Un oceano antico e profondo, ricco di composti organici, del tutto simili a quelli della Terra. Ma quell’estesa massa di acqua piena zeppa di carbonio e azoto- i mattoni base della vita- si trovava in un tempo remoto su Marte. A stabilirlo, sono stati alcuni ricercatori giapponesi riesaminando uno dei reperti più discussi degli ultimi decenni: la roccia di origine marziana scoperta nel 1984 in Antartide.
IL METEORITE DI ORGINE MARZIANA TROVATO IN ANTARTIDE
L’Allan Hills 84001 (chiamato così dal luogo del ritrovamento, abbreviato in ALH 84001) si sarebbe formato quasi quattro miliardi di anni fa sul Pianeta Rosso. Circa 15 milioni di anni fa, in seguito ad un catastrofico impatto cosmico, quel frammento fu lanciato nello spazio e dopo un lungo viaggio precipitò al Polo Sud dove fu recuperato durante una spedizione organizzata proprio per trovare meteoriti caduti sul nostro pianeta. Da subito attirò l’attenzione degli addetti al lavori per la presenza, al suo interno, di materiale organico. Nel 1996, uno studio della NASA ipotizzò addirittura che presentasse traccia di minuscole forme di vita marziana: il microscopio a scansione elettronica aveva individuato delle formazioni interpretate dagli studiosi come batteri fossili.
Un’affermazione clamorosa che poi, nel corso degli anni, è stata smentita da altri ricercatori che hanno dimostrato che quel tipo di strutture si possono formare spontaneamente nelle rocce a determinate condizioni di calore e di pressione. E anche la stessa presenza dei composti organici, precursori della vita, è stata oggetto di molte diatribe tra gli esperti: le molecole arrivavano davvero da Marte o sono terrestri? Un’annosa questione sulla quale sono stati scritti decine di articoli scientifici: non si poteva infatti escludere che il meteorite marziano si fosse contaminato nell’impatto sul nostro pianeta, rimanendo per milioni di anni conficcato nell’Antartide o magari persino una volta in laboratorio.
UN’IMMAGINE AL MICROSCOPIO A SCANSIONE ELETTRONICA
Ora, a quanto pare, questa eventualità viene scartata dall’ultimo studio condotto in Giappone in un laboratorio “di classe 100″, ovvero sterile, con strettissime misure di sicurezza– i tecnici operano rivestiti dalla testa ai piedi, coperti da una tuta anticontaminazione, la ventilazione è controllata per impedire alle particelle di fluttuare. In questo ambiente super-pulito, sono stati prelevati dei piccolissimi granelli di carbonato dal meteorite: con un fascio di ioni gli esperti hanno rimosso la parte superficiale per esaminare il materiale sottostante- non contaminato, con le sostanze chimiche originali. E in quel nucleo hanno scoperto livelli di azoto organico molto elevati, giustificabili solo con la formazione della roccia nell’ acqua.
Acqua molto abbondante e dalla composizione simile a quella dei nostri oceani. Il risultato è importante, perché “l’azoto è un elemento essenziale per tutta la vita sulla Terra, in quanto è necessario per proteine, DNA, RNA e altri materiali vitali”, hanno scritto i ricercatori nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature Communications. Inoltre, la scoperta va nella stessa direzione di altri indizi raccolti da Curiosity, che sulla superficie marziana ha trovato tracce di materiale organico. Ma mentre i dati del rover non ci dicono da dove provengono quelle molecole, quanto sono antiche, come si sono formate, l’esame effettuato nel laboratorio giapponese dà invece la risposta: la loro origine è nell’oceano che qualche miliardo di anni fa ricopriva Marte.
SU MARTE ESISTEVA UN VASTO OCEANO IN TEMPI REMOTI
Tuttavia, la conferma che sul Pianeta Rosso c’erano carbonio e azoto non significa avere la certezza che ci fosse attività biologica: gli scienziati sanno che queste molecole organiche si trovano in molti luoghi del cosmo privi di vita, come sulle comete o persino nella polvere interstellare. L’esistenza o meno di batteri e di altri microorganismi su Marte è tutta da appurare. Ma se così fosse? Se fossero realmente esistiti e soprattutto se tuttora vivessero sopra o sotto la superficie del pianeta? Sarebbe un serio problema da affrontare e sul quale intervenire con la massima attenzione, risponde Scott Hubbard, ex direttore del centro Ames della NASA
Hubbard, ora docente di aeronautica e astronautica dell’Università di Stanford, in un articolo pubblicato ad aprile sul giornale National Academies of Sciences, ha sostenuto la necessità di una “protezione planetaria”– una sorta di quarantena…- per evitare che campioni marziani riportati sulla Terra possano contaminarci. Dobbiamo essere pronti- ha detto- a un potenziale incontro con virus e batteri sconosciuti, e per questo potenzialmente molto pericolosi, quando gli equipaggi ritorneranno dal Pianeta Rosso. E la prima missione umana è prevista per il prossimo decennio, verso la metà del 2030.
TRA LE ROCCE MARZIANE POTREBBERO NASCONDERSI VIRUS E BATTERI ANCORA ATTIVI
Le astronavi di ritorno, le persone a bordo, il materiale riportato dovranno essere sottoposti a una approfondita e minuziosa decontaminazione. «È mia opinione, e della comunità scientifica, che la possibilità che rocce marziane antiche di milioni di anni possano ancora contenere forme di vita attive in grado di infettare la Terra sia estremamente bassa», ha detto in un’intervista allo Standford News. «Tuttavia, i campioni riportati dalla NASA dovranno andare in quarantena ed essere trattati come se contenessero il virus Ebola, fino a prova contraria.»