Acqua ovunque. Acqua sulle comete, acqua nella polvere cosmica, acqua sugli asteroidi, acqua persino sulla Luna… Nel nostro sistema solare, l’elemento ritenuto essenziale per lo sviluppo della vita si troverebbe in quantità molto più abbondante di quanto non immaginassimo. Le ultime scoperte scientifiche aprono così nuovi scenari.
Utilizzando l’osservatorio spaziale Herschel, gli astronomi europei hanno infatti accertato la presenza di vapore acqueo su Cerere– catalogato tra i pianeti nani, ovvero quei corpi non abbastanza grandi per essere dei veri e propri pianeti, ma troppo estesi per essere semplici asteroidi. Cerere si trova un po’ al di là di Plutone ( anch’esso, qualche anno fa, retrocesso a planetoide) nella Fascia degli Asteroidi.
Dalla sua superficie fuoriescono dei pennacchi di acqua allo stato gassoso: si tratterebbe di cristalli di ghiaccio che, sublimando, diventano vapore. “Questa è la prima volta che lo abbiamo individuato senza alcun dubbio su Cerere o su qualunque altro oggetto nella Fascia degli Asteroidi ed è la prova che quel pianeta nano possiede acqua e atmosfera“, ha detto Michael Küppers , uno degli autori della ricerca pubblicata sull a rivista Nature.
La scoperta arriva al momento giusto: nel 2015, la missione dell’ente spaziale americano denominata Dawn ( Alba) dopo aver a lungo esaminato l’altro grande asteroide Vesta punterà su Cerere, per scattare foto e recuperare dati sulla sua superficie. “Non dovremo aspettare molto per avere ulteriori conferme a questo intrigante risultato, direttamente dalla fonte”, ha affermato una delle responsabili della missione presso il Jet Propulsion Laboratory della Nasa, Carol Raymond. “Dawn mapperà la geologia e la chimica superficiale in alta risoluzione, rivelando il processo che provoca l’attività gassosa.”
Fino al 2006, Cerere vantava il titolo di asteroide più grande del sistema solare. Poi, la stessa commissione che ha bocciato Plutone ha promosso invece questo corpo celeste a “pianeta nano” grazie alle sue dimensioni importanti: ha infatti un diametro di quasi 1.000 chilometri. Secondo i ricercatori, possiederebbe un nucleo roccioso ricoperto da un mantello di ghiaccio: se si sciogliesse tutto, produrrebbe ancora più acqua corrente di quella presente sulla Terra.
Finora, però, questa era una teoria non comprovata. C’è voluto Herschel e la sua vista agli infrarossi per scorgere un segno evidente che dimostra la presenza di vapore acqueo. Il telescopio- in avaria dallo scorso maggio- lo ha avvistato tre volte. Per gli scienziati, ciò dipende dalla posizione di Cerere rispetto al Sole. Quando la sua orbita si avvicina alla nostra stella, una porzione della superficie gelata diventa abbastanza calda da provocare la fuoriuscita di vapore, in quantità di 6 chilogrammi al secondo. Quando si trova nella parte più fredda, invece, tutto si ferma.
L’intensità del segnale registrato dal telescopio europeo è variato anche a seconda delle ore, delle settimane e dei mesi, perchè il planetoide ruota sul proprio asse e i pennacchi entrano ed escono dal campo di visibilità di Herschel. In questo modo, sono state individuate due aree più scure, già osservate con il telescopio spaziale Hubble e altre strumentazioni a terra, come probabili sorgenti dell’acqua. Ma sarà la sonda Dawn, una volta arrivata in zona, ad investigare meglio.
In ogni caso, questo primo risultato ha sorpreso gli scienziati. Si aspettavano di vedere emissione di vapore dalle comete- le cugine ghiacciate degli asteroidi- ma non su corpi rocciosi come questi. “Le linee di confine sono sempre meno nette”, ha ammesso Paul von Allmen, del laboratorio spaziale della Nasa. “Sapevamo già prima che alcuni corpi della fascia degli Asteroidi mostravano comportamenti simili alle comete, ma è la prima volta che troviamo vapore acqueo su un oggetto simile ad un asteroide.”
Eppure l’acqua, sotto forma di cristalli di ghiaccio, potrebbe essere una delle sostanze più diffuse nel cosmo. Lo sostiene una ricerca, condotta dal team di John Bradley, del Lawrence Livermore National Laboratory, in California. I loro esperimenti hanno provato che in certe condizioni il vento solare può produrre molecole di acqua a partire dalla polvere interplanetaria.
Per vento solare, si intende quel flusso di particelle cariche elettricamente che la nostra stella- come tutte le stelle- emette ad altissima velocità ogni direzione. Tutti i corpi del sistema solare ne sono costantemente colpiti. Quelli più piccoli, come la polvere o gli asteroidi, possono essere consumati da questi venti intensi. Quelli più ampi e privi di atmosfera- come la Luna- sono centrati sia dai venti sia dalla pioggia meteoritica. E questo bombardamento continuo produce il fenomeno detto “erosione spaziale”.
Solo di recente, alla fine degli anni ’90, è stato possibile analizzare a fondo, con le più moderne strumentazioni, la polvere lunare riportata a casa dalle varie missioni Apollo. Si è così scoperto che essa ha delle caratteristiche particolari: al microscopio presenta dei solchi infinitesimali. Queste particelle sono solitamente dei silicati– ovvero silicio, idrogeno, ossigeno e altri residui metallici. E quei solchi sarebbero il risultato di un’alterazione chimica prodotta proprio dal vento solare.
Uno squilibrio nella struttura della particella fa sì che, talvolta, si allentino i vincoli che legano gli atomi di idrogeno e di ossigeno nel silicato che vengono così liberati. Per formare una molecola d’acqua, espressa dalla formula H2O, serve però un secondo atomo di idrogeno. Elemento disponibile in abbondanza nel vento solare, dove si trova nella forma di protone. Se ci sono le condizioni giuste, questo idrogeno caricato elettricamente può reagire nei solchi delle particelle di polvere e formare l’acqua.
I tentativi fatti in passato per dimostrarne la presenza ha dato risultati contrastanti: le reazioni avvenivano su scala ridottissima ( si parla di nanometri, ossia un miliardesimo di metro…) e le strumentazioni non erano abbastanza sofisticate. Il team di Bradly, questa volta, ha utilizzato uno spettroscopio in grado di accertare la composizione di un materiale anche a livello atomico.
I ricercatori hanno preso dei silicati presenti nello spazio, come olivina, clinopirossene e anortite, e li hanno esposti all’azione di particelle caricate di idrogeno e di elio. Se davvero è il vento solare a produrre l’acqua, essa si sarebbe formata solo dai minuscoli campioni bombardati dai protoni di idrogeno e non da quelli colpiti con l’elio. Ed è avvenuto esattamente così: i test, più volte ripetuti, hanno dato un esito positivo.
“In verità non mi ha stupito più di tanto che si possa formare una molecola di H2O dai silicati, ma ora è stato dimostrato che accade davvero”, ha commentato il professor Martin Mc Coustra, della Heriot-Watt University di Edimburgo. E, implicitamente, si dimostra anche che da miliardi di anni una simile reazione chimica può essere avvenuta sulle particelle di polvere planetaria e sugli asteroidi. Le molecole di acqua, insomma, sarebbero potenzialmente sparse ovunque attorno a noi.
SABRINA PIERAGOSTINI