loro risponderebbe di sì“. Una vera rivoluzione copernicana, se si pensa che solo pochi anni fa bastava solo citare la parola “alieni” per far sbottare in una grassa risata gli scienziati di tutto il mondo.
A convincere gli accademici della assurdità di tutte le ipotesi sulla vita extraterrestre nello spazio è stato, per molto tempo, il cosiddetto “Paradosso di Fermi”. Il famoso scienziato italiano aveva liquidato la questione con una semplice domanda: “Se davvero l’universo è pieno di vita, dove sono tutti?”. La totale assenza di prove oggettive e il silenzio assordante registrato dalle strumentazioni sono sempre stati considerati più che sufficienti agli astronomi per escludere l’esistenza di altre civiltà evolute.
Nel corso degli anni, si sono però sviluppate varie teorie per giustificare questa solitudine della specie umana. C’è chi ha ipotizzato che eventuali culture aliene, cresciute ed evolute su mondi molti più antichi del nostro (il Sole ha “solo” 4, 6 miliardi di anni ed è un giovanotto rispetto a molte altre stelle della galassia …) avrebbero già fatto in tempo ad estinguersi. Anzi, potrebbero essere scomparse quando qui da noi la vita era ancora allo stadio primordiale.
Altri ancora sostengono che gli Alieni esistono, ma non si palesano in attesa che i Terrestri, allo stato ancora primitivo rispetto a loro, riescano a progredire in modo autonomo e spontaneo fino ad un livello superiore. Uno dei primi a formulare questa idea è stato John Ball, con la sua “ipotesi dello Zoo” avanzata nel 1973. Ma oggi molti spiegano il Paradosso di Fermi nel modo più semplice: siamo noi, in realtà, a non comprendere i messaggi che ci giungono dallo spazio. Insomma, saremmo bombardati dalle informazioni, ma non le sappiamo interpretare.
Anche perchè siamo così concentrati sulle onde radio da trascurare altre forme di comunicazione, probabilmente più consone ad una civiltà extraterrestre che immaginiamo anni luce davanti a noi. Ma per ora la ricerca continua a focalizzarsi principalmente sulla ricezione di suoni e segnali audio. Difficile prevedere se porterà a risultati, anche se le prospettive in ogni caso sono inquietanti. Il padre di 2001: Odissea nello spazio, lo scrittore Arthur C. Clarke, condensò il concetto il questa frase: “Non ci possono essere che due possibilità: o siamo soli nell’Universo oppure no. Ed entrambe le possibilità sono terrificanti.”
SABRINA PIERAGOSTINI