La ricerca di forme di vita al di fuori del nostro pianeta è al centro dell’agenda di tutte le agenzie spaziali: la prima a trovarla e a dare l’annuncio al mondo entrerà di diritto nei libri di storia. Ecco perché anche il 2020 vedrà incrementare gli sforzi in questa direzione, con missioni e progetti volti proprio a individuare la vita aliena. Ma prima- dicono molti ricercatori- dovremmo sapere bene cosa cerchiamo. Anche perché, se non abbiamo le idee chiare, rischiamo di non riconoscere i segnali indicatori dell’attività biologica extraterrestre.
LA RICERCA DELLA VITA EXTRATERRESTRE IMPEGNA TUTTE LE AGENZIE SPAZIALI
È la riflessione al centro di alcuni articoli pubblicati in questi giorni da vari siti online, da Newscientist al magazine dell’istituto Smithsonian, passando dalla rivista The Conversation che pubblica il testo scritto da Peter Vickers, professore associato di Filosofia della Scienza presso la Durham University. Il punto di partenza è proprio questo: se mai troveremo prove di vita aliena, siamo certi che ce ne renderemo conto? Il dubbio è legittimo, visto che su pianeti profondamente diversi dal nostro essa potrebbe assumere forme così insolite da renderla difficilmente riconoscibile.
«Negli ultimi anni abbiamo assistito a cambiamenti nelle nostre teorie rispetto a ciò che ha valore come bio-firma o in merito a quali pianeti potrebbero essere abitabili e ulteriori cambiamenti sono inevitabili. Ma la cosa migliore che possiamo davvero fare è interpretare i dati a disposizione con la nostra migliore teoria attuale, non con qualche idea futura che ancora non abbiamo», esordisce nel suo articolo il docente britannico. Il problema non è da poco, visto che persino uno dei membri del consiglio consultivo della NASA, Scott Gaudiof, ha dichiarato:«Di una cosa sono abbastanza sicuro, ora che ho trascorso più di 20 anni nel campo degli esopianeti: bisogna aspettarsi l’inaspettato».
SU ESOPIANETI MOLTI DIVERSI DAL NOSTRO, COME APPARIRÀ LA VITA?
«Ma è davvero possibile “aspettarsi l’inaspettato”?», si domanda Vickers. In effetti, molte scoperte in ambito scientifico sono avvenute per caso, come ad esempio l’individuazione del primo antibiotico della storia, la penicellina, oppure la presenza della radiazione cosmica di fondo lasciata dal Big Bang. Una buona dose di fortuna sarà sufficiente anche quando parliamo di vita extraterrestre? Insomma, quando la vedremo-magari imbattendoci in essa per pura coincidenza– capiremo di averla trovata? Alcuni esperimenti sembrano metterci in guardia: non sempre siamo in grado di “aspettarci l’inaspettato”.
Secondo lo psicologo Daniel Simons, al contrario, spesso il nostro cervello non vede proprio ciò che non è previsto. È la cosiddetta “cecità cognitiva”. I suoi test hanno dimostrato che quando siamo concentrati ad osservare un determinato elemento, diventiamo incredibilmente distratti su tutto il resto. Famoso il suo esperimento del gorilla: in un video, si vede un gruppo di ragazzi passarsi delle palle. Allo spettatore viene chiesto di fare molta attenzione e di contare quanti passaggi avvengono solo tra i giocatori che indossano una maglia bianca. Seguendo la palla da una mano all’altra, l’osservatore quasi sempre non si accorge di una presenza ingombrante: un attore vestito da gorilla che attraversa placidamente la scena…
UN MOMENTO DEL TEST IDEATO DA SIMONS
Ne sono consapevoli anche i filosofi della scienza: ciò che notiamo dipende, anche in modo molto pesante, da quello che pensiamo. Teorie, concetti, credenze di fondo e aspettative precedenti ci condizionano. Il professore di Durham cita un esempio tra i tanti: «Quando gli scienziati hanno scoperto per la prima volta prove di scarse quantità di ozono nell’atmosfera sopra l’Antartide, inizialmente le hanno scartate come dati errati. Non avendo precedenti motivazioni teoriche per aspettarsi un buco nell’ozono, gli scienziati lo hanno escluso a priori. Per fortuna, poi, hanno deciso di ricontrollare e la scoperta è stata confermata».
Potrebbe allora succedere qualcosa di simile anche nella ricerca della vita extraterrestre? Gli astrofisici che scrutano il cosmo per scoprire i pianeti in altri sistemi solari sono sopraffatti dalla sovrabbondanza di possibili obiettivi di osservazione che attirano loro attenzione. Negli ultimi 10 anni, siamo arrivati quasi a quota 4 mila, più di uno al giorno- ricorda Vickers- e la tendenza si accentuerà in futuro. «Ogni nuovo esopianeta è ricco di complessità fisiche e chimiche. È fin troppo facile immaginare la possibilità in cui gli scienziati non ricontrollano un obiettivo contrassegnato come “privo di significato”, ma il cui grande valore sarebbe invece riconosciuto da un’analisi più ravvicinata o con un approccio teorico non standard». Insomma, il rischio di scartare ingiustamente un pianeta, al contrario interessante, esiste.
NELLA RICERCA DELLA VITA ALIENA NON CI VOGLIONO PRECONCETTI
Tuttavia, il docente invita alla fiducia: un ricercatore può sempre notare qualcosa di importante anche se non rientra nella norma e non rispetta la teoria dominante. E se lo sa lui, poi lo saprà l’intera comunità scientifica. La storia della scienza dimostra che un’osservazione scevra di preconcetti permette di superare anche idee diffuse, ma errate, e di fare grandi progressi. Quello che serve è una mente aperta e disponibile ai cambiamenti, anche radicali, di pensiero. Capace di non farsi condizionare da quello che è comunemente accettato e condiviso e di studiare anche quello che di solito viene trascurato. Uno sforzo che il professore di Durham considera non solo legittimo, ma persino cruciale se vogliamo comprendere l’universo.
«Le aree scarsamente esplorate devono essere indagate e non possiamo sapere in anticipo cosa troveremo. Nella ricerca della vita extraterrestre, gli scienziati devono essere completamente aperti. E questo significa un certo incoraggiamento nei confronti di idee e tecniche non convenzionali. Gli esempi della scienza passata (compresi quelli molto recenti) mostrano che le idee fuori dal coro possono talvolta essere fortemente ostacolate. Le agenzie spaziali come la NASA devono imparare da questi casi se credono veramente che, nella ricerca della vita aliena, dovremmo “aspettarci l’inaspettato”».