Appaiono senza preavviso, specialmente di notte. In estate e in inverno. Brillano da qualche istante a svariati minuti, prima di sparire nel nulla. Sono le “Luci di Marfa”, enigmatiche sfere di luce che spuntano nel deserto che circonda questa cittadina texana e che da decenni attendono ancora una spiegazione.
Chi le ha viste, le descrive grandi quanto un pallone da basket e di colori vari- possono essere bianche, blu, gialle o rosse. Hanno un comportamento bizzarro: a volte rimangono immobili nell’aria oppure sfrecciano da un punto all’altro dell’orizzonte, possono dividersi in due parti o fondersi in una luce sola. Luogo privilegiato delle apparizioni è il cosiddetto Mitchell Flat, ad est di Marfa.
Non c’è modo di prevederne l’arrivo: sono state avvistate in qualsiasi condizione climatica, in qualsiasi stagione. Sono tuttavia un evento non troppo frequente, visto che non si verificano per più di una dozzina di volte all’anno. E fino ad oggi, nessuno è stato in grado di dire cosa siano e neppure se esistano veramente, anche se ormai sono diventate un’attrazione turistica.
Da quasi tre decenni, infatti, da queste parti viene organizzato il “Marfa Lights Festival”, che si svolge proprio in questi giorni- dal 30 agosto al 1° settembre. Una sorta di sagra cittadina, con bancarelle e parate musicali, che attira in questo paesino americano con non più di 3 mila abitanti molti curiosi, affascinati soprattutto dal mistero delle sue strane luci.
Eppure non si tratta di un’invenzione dei nostri tempi. Secondo l’Houston Chronicle, già i Nativi Americani che popolavano il Texas prima dell’arrivo dell’Uomo Bianco conoscevano quei globi luminosi fluttuanti nel deserto e li spiegavano a modo loro: erano “stelle cadute”. Il primo resoconto ufficiale risale però al 1883, quando un capomandria- tale Robert Reed Ellison- raccontò spaventato di aver visto delle luci tremolanti vicino a Mitchell Flat.
L’uomo credeva che fossero i falò di un accampamento Apache e ne parlò con i residenti della zona. Essi tuttavia non apparvero sorpresi: anche loro avevano già visto, in precedenza, delle simili luci notturne. Ma pur avendo cercato e controllato con cura- riporta la Texas State Historical Association- non avevano mai trovato alcuna traccia di fuochi, legna arsa o cenere.
Negli anni ’40 del secolo scorso, alcuni piloti della vicina base militare aerea di Midland cercarono di localizzare la fonte di quelle misteriose sfere brillanti sorvolando la zona, ma non riuscirono a scoprirne l’origine. Così, col passare del tempo, la fama di quello strano fenomeno si è diffusa ed ha alimentato le ipotesi più fantasiose. Gli amanti del paranormale vedono nelle Marfa Lights i fantasmi dei primi conquistatori spagnoli che vagano senza pace; gli appassionati di ufologia le spiegano invece come manifestazioni aliene.
Ovviamente, anche la scienza ha tentato di dare un senso a quell’enigma. Un gruppo di studenti di fisica dell’Università del Texas di Dallas ha sostenuto che quei globi luminosi non sarebbero altro che i fanali di moto e auto di passaggio sulla vicina Highway 67. Una spiegazione poco plausibile e che, se non altro, non rende conto degli avvistamenti avvenuti nei secoli passati, quando nè vetture nè autostrade erano ancora state inventate.
Un’altra possibile spiegazione: la rifrazione della luce causata dagli strati dell’atmosfera a temperature differenti. Le Luci di Marfa sarebbero dunque solo un’illusione ottica, detta anche “Fata Morgana” che si verifica quando uno strato di aria calda si posa su uno più freddo. Un miraggio del genere avviene talora in mare aperto: distorce le immagini e fa apparire le isole o le altre imbarcazioni come sospese lungo la linea dell’orizzonte. Anche nel deserto texano si raggiungerebbero i gradienti termici necessari a determinare questi effetti ottici.
Altri invece credono che a produrre le sfere multicolori sia una semplice reazione chimica di fosfina e metano con l’aria: può succedere che i due gas si surriscaldino e si incendino quando vengono a contatto con l’ossigeno. Un fenomeno noto come “fuochi fatui”, riscontrato in ogni angolo del mondo, soprattutto nelle aree paludose dove la materia organica, in putrefazione in ambiente anaerobico, produce sacche di gas come fosfina e metano.
Il deserto non è una palude- è vero- ma in tutta la zona che circonda Marfa ci sono importanti giacimenti di petrolio, di gas naturali e di altri idrocarburi- incluso il metano- in quantità sufficiente per creare un effetto simile. Da pochi giorni, proprio a Mitchell Flat, sono iniziate nuove trivellazioni. Il petroliere che ha acquistano i terreni è convinto che scoprirà l’oro nero e insieme la risposta al mistero. Nei primi sondaggi, i geologi avrebbero trovato infiltrazioni superficiali di idrocarburi provenienti dalla faglia che taglia in due il deserto.
Ma c’è anche chi pensa di aver già trovato la risposta al fenomeno texano, la stessa avanzata per spiegare le “Luci di Hessdalen”, che da 30 anni fanno impazzire i ricercatori norvegesi. L’ex ingegnere aerospaziale James Bunnell ritiene infatti che, in entrambi i casi, quelle palle di energia fluttuanti nell’aria siano il risultato delle rocce ignee, presenti nel sottosuolo di Mitchell Flat, che in determinate condizioni sviluppano una carica piezoelettrica.
Bunnell, tra l’altro, è uno dei pochi testimoni oculari che hanno avuto la fortuna di vedere di persona le Marfa Lights, dall’apposita piattaforma affacciata sul deserto costruita dal Texas State Highway Department per i turisti di passaggio. Ma la sua interpretazione del fenomeno non trova concorde un collega, Karl Stephan, anch’egli ingegnere e docente universitario. “L’attività geologica può creare attività elettrica. Ma non ci sono prove a favore della piezoelettricità: per ora, è solo un’ipotesi come un’altra.”
SABRINA PIERAGOSTINI