La foto del secolo, così è stata definita la prima immagine reale di un buco nero. Lontano 55 milioni di anni-luce, nella galassia Virgo A (detta anche Messier 87 o M87), con una massa pari a 6 miliardi e mezzo quella del nostro Sole, questo mostro gravitazionale ha incantato tutti. Tutti entusiasti di fronte alla sua ombra circondata da quell’anello di materia incandescente che precipita al suo interno- proprio come se lo erano immaginato per decenni gli astrofisici in tutte le loro simulazioni e nelle rappresentazioni grafiche. La teoria ha trovato conferma nella realtà. Albert Einstein aveva ragione.
“Questa scoperta ha molteplici significati, ma per me il più importante è questo: abbiamo trasformato un concetto matematico in un oggetto fisico, che possiamo testare, misurare, osservare”, ha detto durante la conferenza stampa che si è tenuta a Bruxelles (una delle 6 città scelte per dare in contemporanea l’annuncio mondiale), Luciano Rezzolla, direttore dell’Istituto di Fisica teorica di Francoforte, membro del comitato scientifico che ha partecipato all’analisi teorica dei risultati. In questa scoperta ritenuta da molti epocale c’è tanta Italia, con la partecipazione anche dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Il progetto Event Horizon Telescope, nato alcuni anni fa, ha visto infatti la collaborazione di centinaia di ricercatori dei principali enti scientifici europei e mondiali e ha utilizzato una rete di telescopi sparsi in tutto il pianeta, ma coordinati tra di loro al nanosecondo, in modo da costituire un unico strumento di dimensioni globali con sensibilità e risoluzione senza precedenti. Solo così è stato raggiunto un obiettivo che tanti scienziati ritenevano troppo ambizioso, se non impossibile: fotografare un buco nero, l’oggetto più oscuro e misterioso dell’universo. In questa regione dello spazio tempo, il campo gravitazionale è tanto intenso che nulla può sfuggire dal suo interno, nemmeno la luce. Il confine matematico che lo separa dallo spazio circostante è chiamato orizzonte degli eventi.
“Con i telescopi di EHT abbiamo finalmente raggiunto una risoluzione sufficiente per guardare su una scala dell’orizzonte degli eventi”, ha spiegato all’ANSA il professor Rezzolla. “Dall’interno di questa superficie, nessuna informazione può essere scambiata con l’esterno. Per questo motivo i buchi neri sono importanti in fisica: il loro orizzonte degli eventi è infatti un limite invalicabile alla nostra capacità di esplorare l’universo”. Dal momento che assorbe tutta la luce, per definizione un orizzonte degli eventi non può essere visto direttamente. “Tuttavia è possibile predire teoricamente come apparirebbe la regione di plasma che gli è molto prossima. Questo è quello che abbiamo fatto e l’ottimo raccordo tra teoria e osservazioni ci ha convinto che questo è un buco nero come predetto da Einstein”, ha concluso Rezzolla.
Insomma, da oggi riusciamo a vedere e a studiare direttamente anche questi oggetti cosmici invisibili la cui esistenza è stata prevista da formule matematiche. Per gli addetti ai lavori, è un risultato talmente importante che un giorno la storia dell’astrofisica sarà suddivisa tra un prima e un dopo rispetto questa foto straordinaria. Dunque più che un punto di arrivo, è considerata un punto di partenza. Innanzi tutto, l’immagine del primo buco nero potrebbe essere maggiormente rifinita usando degli algoritmi, come ha affermato Sheperd Doeleman, direttore di EHT, professore dell’Università di Harvard e del centro di Astrofisica del centro Harvard-Smithsonian. Il prossimo obiettivo, poi, sarà fotografare anche Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio, pari a 4.3 milioni di masse solari, che si trova al centro della Via Lattea, a 26 mila anni-luce dalla Terra.”Non promettiamo niente, ma speriamo di farcela in tempi brevi”, ha detto Doeleman.
Non solo. Il progetto EHT già integra una decina di telescopi- dal Cile alla Germania, dalla California al Polo Sud- ma prossimamente ne entrerà a far parte anche quello che si trova in cima a Kitt Peak, in Arizona, che permetterà un’ ulteriore miglioramento nella risoluzione dell’immagine. E nel prossimo futuro, si prevede anche di includere un telescopio orbitante, al di fuori dell’atmosfera terrestre.“Potremmo realizzare film invece di fotografie”, ha aggiunto il direttore del progetto. “Vogliamo riprendere in tempo reale ciò che orbita intorno al buco nero, ecco cosa vogliamo fare nel prossimo decennio.” La strada è segnata, chissà dove porterà.
I buchi neri costituiscono per gli studiosi dei laboratori fisici unici ed averne ottenuto una loro immagine permette di studiare per la prima volta le condizioni estreme dello spazio-tempo attorno ad essi, dati finora inaccessibili alle nostre strumentazioni astronomiche. Ma da oggi tutto cambia, da oggi sarà possibile testare le leggi fondamentali che spiegano come l’Universo funzioni su piccole e grandi scale, per esempio per la fisica quantistica e la teoria della relatività generale di Einstein, e questo costituirà la base per poter creare e convalidare ciò che ancora manca, ovvero una unica singola teoria che sia universale. La famosa “teoria del tutto”.
In questo coro unanime che si leva da ogni parte del mondo scientifico, stona la voce di un fisico molto noto e spesso controcorrente, Antonino Zichichi. Intervistato dal programma di RadioRai “Un giorno da pecora”, ha sminuito l’importanza dello studio: “Se sono entusiasta di questo scatto? Certo che no, è ovvio che doveva essere così, non è affatto una scoperta: è la foto di una cosa che doveva esistere, un oggetto talmente potente che la sua forza gravitazionale non rilascia nemmeno la luce”, ha detto il professore siciliano, che ha chiosato: “Il progresso nasce dalle scoperte che facciamo nei nostri laboratori, dei buchi neri non sappiamo che farcene.”
SABRINA PIERAGOSTINI