Chi ha scoperto l’America? Una domanda alla quale tutti, anche i bambini più piccoli, danno sicuri la risposta: Cristoforo Colombo. Ma sempre più ricercatori sono convinti che- piuttosto- il navigatore assoldato dalla regina di Spagna, Isabella I, sia stato solo l’ultimo di una lunga serie di esploratori rimasti sconosciuti. Molto prima di lui, nel corso dei secoli passati, altre flotte di diverse provenienze sarebbero approdate sulle coste americane.
I Vichinghi, ormai è praticamente assodato, verso l’anno mille avrebbero esplorato la Groenlandia e le regioni più settentrionali dell’odierno Canada. Ma ritrovamenti archeologici molto controversi e per nulla condivisi hanno fatto avanzare anche altre ipotesi: c’è chi pensa, ad esempio, che le naves longae dell’Antica Roma abbiano raggiunto quasi 2 mila anni fa le sponde del Brasile, oppure che emissari del Celeste Impero cinese abbiano lasciato tracce del loro passaggio negli Stati Uniti… O addirittura, ancora prima, migliaia di anni fa, una civiltà dai contorni decisamente poco chiari potrebbe aver solcato l’Oceano per insediarsi nel Nuovo Mondo.
Un’idea sostenuta dal noto antropologo, archeologo e scrittore norvegese Thor Heyerdahl, scomparso nel 2002. Il suo nome è per sempre legato al viaggio straordinario del Kon-tiki, un’imbarcazione rudimentale, costruita con i materiali e le tecniche a disposizione delle antiche popolazioni del Sud America. A bordo di quella zattera, Heyerdahl partì dal Perù ed arrivò fino al cuore del Pacifico, in Polinesia, per dimostrare la sua teoria: anche in epoche remote, le traversate transoceaniche erano possibili e sarebbero avvenute di frequente. Anzi, proprio così, via mare, le diverse civiltà del pianeta sarebbero venute in contatto tra di loro e avrebbero scambiato le reciproche conoscenze.
Per quella spedizione, ripresa dalle telecamere e diventata poi un film, nel 1952 il ricercatore norvegese vinse il premio Oscar per il miglior documentario. Ma non contento, negli anni successivi continuò a dimostrare la facilità degli spostamenti via mare con i vari modelli di Ra, barche costruite di corda, papiri e giunchi (come facevano gli antichi Egizi): con esse attraversò l’Atlantico, dal Marocco alle Antille. Poi, con altre imbarcazioni primitive, fece lo stesso nell’ Oceano Indiano, dall’Iraq a Gibuti. Verso la fine della sua vita, si imbatté in una scoperta archeologica che sembrò portare ulteriori conferme alle sue personali teorie.
A Güimar, sulla costa orientale dell’isola di Tenerife (Canarie) si ergevano delle costruzioni che ricordavano le piramidi a gradoni dei Maya in Messico. Opinione comune degli archeologi era che si trattasse di cumuli di pietre accatastate nel corso degli anni, nel XIX secolo, dai contadini della zona per liberare il terreno dai sassi. Ma non ci vuole lo sguardo di un esperto per capire che quegli edifici non possono essere il risultato di un casuale accumulo di detriti e di scarti. Le basi geometriche, i lati regolari, la cura nella definizione dei gradoni le rendono un’intrigante testimonianza del passato.
Thor Heyerdahl, a partire dagli anni ’90, si dedicò allo studio di queste piramidi. Venne a scoprire che, in passato, se ne trovavano altre sparse sull’isola, ma nel tempo erano state demolite dagli abitanti che avevano “riciclato” le pietre per erigere le loro case. Anche a Güimar, in origine, le piramidi erano nove: ora ne sono rimaste 6, non tutte integre. Per edificarle, non erano stati usati massi del luogo, ma di provenienza vulcanica: nel centro di Tenerife si innalza il vulcano Teide che con i suoi 3718 metri è la montagna più alta di tutta la Spagna. Quindi, a suo avviso, qualcuno aveva portato appositamente quel materiale di costruzione fin sulla costa.
I gradoni, poi, erano stati innalzati su una piattaforma ben livellata e le pietre avevano segni di lavorazione: sembrava esserci dietro un lavoro di progettazione. Anche perché, secondo il ricercatore norvegese, queste piramidi avevano anche un’ altra caratteristica che le rendevano ancora più simili alle “sorelle” del Centro America: l’orientamento astronomico. Tutte le piramidi avevano una scalinata sul lato occidentale, dal quale era possibile osservare il sorgere del sole nel solstizio d’inverno. Non solo. Heyerdahl scoprì che in quello stesso giorno di dicembre, dalla piattaforma della piramide più alta si assiste- ancora oggi- ad un fenomeno suggestivo: il doppio tramonto. Infatti il sole scompare dietro la punta di una montagna, poi ricompare per pochi istanti e di nuovo scompare dietro la vetta successiva.
Ma chi le avrebbe costruite? Improbabile attribuirle ai Guanci, la popolazione indigena che viveva su queste isole al largo della costa africana fino alla conquista spagnola. Possono di sicuro averle riutilizzate: sotto le piramidi ci sono delle grotte che i Guanci abitavano e uno dei loro re aveva posto la propria residenza a Guimar. Secondo lo scrittore latino Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”, il navigatore Annone (vissuto tra il VII e il VI secolo a.C.) trovò le Canarie disabitate, ma erano ancora visibili tracce di una civiltà urbanizzata, con edifici in rovina e piccoli templi. Se erano costruzioni decadenti già nel I secolo d.C., quando sono state erette e da chi?
Non dai Romani, altrimenti lo scrittore ne avrebbe con orgoglio rivendicata la paternità. Ma nemmeno dai Cartaginesi: gli scavi sulle isole non hanno riportato alla luce testimonianze attribuibili ai Fenici. Forse, allora, è esistita una civiltà di cui oggi ignoriamo tutto e che migliaia di anni fa era insediata in queste terre dal clima tiepido per tutto l’anno. Da qui poi sarebbe partita per colonizzare il Centro America ed importare laggiù le proprie conoscenze.
Era questa l’idea di Heyerdahl. Questa sua convinzione giustificava la somiglianza tra le piramidi di Güimar e quelle messicane: erano costruite in modo quasi identico, perché figlie della stessa cultura. L’arrivo di questo sconosciuto popolo europeo su barche veloci in grado di “volare” sull’oceano avrebbe poi spiegato anche i miti precolombiani sugli “dei” biondi e dalle lunghe barbe arrivati in tempi remoti dal mare per portare la conoscenza.
Oggi le teorie dell’antropologo norvegese non trovano seguito nel mondo accademico: i più le considerano solo fantasie. Nel frattempo, l’area di scavo di Tenerife è diventata un parco etnografico di 65 mila metri quadrati. I visitatori possono passeggiare tra le piramidi, rivivere gli avventurosi viaggi del Kon-tiki e di Ra, vedere le riproduzioni delle imbarcazioni, paragonare monumenti e costruzioni di continenti lontani eppure così somiglianti. Da quel percorso guidato, si esce con un dubbio: e se Thor Heyerdahl avesse avuto ragione?
SABRINA PIERAGOSTINI