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Il Pianeta X, una volta, esisteva davvero

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Una volta, il decimo pianeta del nostro sistema solare è esistito davvero. Almeno, se continuiamo a contare come nono il povero Plutone, declassato nel 2006 dall’Unione Astronomica Internazionale. Miliardi di anni fa, infatti,  ci sarebbe stato un pianeta in più, enorme, espulso dalla sua orbita e finito chissà dove. Lo sostiene lo studio esposto in un articolo che sarà pubblicato a settembre dalla rivista The Astronomical Journal.

NEL SISTEMA SOLARE DELLE ORIGINI ESISTEVA UN QUINTO PIANETA GIGANTE

NEL SISTEMA SOLARE DELLE ORIGINI ESISTEVA UN QUINTO PIANETA GIGANTE

L’autore è David Nesvorny, astronomo del  Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado. Già in passato, nel 2011, il ricercatore aveva proposto la possibilità che, alle origini, nel nostro sistema solare ci fosse un quinto  pianeta gigante, oltre a Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ora, grazie ad un modello matematico, sarebbe riuscito a dimostrare la correttezza della sua teoria.

A fornirgli la prova che cercava, un migliaio di piccoli corpi ghiacciati che si trovano nella Fascia di Kuiper, vicino al già citato Plutone, oggi pianeta nano o planetoide che dir si voglia. Questo gruppo viene chiamato  “kernel” e fino ad oggi ha costituito un’ anomalia che fa arrovellare gli studiosi: le rocce infatti rimangono sempre accanto le une alle altre e mantengono il medesimo piano orbitale, a differenza degli altri corpi ghiacciati che li circondano.

 Si è ipotizzato che fossero ciò che rimaneva di un oggetto distrutto da un impatto spaziale, ma le simulazioni al computer poi lo hanno escluso. Ora il modello proposto da Nesvorny sembra dare una spiegazione calzante. Tracciando il loro movimento indietro nel tempo, fino a 4 miliardi di anni fa, ha dimostrato che le rocce del kernel sono state cacciate dal campo gravitazionale di Nettuno quando il grande pianeta è “saltato” dalla sua posizione originale- un po’ più vicina al Sole- a quella attuale. E nel lasciare la sua orbita, Nettuno avrebbe lanciato verso l’esterno quelle “briciole”  del primordiale sistema solare con le quale si muoveva in tandem.

NETTUNO AVREBBE CAMBIATO LA SUA ORBITA

NETTUNO AVREBBE CAMBIATO LA SUA ORBITA

Secondo l’astronomo, c’è un unico modo per giustificare quel cambio di orbita: pensare all’influenza di un altro oggetto celeste con un campo gravitazionale estremamente intenso, come un pianeta gigante. Urano, Saturno e Giove però sono fuori gioco, perché le loro orbite non hanno mai interagito con quella di Nettuno. Quindi, si tratta di un altro pianeta a noi ignoto.

Che fine abbia fatto lo sconosciuto Pianeta X, nessuno lo sa. Forse è diventato uno di quei mondi che vagano per il cosmo, i cosiddetti “pianeti vagabondi” o anche “canaglia”: ce ne sarebbero milioni attorno a noi. Una volta espulso dal sistema solare, potrebbe aver continuato a spostarsi in  libero movimento nello spazio oppure potrebbe essere stato catturato da un’altra stella.

L’intuizione di Nesvorny è stata dunque confermata osservando il comportamento di questo gruppo di rocce. “La Fascia di Kuiper è l’indizio. Vedi determinate strutture e tenti di immaginare che tipo di evoluzione possa andare a pennello con esse”, ha detto il ricercatore a Science Magazine. Non è stato facile, però: prima di arrivare a questo modello che spiega la formazione del kernel, ha provato molte altre soluzioni- addirittura un centinaio.

Questa è la principale difficoltà con la quale gli astronomi devono rapportarsi: riuscire a trovare una teoria che metta al posto giusto decine di diversi oggetti. “L’aspetto davvero incredibile del modello di Nesvorny è che oltre ad essere coerente colloca molte strutture nel posto giusto nello stesso momento”, ha commentato un collega, JJ Kavelaars, del Dominion Astrophysical Observatory di Victoria, in Canada, non coinvolto direttamente nello studio.

ROCCE GHIACCIATE NELLA FASCIA DI KUIPER: ECCO IL KELNET

MIGLIAIA DI ROCCE GHIACCIATE NELLA FASCIA DI KUIPER: ECCO IL KERNEL

Studio che comunque va avanti: l’astronomo di Boulder intende trascorrere l’estate ad identificare quanti più oggetti possibili nella Fascia di Kuiper, specie nel kernel. Lo scopo è trovare ulteriori conferme al modello, ma servirà sicuramente anche a comprendere al meglio come fosse il neonato sistema solare delle origini.

SABRINA PIERAGOSTINI

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