“’Oumuamua è davvero bizzarro. Qualcuno dice che è un’anomalia. Ma di sicuro non assomiglia agli asteroidi o alle comete che troviamo nel sistema solare”. A parlare è Abraham Avi Loeb, a capo del Dipartimento di Astronomia di Harvard. Con un articolo scientifico scritto con un suo ex allievo ha fatto balzare sulla sedia molti suoi colleghi astronomi: ha infatti sostenuto che lo strano corpo interstellare avvistato nell’autunno 2017 potrebbe essere un relitto tecnologico, prodotto da una qualche civiltà dello spazio.
Alina Schadwinkel, redattrice del settimanale tedesco Zeit Online, lo ha incontrato a Berlino, durante una conferenza, e lo ha intervistato. Punto centrale, ovviamente, questo ardito studio pubblicato di recente. Il professor Loeb non è arretrato di un millimetro:”’Oumuamua ha una forma estrema ed è spinto da una forza addizionale a quella della gravità del Sole, quindi c’è qualcosa che lo influenza. Una cometa potrebbe essere influenzata dalla vaporizzazione del ghiaccio, ma non vi è alcuna coda cometaria o cambiamento di rotazione”, ha subito spiegato.
“Quindi nel nostro articolo ci chiediamo: cosa potrebbe spingerlo? L’unica idea che mi è venuta in mente è stata la luce solare. E affinché la luce solare possa influenzarlo, deve essere molto sottile, proprio come una vela. Una vela a energia luminosa. È una tecnologia a cui stiamo lavorando attualmente, quindi è possibile che un’altra civiltà l’abbia già realizzata e – facendo un passo in più – potrebbe aver inviato una sonda sulla Terra di proposito.” Per Avi Loeb, quell’oggetto misterioso sarebbe infatti una sonda artificiale spinta dalla luce stellare per il cosmo alla ricerca di vita.
Esattamente quel tipo di veicolo che proprio lui, in qualità di consulente del programma denominato Breakthrough Starshot promosso dal milionario russo Yuri Milner, sta progettando di realizzare per osservare da vicino le tre stelle che formano il complesso di Alpha Centauri e soprattutto i pianeti rocciosi che dovrebbero trovarsi in quel sistema solare- il più vicino a noi. Forse è per una specie di “deformazione professionale” che l’astronomo ha voluto riconoscere nell’intruso un prototipo alieno di vela solare? “Abbastanza possibile”, ammette lui. “Noi possiamo immaginare solo ciò che già conosciamo. Ma la natura è molto più ricca. Naturalmente, sono spinto verso tecnologie con le quali ho familiarità. Se fossi stato uno scienziato 5o anni fa, quando si è sviluppata la tecnologia radio, avrei detto: cerchiamo segnali radio”, la sua risposta.
E in effetti lo strano oggetto, che ha velocemente attraversato il sistema solare per poi continuare il suo viaggio chissà dove, è stato puntato anche dai radiotelescopi del SETI, alla ricerca di una qualche forma di trasmissione. Ma non hanno sentito alcun segnale, silenzio assoluto. Ecco perché gli scienziati hanno archiviato ‘Oumuamua come una cometa o un asteroide extrasolare, molto insolito ma assolutamente naturale. Il professore di Harvard non ci sta. “È come se si dicesse che non c’è nessuno perché abbiamo provato a sentire delle voci, ma non abbiamo sentito niente. Ma se invece non stessero parlando? Una vela solare sarebbe come un messaggio in una bottiglia”. Muto, eppure pieno di significato.
Un’ipotesi, Loeb lo sa, contestata dagli altri ricercatori ai quali semplicemente risponde: “Dovrebbero scrivere un articolo che suggerisca qualcos’altro e poi vediamo se è più ragionevole. Io adotto l’approccio di Sherlock Holmes: quando escludi l’impossibile, qualunque cosa sia rimasta, per quanto improbabile, deve essere la verità.” Ma insiste sulla scientificità della sua idea, basata su prove e non su puro azzardo, affermando: ”L’articolo è stato esaminato e accettato in 3 giorni, ciò dimostra che lo considerano scientifico anche gli altri studiosi. Il fatto che alcuni lo trovino allarmante è un loro problema. Non mi interessa quello che pensano. Non mi interessa la mia reputazione. Non mi interessa la pubblicità.”
Insomma, non una provocazione o un divertissement, come qualche professore ha sostenuto per stemperare l’effetto dirompente di quello studio. Anzi, Avi Loeb durante l’intervista ha colto l’occasione per spiegare che secondo lui osare, andare fino al limite (e anche oltre) è compito specifico di ogni ricercatore che si rispetti. E che la scienza deve tentare nuove strade se vuole arrivare a nuove scoperte. Queste le sue parole:”Tanti giovani hanno paura ad affrontare rischi. Una ragione: c’è un sacco di pressione. Un’altra: l’opportunità di lavoro. Il modo in cui il mondo accademico funziona è questo: ci sono docenti conservatori che vogliono promuovere se stessi. Hanno un programma di ricerca che produce studenti e postdottorati che fanno esattamente lo stesso. Producono delle camere dell’eco.
Ma il problema è che il professore può sbagliare, potrebbe non cogliere la visione d’insieme o non aver capito le prove più recenti. Io voglio spezzare questo circolo e dico: diménticati del tuo lavoro e della tua immagine, siamo qui per capire com’è fatta la natura. Se non si è disposti a sbagliare e a pensare fuori dal coro, non faremo mai grandi scoperte. Dovremmo permetterci di trovare cose che non ci aspettiamo. ‘Oumuamua, da questo punto di vista, è un dono del cielo. Anche se mi sbagliassi, anche se fosse soltanto un pezzo di roccia, nessuno sarebbe più felice di me”, assicura.
Poi aggiunge: “È importante mostrare che la scienza è un processo, che qualche volta gli scienziati sbagliano e su che cosa sbagliano. Mostrare gli errori e quello che impari da essi, essere trasparente: così crei fiducia e credibilità. Il più grande privilegio di uno scienziato è mantenere la curiosità di un bambino. E molti miei colleghi l’hanno persa…” Per il docente di Harvard, il merito principale del suo articolo è stato quello di aver attirato l’attenzione su questo genere di oggetti provenienti dallo spazio interstellare. La prossima volta che ne passerà uno, ne è sicuro, catalizzerà su di sé i migliori telescopi e gli strumenti più avanzati alla ricerca di quanti più dati possibili. “Il mio scopo è trovare la verità”, giura.
Anche in merito all’esistenza di civiltà nello spazio, Avi Loeb ha le idee chiare:”Noi non siamo speciali. Chi pretende che siamo l’unica civiltà intelligente dell’universo è arrogante. Io cerco di essere modesto-una modestia cosmica, direi. Ci sono tantissime stelle con pianeti simili alla Terra con un’atmosfera, acqua liquida sulla superficie e la chimica della vita come la conosciamo noi. Ci sono più pianeti simili alla Terra che granelli di sabbia in tutte le nostre spiagge.
Resta la domanda: dove trovare la vita, tanto quella microscopica quanto quella sviluppata, quella altamente tecnologica? Questo è l’obiettivo di alcune della mie ricerche degli ultimi tempi.” Ma a forza di falsi segnali alieni, anche se un giorno trovassimo prove inconfutabili, la gente non ci crederebbe più…. “A chi interessa?” ribatte il professore. “Potremmo anche essere una civiltà ignorante a causa di tanti falsi allarmi. Ma l’universo resta quello che è, non importa quello a cui vogliamo credere.”
SABRINA PIERAGOSTINI