Un breve rinvio, ma -salvo ulteriori imprevisti- il grande giorno di TESS sta già arrivando. Per il 18 aprile è fissato il lancio da Cape Canaveral dell’ultima meraviglia targata NASA, il Transiting Exoplanet Survey Satellite, che prenderà il posto di Kepler, ormai giunto a fine carriera, alla ricerca di nuovi mondi. Inizialmente spostato da marzo a giugno, il lancio è stato poi riprogrammato per aprile, con varie finestre possibili dal 16 in poi. “Saltata”, per problemi tecnici, quella di lunedì, si riprova mercoledì alle 18.51 ora locale ( le 00.51 di giovedì in Italia).
Questa missione appare per vari motivi innovativa. Sarà infatti la prima volta che l’ente spaziale americano affida una delle sue strumentazioni più avanzate e costose (parliamo di circa 200 milioni di dollari) ad un vettore esterno: utilizza infatti il Falcon 9 di SpaceX, la compagnia fondata dal magnate Elon Musk, l’unico razzo in grado di atterrare a missione compiuta e di essere riutilizzato più volte. Ammesso che non esploda, come è successo nel giugno 2015. Allora, con un’autoironia ammirevole, Musk parlò di un “improvviso smontaggio non programmato” del Falcon andato in mille pezzi. Incrociando le dita, ovviamente alla NASA sperano che stavolta l’inconveniente non si ripeta.
A rendere molto particolare TESS è poi l’orbita estremamente ellittica che andrà ad occupare, anch’essa senza precedenti. Il telescopio spaziale girerà attorno alla Terra in circa 14 giorni, l’esatta metà del tempo impiegato dalla Luna, con la quale sarà in risonanza in un rapporto di 2 a 1. Inoltre, sfrutterà proprio la gravità lunare per allontanarsi quanto più possibile dal nostro pianeta e per poi riavvicinarsi. Quando sarà nel suo punto di massima vicinanza, invierà i dati raccolti. Quest’orbita molto allungata mai tentata prima gli consentirà di evitare le radiazioni delle Fasce di Van Allen e di osservare meglio il cielo attorno a noi.
Il nuovo satellite avrà due anni di tempo per studiare 200 mila stelle, le più luminose del firmamento, visibili anche ad occhio nudo e che per la maggior parte distano non più di 300 anni luce dalla Terra. Analizzandone i ricorrenti cali di luminosità, dovrà stabilire le presenza di pianeti che schermano temporaneamente una piccola quantità di luce della loro stella ospite. Utilizzerà dunque il metodo noto come “transito”, lo stesso utilizzato da Kepler. Ma i ricercatori si aspettano da TESS risultati molto più ambiziosi.
Se Kepler, infatti, dal 2009 ad oggi, puntando verso gli astri più lontani (tra i 2000 e i 3000 anni luce) ha individuato 2300 pianeti extrasolari ed ha raccolto dati ancora da confermare per altrettanti mondi alieni, il nuovo telescopio, focalizzandosi sulle stelle più vicine, potrebbe scoprirne addirittura 20 mila, incluse molte Super-Terre (da 500 a mille). Una cifra che sembra enorme, ma che in realtà è quasi ridicola rispetto agli svariati miliardi di pianeti che secondo le stime si trovano nella nostra galassia. E di questi, almeno 2 miliardi sarebbero potenzialmente abitabili, perché orbitano nella cosiddetta fascia di abitabilità, ovvero alla distanza ideale che garantisce una temperatura mite alla quale l’acqua non evapora e non ghiaccia.
Con le sue quattro telecamere di ultimissima generazione, in grado di coprire l’85 per cento della volta celeste, scatterà immagini a ripetizione a caccia di esopianeti. Presto, nel suo lavoro sarà coadiuvato da altre strumentazioni all’avanguardia, come il James Webb Space Telescope (previsto per il 2020) e- un po’ più in là nel tempo, nel 2028- da ARIEL, acronimo di Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey, progettato dall’ESA per analizzare le atmosfere di mondi alieni di dimensioni comprese tra quelle di Giove e quelle della Terra.
“Alla missione lavorano persone che sono molto, molto, molto desiderose di trovare pianeti simili al nostro nelle fasce di abitabilità delle loro stelle ospiti e questo sarebbe assolutamente favoloso”, ha dichiarato prima del lancio di TESS uno dei suoi progettisti del Goddard Space Flight Center, Stephen Rinehart. “Ma in ogni caso i dati su tutti questi pianeti sono interessanti, perché ci aiuteranno a darci una visione di come si forma e si sviluppa un sistema planetario. Cambierà la nostra capacità di studiare i pianeti. La mia vera speranza è di scoprire qualcosa che non ci aspettiamo. Se avessimo già tutte le risposte prima di lanciare la missione, perché diavolo dovremmo farla partire?”
SABRINA PIERAGOSTINI