Addio, caro, vecchio marziano verde… La classica tipologia aliena, che ha stuzzicato la fantasia di varie generazioni, se ne va in soffitta. Al suo posto, si afferma l’extraterrestre lilla. Ad immaginare così gli eventuali abitanti di altri mondi simili al nostro sono le ultime teorie in fatto di esobiologia.
Nell’affannosa ricerca di nuove forme di vita nel cosmo, infatti, un gruppo di astronomi ha sviluppato i possibili modelli di pianeti alieni utilizzando la storia biologica della Terra come punto di riferimento. Scelta piuttosto ovvia, essendo l’unico parametro che abbiamo a disposizione finora. Partendo da questo presupposto, hanno stabilito che per trovare altre entità biologiche dovremmo concentrare la nostra ricerca nelle tonalità del colore viola.
Il numero di copie della Terra sparse nella nostra galassia è potenzialmente enorme: le stime più recenti parlano di circa 40 miliardi di candidati. Ecco perché gli scienziati si aspettano, da un giorno all’altro, di scovare un perfetto gemello del nostro pianeta, con tutte le caratteristiche necessarie ad ospitare la vita come noi la conosciamo.
Il limite maggiore è legato all’atmosfera di quel mondo, magari distante centinaia o migliaia di anni luce, che ancora non siamo in grado di analizzare. Ma se non sappiamo di cosa sia composta la sua aria, non possiamo essere sicuri che sia davvero abitabile.
D’altra parte, la caccia alla “Terra-bis” comporta altre variabili da non sottovalutare. Prima fra tutte: dovremmo cercare un pianeta identico al nostro attuale oppure potremmo imbatterci in un pianeta giovane, come la Terra delle origini, dove la vita nascente sarebbe più facilmente riconoscibile?
Il modello è sempre quello terrestre. Qui, da noi, le prime forme viventi elementari hanno fatto la loro comparsa quasi 4 miliardi di anni fa, mentre gli organismi pluricellulari più evoluti si sono affermati solo 700 milioni di anni fa. Quale sarebbe stato il momento migliore, per un’ipotetica civiltà aliena, per studiare il nostro pianeta?
È questa la domanda dalla quale sono partiti i ricercatori di un team internazionale, guidati da Esther Sanroma, dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, il cui studio è stato accettato dalla rivista scientifica Astrophysical Journal. “Tutto ciò che conosciamo del nostro pianeta costituisce la linea-guida per la definizione di altri mondi rocciosi in orbita nella fascia abitabile delle loro stelle di riferimento”, si legge nell’articolo. “Ma la Terra è rimasta inabitata per 3,8 miliardi di anni e il suo aspetto è molto cambiato nel tempo.”
Tre miliardi di anni fa, durante l’Eone Archeano, sul nostro pianeta si moltiplicavano dei batteri violacei, in grado di effettuare la fotosintesi, diffusi sia nei mari che sulla terraferma. Erano dei microorganismi con una specifica caratterizzazione e avrebbero costituito un segnale evidente, per un eventuale osservatore esterno, che la Terra pullulava di forme primitive di vita.
Riproducendo al computer la diversa distribuzione di questi batteri- negli oceani, lungo le coste, nell’interno e durante differenti fasi climatiche- il team della Sanroma ha utilizzato un modello di trasferimento per simulare la radiazione nel campo del visibile e nel campo dell’ infrarosso riflessa dal nostro pianeta.
In questo modo, hanno capito che, con un sistema di osservazione fotometrica multi-color, gli esploratori spaziali sarebbero stati in grado di distinguere la Terra dell’Eone Archeano, dominata in gran parte dai batteri color melanzana, dalla Terra attuale, nella quale i continenti sono coperti da deserti e foreste.
Lo stesso dovrebbe valere per noi, nel momento in cui cercheremo di individuare creature di altri mondi: prepariamoci – dicono gli autori dello studio- a trovare copie della Terra ad uno stadio primitivo, abitate da organismi unicellulari, proprio come accadeva sul nostro pianeta miliardi di anni fa. Anche quegli alieni potrebbero essere piccoli batteri violacei. E non è la prima volta che gli studiosi ipotizzano un colore tanto particolare per una forma vivente extraterrestre.
Già nel 2011, infatti, alcuni ricercatori avevano preso in esame il livello di energia necessario per una pianta aliena che dovesse nascere e svilupparsi sotto la luce solare emessa da un sistema binario. Ipotesi non peregrina, visto che un quarto delle stelle come il Sole e la metà delle nane rosse potrebbero avere una compagna: quindi, parliamo della maggioranza dei potenziali sistemi planetari sparsi per la Via Lattea.
Se in orbita attorno ad una coppia di stelle ci fosse un esopianeta con le condizioni ideali per ospitare la vita, qualunque forma- vegetale, animale o in qualche altro tipo che nemmeno riusciamo ad immaginare- sarebbe esposta ad un ampio spettro di luce, che si estenderebbe molto in là negli ultravioletti. E per ottimizzare la fotosintesi, le foglie delle piante aliene potrebbero assumere un colore per noi anomalo: un viola molto cupo, se non addirittura tendente al nero. Un panorama decisamente sconcertante ai nostri occhi.
SABRINA PIERAGOSTINI