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La domanda che da sempre affascina l’umanità riguarda la presenza di altre creature intelligenti nello spazio. Ma ce n’è un’altra che la segue di pari passo: se davvero esistono, come potremo comunicare con loro? Che tipo di messaggio inviare nello spazio? Di tipo matematico, basato sui suoni oppure in una lingua particolare? Gli Extraterrestri saranno in grado di decifrarlo? Può esistere, oltre ad una grammatica universale, anche una grammatica dell’universo?

IL LIBRO DI DANIEL OBERHAUS "EXTRATERRESTRAIL LANGUAGES"

IL LIBRO DI DANIEL OBERHAUS “EXTRATERRESTRIAL LANGUAGES”

Sono questioni alle quali prova a dare risposta un libro di recente pubblicazione, scritto dal giornalista scientifico statunitense Daniel Oberhaus, collaboratore della rivista WIRED,  intitolato “Extraterrestrial Languages” (“Lingue Extraterrestri”). Dopo un excursus su come è nata, a partire dalla fine dell’Ottocento, l’idea di provare a comunicare con civiltà aliene, l’autore passa in rassegna i diversi metodi presi in esame o utilizzati finora con l’inizio del METI, il progetto che consiste proprio nel messaggiare le intelligenze ET sparse- forse- attorno a noi. L’ultimo esperimento in ordine di tempo è il segnale partito da Tromsø, in Norvegia, in direzione di  GJ237b, un pianeta potenzialmente abitabile a 12 anni luce da noi.

Per tre giorni, le antenne degli impianti radar EISCAT hanno trasmesso una selezione di brevi brani musicali accompagnati da un manuale per interpretarne il contenuto, nella speranza che dall’altra parte, sul mondo che orbita intorno alla Stella di Luyten, qualcuno prima o poi possa captare e comprendere il segnale. Si è trattato del secondo tentativo del genere promosso dal “Sonar Calling GJ273b”, ideato dal METI International nel 2017. Non semplice “musica per Alieni”, ma un vero e proprio corso intensivo per ET, basato sul linguaggio extraterrestre sviluppato dai fisici Yvan Dutil e Stephane Dumas alla fine degli anni ’90.

LE SUPERANTENNE DEGLI IMPIANTI IN NORVEGIA

LE SUPERANTENNE DEGLI IMPIANTI IN NORVEGIA

Questo sistema simbolico parte dai numeri per  passare ad argomenti più complessi come la biologia umana e i pianeti nel nostro sistema solare- lo stesso principio alla base della lingua utilizzata nel primo, serio tentativo di comunicazione interstellare realizzato nella storia, con il messaggio inviato da Carl Sagan e Frank Drake dal radiotelescopio di Arecibo nel 1974. Tuttavia, spiega Oberhaus, questi sistemi di messaggistica impostati su numeri e aritmetica elementare potrebbero non essere il modo migliore per salutare i nostri vicini della stella accanto.

«Il primo sistema di comunicazione interstellare del mondo, la lingua cosmica o Lincos, dà il via a tutti i tentativi successivi ponendo al centro la matematica di base», spiega l’autore del libro.«Progettata dal matematico olandese Hans Freudenthal nel 1960, la Lincos ispirò molti altri matematici e scienziati a provare a costruire lingue extraterrestri. Ogni sistema è in definitiva un tentativo di risolvere un problema notevolmente complesso: come si comunica con un’entità intelligente di cui non si sa nulla? La domanda punta alla natura dell’intelligenza stessa. Gli umani sono l’unica specie sulla Terra dotata di capacità matematiche avanzate e di una facoltà di linguaggio a tutti gli effetti, ma sono questi i segni distintivi dell’intelligenza o sono delle peculiarità umane? C’è un aspetto dell’intelligenza che è veramente universale?»

IL METI INVIA MESSAGGI IN DIREZIONE DI POTENZIALI INTELLIGENZE ALIENE

IL METI INVIA MESSAGGI IN DIREZIONE DI POTENZIALI INTELLIGENZE ALIENE

Da secoli, gli scienziati ritengono la matematica il metodo più efficace per descrivere la natura dell’universo, il che ha portato molti di loro a concludere che la matematica sia insita nel cosmo: non sarebbe tanto un prodotto della mente umana, quanto una realtà a sé stante che la mente scopre. «La maggior parte dei sistemi di comunicazione interstellare sono stati progettati attorno a questa conclusione e insegnano agli ET il modo in cui codifichiamo i numeri come simboli», dice ancora Oberhaus. Tuttavia la Lincos si basa sul presupposto che gli Alieni siano simili agli esseri umani nel loro approccio mentale. Ma se questo è vero, allora non potrebbero avere anche un linguaggio simile a quello umano?

Un interrogative sul quale si sono confrontati Marvin Minsky e John McCarthy, due dei pionieri dell’intelligenza artificiale, interessati anche alla ricerca delle intelligenze aliene.  A loro avviso, gli ET hanno probabilmente una lingua, perché è la soluzione ideale per i problemi che ogni specie si trova ad affrontare. Ma è tutto da stabilire se quella lingua sarà somigliante alla nostra. «In altre parole, se obbedirà anche alla grammatica universale, la struttura gerarchica e ricorrente che secondo il linguista Noam Chomsky è elemento comune di tutte le lingue umane», dice Oberhaus.

POITREBBE ESISTERE UNA GRAMMATICA DELL'UNIVERSO, CON REGOLE COMUNI?

ESISTE UNA GRAMMATICA DELL’UNIVERSO, CON REGOLE COMUNI PER LE LINGUE DELLO SPAZIO?

Studi recenti di neurolinguistica, tuttavia, tendono a ritenere il linguaggio e la sua grammatica universale un’espressione del nostro cervello. Tali scoperte farebbero così pensare che le caratteristiche condivise dai linguaggi naturali sarebbero codificate in base alla connessione neuronale: in altre parole, la nostra facoltà di linguaggio potrebbe essere indissolubilmente legata alla struttura dei nostri neuroni.  Per avere un linguaggio simile al nostro, gli Extraterrestri dovrebbero avere anche una neurobiologia praticamente uguale. Per Oberhaus «dire che gli Alieni potrebbero pensare come noi e avere un linguaggio è una cosa, ma sostenere che hanno un cervello come il nostro è ai limiti dell’impossibile. Ma potrebbe non essere così folle come sembra.»

La biologia è legata alle leggi della fisica che pongono vincoli sull’evoluzione. Lo vediamo anche sulla Terra: nonostante le apparenze, le molteplici specie animali hanno forti somiglianze le une con le altre. Le strutture degli occhi – ad esempio- sono molto simili e ricorrenti, per il semplice fatto che la vita sul nostro pianeta deriva da quegli stessi quattro nucleotidi di partenza che formano le molecole del DNA.  E il punto di arrivo evolutivo non è infinito. Così, pur immaginando un esopianeta diverso dal nostro, anche su quel mondo l’evoluzione sarà vincolata dalle stesse leggi fisiche e anche le creature extraterrestri subiranno gli stessi limiti dati da tempo, energia e risorse a disposizione.

I NUCLEOTIDI COMPONGONO LA MOLECOLA DEL DNA

I NUCLEOTIDI COMPONGONO LA MOLECOLA DEL DNA

Quindi, conclude l’autore di “Extraterrestrial Languages”, è lecito postulare che a problemi comuni si arrivi a soluzioni comuni- come un cervello capace di formulare un linguaggio gerarchico e ricorrente. Se così fosse, avremmo finora sbagliato completamente approccio nella nostra messaggistica interstellare. «In tal caso, il modo migliore per comunicare grandi quantità di informazioni potrebbe non essere la progettazione scrupolosa di linguaggi artificiali da zero, ma l’invio di un ampio corpus di testi in linguaggio naturale, come un’enciclopedia. È così che sulla Terra addestriamo gli algoritmi del linguaggio naturale, che ricavano le regole del linguaggio umano analizzando statisticamente grandi raccolte di testo.

 Se ET ha sviluppato la propria Intelligenza Artificiale, potrebbe potenzialmente decifrare la struttura di un messaggio in linguaggio naturale. Naturalmente, gli algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale sulla Terra non comprendono davvero il significato del testo che analizzano. Stanno manipolando dei simboli alla cieca. E gli Alieni potrebbero aver ancora bisogno di un qualche tipo di linguaggio extraterrestre per collegare alcuni dei simboli del linguaggio umano al loro significato. Ma come sulla Terra, il modo migliore per iniziare una conversazione interstellare potrebbe essere semplicemente un “ciao”».

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