Si è aperta da pochi giorni e già si prevede un’affluenza record. L’ostensione della Sindone, nel Duomo di Torino, richiama come sempre centinaia di migliaia di pellegrini. Tanti fedeli, ma anche tanti curiosi. Perché quell’ immagine impressa in negativo su un lenzuolo di lino, che per la tradizione cristiana è il sudario nel quale venne avvolto Gesù dopo la deposizione dalla croce, costituisce tuttora un vero enigma. La scienza non è stata ancora in grado di spiegare- al di là di ogni ragionevole dubbio- come si sia formata.
LA SINDONE, CON LE IMMAGINI FRONTE E RETRO ACCOSTATE
Le analisi scientifiche effettuate nel 1988 sembravano aver dato un responso definitivo: il test al radiocarbonio, il C14, aveva collocato quel telo tra il 1260 e il 1390- anno più, anno meno. Vale a dire in pieno Medio Evo, praticamente coincidente con la data della prima testimonianza ufficiale della Sindone in Europa, apparsa dal nulla a Lirey, in Francia, nel 1353. La conclusione sembrava inevitabile: era un manufatto prodotto sette secoli fa e non la vera immagine del Cristo.
Si sono così moltiplicate le ipotesi– a volte suggestive, a volte surreali- per provare a spiegare chi ne fosse stato l’autore. Forse un abile falsario aveva dipinto- con una tecnica ad oggi sconosciuta- oppure impresso con un bassorilievo arroventato quella silhouette umana, vista posteriormente e frontalmente. O magari era stato Leonardo da Vinci- genio universale- a realizzare l’immagine impressionando la stoffa come un lastra fotografica ante litteram. O ancora, si trattava sì dell’impronta di un corpo umano, ma di Jacques de Molay, ultimo Grande Maestro dei Templari, sottoposto ad atroci supplizi primi di essere bruciato sul rogo nel XIV secolo.
Tutte eventualità che Pierluigi Baima Bollone, uno dei sindonologi più stimati ed accreditati al mondo, non prende neppure in considerazione. Dopo quasi 40 anni di studi e decine di pubblicazioni, il patologo è arrivato alla certezza che quel telo è autentico e che l’Uomo della Sindone è davvero il Cristo. Nel suo ultimo libro, “2015-La nuova indagine sulla Sindone. Duemila anni di storia e le ultime prove scientifiche” , ripercorre e aggiorna decenni di analisi ed approfondimenti che hanno toccato più discipline- dalla numismatica alla storia dell’arte, dalla biologia all’anatomia, dalla botanica alla chimica- ma che hanno avuto come punto centrale la lettura e la comparazione delle fonti, a partire dai Vangeli.
IL CORPO SUL LENZUOLO EMERGE CON PRECISIONE AL NEGATIVO FOTOGRAFICO
La descrizione della Passione di Cristo collima in modo impressionante con le ferite che- da medico legale- Baima Bollone ha riscontrato sull’Uomo della Sindone: sul viso, ai polsi, al costato, sulla schiena, alle gambe, sui piedi. Le macchie vermiglie sul telo sono infatti siero e sangue umano (gruppo AB), come dimostrano i globuli rossi rinvenuti tra le fibre dai quali è stato estratto un DNA maschile: rivoli colati da tumefazioni, da lesioni lacero-contuse, da ferite da arma di punta e di taglio, sia durante l’agonia, sia dopo la morte. Le chiazze sono rimaste così rosse per la presenza di bilirubina- elemento compatibile con una morte traumatica. E si sono depositate prima che si formasse l’immagine del corpo.
Altro elemento che richiama il racconto evangelico, poi, è la permanenza del corpo nel sudario: non più di 36 ore, dato che mancano i segni della putrefazione che subentra dopo un giorno e mezzo dalla morte, specie nei climi caldi. Esattamente il tempo che secondo gli Evangelisti Gesù avrebbe passato nella tomba, prima di risorgere. Su quel lino, poi, si sono posate anche decine di diversi tipi di polline. Alcuni di essi sono molto significativi, perché specifici di una ristretta area geografica. Tre, in particolare, appartengono a piante che fioriscono solo vicino a Gerusalemme tra marzo e aprile. Le caratteristiche della filatura (a spina di pesce) e del tessuto (probabilmente una pezza tagliata da un rotolo) sono compatibili con le tecniche e gli strumenti in uso duemila anni fa.
Ma ci sono anche fonti che sembrano confermare l’esistenza di un sudario attribuito al Cristo in epoche precedenti al XIV secolo. Baima Bollone, ad esempio, cita le monete coniate dall’imperatore bizantino Giustiniano II nel VII secolo che mostrano il volto di Gesù molto somigliante a quello della Sindone: un sopracciglio più alto dell’alto, i capelli più lunghi su una spalla, un ciuffo sulla fronte, orbite oculari profonde, zigomi prominenti. Un’iconografia che a Costantinopoli si mantiene costante nel tempo e che spesso rappresenta il Cristo zoppo, con un arto più corto- come appare la gamba flessa sul lino di Torino.
LA MONETA DEL VII SEC. CON IL VOLTO DI CRISTO
Anche un manoscritto miniato, il Codice Pray, conservato in Ungheria e risalente al 1190, mostra la scena della deposizione dalla Croce e della resurrezione che sembrerebbe ispirata al Sacro Lenzuolo, per un dettaglio del corpo di Gesù- davanti al pube ha le mani incrociate e solo 4 dita sono visibili, proprio come nell’immagine sindonica. Prova, per il professore, che nell’Impero Romano d’Oriente quella reliquia era ben nota. Molti testi bizantini, poi, parlano di una figura del Salvatore impressa su un telo.
Si sa dell’esistenza, già nel VI secolo d.C., del cosiddetto Mandylion- prima custodito ad Edessa (oggi Urfa, in Turchia), poi trasferito a Costantinopoli e da lì scomparso. Il Mandylion– letteralmente, “fazzoletto”- mostrava l’impronta del volto di un uomo, ritenuto Gesù, ed era custodito in un reliquiario. Ma Baima Bollone non esclude che si trattasse della Sindone stessa, della quale veniva mostrata solo una piccola porzione- quella appunto della testa- mentre il resto rimaneva celato alla vista. Le tracce tuttora visibili delle pieghe proverebbero che il telo- attualmente lungo 4, 42 metri e largo 1,13, dopo il restauro del 2002- in passato sia stato ripiegato su se stesso più volte, in modo compatibile a questa antica ostensione.
Impossibile elencare qui tutti gli indizi evidenziati dal patologo, inclusi quelli relativi all’anatomia dell’Uomo della Sindone che sembrano perfettamente corrispondenti all’incipiente rigor mortis di un reale cadavere. Nella sua disamina, il professore passa in rassegna decine di elementi apparentemente concordanti e convincenti: arriva addirittura ad affermare che- in base ad un calcolo statistico- ci sarebbero 225 miliardi di probabilità contro 1 sola che la Sindone sia vera, “vale a dire, che si tratti effettivamente del lenzuolo funerario di Gesù”. Le ultime acquisizioni archeologico-storiche e le conoscenze medico-legali, poi, a suo dire renderebbero ancora più certa la coincidenza tra la Sindone e il Gesù storico.
L’IMMAGINE DEL CODICE PRAY
Ma come è possibile, considerando l’esame al radiocarbonio, metodo ritenuto infallibile per datare manufatti del passato? Quel test è da considerarsi non valido. Lo dice Baima Bollone, lo ammettono molti altri studiosi e ricercatori, lo riconosce oggi gran parte del mondo scientifico. A vanificare i risultati, innanzi tutto, la procedura non ortodossa nel prelievo dei campioni e l’assenza di dati specifici nella relazione finale che rendono impossibile un controllo. I fili esaminati, poi, sono stati prelevati vicino ad un bordo esterno del telo e potrebbero appartenere ad uno dei tanti rammendi dei quali il lenzuolo ha avuto bisogno nel corso del tempo.
Infatti, nella sua lunga e travagliata storia, il Sacro Telo ha rischiato più volte di andare distrutto. Le fiamme lo hanno più volte danneggiato; l’acqua usata per spegnerle lo hanno intriso. Non solo: secolo dopo secolo, sulle fibre, si sono accumulati anche fumo di candele, polveri, funghi ed acari. Tutti elementi esterni che avrebbero modificato la quantità di C14 , “ringiovanendo” il tessuto. La contaminazione ambientale dunque avrebbe giocato un ruolo fondamentale: se è così, potrebbe essere probabilmente inutile tentare di ripetere il test con fili prelevati da un altro punto di trama ed ordito.
C’è tuttavia una questione cruciale ancora aperta: cosa ha prodotto quell’impronta? Solo sudore, sangue ed unguenti? Le analisi con il microscopio elettronico hanno infatti escluso la presenza di pigmenti, tipici delle pitture, e i segni di pennellate. Non ci sono neppure le bruciature superficiali che una strinatura della stoffa lascerebbe. Se davvero è l’effetto del contatto di un cadavere nudo sul lenzuolo funebre, perché quella silhouette non appare deformata- come avviene, quando si sviluppa su un piano una figura dotata di volume?
IL VOLTO IN 3D DELL’UOMO DELLA SINDONE
L’immagine mantiene infatti la forma e le proporzioni di un corpo umano maschile, per l’esattezza di un soggetto apparentemente sui 40 anni di età, con profili netti e precisi. Non solo. Appaiono anche i dettagli anatomici che non ci si aspetterebbe- ad esempio i capelli, che scendono sulle spalle come se il corpo fosse in posizione eretta, non sdraiata. L’impronta è superficiale (sul retro, il telo reca solo le tracce ematiche), ma nello stesso tempo è tridimensionale, tanto che è stato possibile ricostruire al computer l’aspetto dell’Uomo della Sindone. Ma se non è stato per contatto, allora come si è impressa?
Qualche anno fa, alcuni ricercatori del Centro ENEA (l’Agenzia Nazionale italiana per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo tecnologico sostenibile), dopo aver fatto dei test sperimentali con un laser ad eccimeri, hanno affermato che la figura presente sul Sacro Lenzuolo potrebbe essersi prodotta mediante irraggiamento. “Un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV (Vacuum Ultra Violet) direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino”, hanno scritto nel loro studio. Quale fonte di energia abbia potuto produrre, nei secoli passati, quel tipo specifico di irraggiamento, non è dato saperlo.
La scienza, per ora, può solo formulare ipotesi, ma il mistero rimane. E forse il fascino irresistibile di questo telo sta proprio qui, nella sua capacità di stupire oggi come nel Medioevo: le nostre conoscenze avanzate e la nostra tecnologia all’ avanguardia ancora non bastano per trovare risposte agli interrogativi che solleva. Come se rimanesse sempre una parte oscura che la razionalità non può comprendere. Un concetto esplicitato dal cardinale Ballestrero, arcivescovo di Torino ai tempi dei contestati esami del 1988, che da uomo di fede disse: “Perchè non vogliamo mettere nell’elenco delle possibili cause anche quello dell’intervento soprannaturale di Dio?”
SABRINA PIERAGOSTINI