La domanda non è nuova, anzi, gira da svariati decenni. Ma non è ancora passata di moda, visto che è stata riproposta e riesaminata nel corso di un recente meeting scientifico internazionale che si è svolto a Parigi. L’interrogativo è quello, celeberrimo, del fisico italiano Enrico Fermi: se gli Alieni esistono, perché non li troviamo? Insomma, dove sono tutti quanti? Astrofisici, biologi, sociologi , storici e psicologi stanno ancora cercando una risposta soddisfacente.
Quelli che si sono ritrovati qualche giorno fa nel museo della scienza della capitale francese, la Citè des Sciences et de l’Industrie, per il convegno promosso ogni due anni dal METI (acronimo di Messaging ExtraTerrestrial Intelligence, un’organizzazione no profit di ricerca e istruzione dedicata alla trasmissione di messaggi intenzionali nello spazio) hanno trascorso un’intera giornata a confrontarsi sul tema dell’incontro, ovvero: “Cos’è la vita? Una prospettiva extraterrestre”, analizzando il problema da vari punti di vista.
Tanti i temi trattati: gli ET se ne stanno zitti zitti per evitare le conseguenze che la consapevolezza della loro esistenza potrebbe provocare sull’umanità? Dovremmo essere noi a contattarli, mandando un segnale radio alle stelle più vicine, per far capire che siamo pronti ad entrare nel club delle civiltà galattiche? L’intelligenza aliena sarà simile alla nostra? La vita sulla Terra è arrivata dallo spazio, per una forma di immigrazione interstellare? Abitiamo in uno zoo galattico?
Domande curiose, specie l’ultima, soprattutto da parte di scienziati e di ricercatori accademici. Eppure, evidentemente, sono meno peregrine e assurde di quanto gli scettici ad oltranza pensano, visto che sono state oggetto di una discussione di tale livello. “Questo enigma relativo al fatto che non abbiamo mai individuato la vita extraterrestre è stato dibattuto spesso, ma nel focus di questo workshop molti degli interventi hanno preso in esame una controversa spiegazione, inizialmente suggerita negli anni ’70, chiamata l’ipotesi dello zoo”, ha dichiarato alla rivista online Forbes Florence Raulin Cerceau, membro del consiglio di amministrazione del METI.
L’idea- anche questa, non nuova- spiega l’assordante silenzio cosmico che ci circonda con una precisa volontà da parte degli Alieni, presa per difenderci e tutelarci. Questi ET, molto più avanti di noi in termini di sviluppo tecnologico, ci sono e sanno tutto di noi, ma hanno deciso di non farsi vedere per non condizionare la nostra evoluzione. Dunque, ci osservano, ma a distanza, curiosi e magari anche un po’ sospettosi, nascondendosi alle nostre strumentazioni. “Forse gli Extraterrestri stanno guardando gli umani sulla Terra, proprio come noi osserviamo gli animali in uno zoo“, spiega Douglas Vakoch, presidente del METI.
Ma come possiamo far uscire allo scoperto i nostri guardiani? Vakoch ha proposto che gli umani dovrebbero essere più attivi nella ricerca dell’intelligenza extraterrestre. “Se andassimo in uno zoo e all’improvviso una zebra si girasse verso di noi, ci guardasse negli occhi e iniziasse a battere una serie di numeri primi con lo zoccolo, ciò stabilirebbe una relazione radicalmente diversa tra noi e la zebra e ci sentiremmo in dovere di rispondere “, ha detto. Fuor di metafora, per l’astrobiologo noi dovremmo attirare in qualche modo l’attenzione degli Alieni, trasmettendo segnali radio potenti, intenzionali e ricchi di informazioni in direzione delle stelle più vicine.
Insomma, almeno stando agli esperti intervenuti a Parigi, se le civiltà dello spazio tacciono e ci evitano, lo fanno solo per il nostro bene. “Sembra probabile che gli Extraterrestri ci stiano imponendo una ‘quarantena galattica‘ perché si rendono conto che conoscerli, per noi, sarebbe culturalmente disastroso”, ha detto Jean-Pierre Rospars, direttore onorario dell’Institut National de la Recherche Agronomique. Gli ET sarebbero troppo avanti, per noi. “Non c’è motivo di pensare che gli umani abbiano raggiunto il più alto livello cognitivo possibile. Livelli superiori potrebbero evolvere sulla Terra in futuro ed essere già stati raggiunti altrove”, ha spiegato Rospars.
Oggi noi possiamo solo sperare di captare segnali dal cosmo con i radiotelescopi, ma il modo migliore, e più certo, per dimostrare l’esistenza di forme di vita intelligente sarebbe vederle su altri sistemi solari. Lo pensa Nicolas Prantzos, direttore della ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique, che ha detto: “Sebbene le comunicazioni radio forniscano un mezzo naturale per la ricerca di intelligenze extraterrestri per le civiltà più giovani, le civiltà più anziane dovrebbero piuttosto sviluppare ampi programmi di colonizzazione interstellare. Questo è l’unico modo per ottenere prove indiscutibili, a favore o contro l’esistenza dell’intelligenza extraterrestre “.
Ammesso poi che- una volta scoperti- riusciremo davvero a riconoscere i nostri cugini galattici. A dispetto degli esseri antropomorfi descritti da libri e film, potrebbero in realtà avere forme e aspetti talmente lontani da noi da risultare incomprensibili. E soprattutto del tutto imprevedibili. “L’ambiente su un pianeta extrasolare imporrà le sue regole”, ha spiegato Roland Lehoucq, un astrofisico che lavora presso il Commissariat à l’Énergie Atomique (CEA). “Non c’è alcuna tendenza nell’evoluzione biologica: l’enorme gamma di varie morfologie osservate sulla Terra rende improbabile qualsiasi speculazione esobiologica, almeno per la vita complessa macroscopica.”
Lehoucq si è detto molto scettico sul fatto che eventuali creature aliene possano avere qualcosa in comune con noi. Se lo crediamo, è solo colpa del nostro persistente antropocentrismo e della difficoltà che il cervello umano incontra nel contemplare un’intelligenza extraterrestre radicalmente diversa. La conclusione, per l’astrofisico francese, non è ottimistica. Siamo troppo concentrati su noi stessi per immaginare la vita extraterrestre, dice, figuriamoci se potremo mai individuarla o comunicare con essa. E forse proprio per questo non la troveremo mai.
SABRINA PIERAGOSTINI