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Panspermia, un esperimento la conferma

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Resistenti al caldo infernale o al freddo siderale, indifferenti alle radiazioni e senza problemi anche se manca l’ossigeno. Molti batteri riescono a sopravvivere nelle condizioni più estreme. Ma anche nello spazio? A quanto pare, sì. Un esperimento effettuato sulla ISS ha dimostrato che l’assenza di aria e l’esposizione ai raggi UV non bastano a uccidere i cosiddetti “estremofili”. Una notizia che riporta in auge la panspermia, una delle teorie più controverse con le quali spiegare la diffusione della  vita nell’universo.

ALCUNI BATTERI POSSONO SOPRAVVIVERE A CONDIZONI ESTREME

ALCUNI BATTERI POSSONO SOPRAVVIVERE A CONDIZONI ESTREME

La panspermia non è un’idea recente, anzi: la si fa derivare dagli insegnamenti di Anassagora, filosofo greco vissuto nel V secolo a.C. Ripresa nel 1800, approfondita all’inizio del secolo scorso e – di recente- resa celebre dai fisici Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe, si fonda sulla possibilità che i semi della vita, ovvero i “mattoni” essenziali che compongono la chimica organica (carbonio, azoto, ossigeno…), viaggino nello spazio grazie ad asteroidi e comete, diffondendosi ovunque. Su quelle rocce a zonzo da un punto all’altro del cosmo, insieme alle molecole-base della biologia, potrebbero trovarsi anche dei microorganismi, come appunto i batteri.

Pur trovando un certo seguito tra gli astrobiologi, questa teoria viene contestata da molti ricercatori che non ritengono probabile la sopravvivenza di forme di vita, per quanto elementari, nel vuoto cosmico. L’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Microbiology sembra invece andare in direzione opposta. Lo studio condotto dai ricercatori dell’ Università di Tokyo insieme all’agenzia spaziale giapponese, la Jaxa, ha infatti portato sulla stazione internazionale, in orbita attorno alla Terra, una coltura di deinococcus radiodurans (un batterio per l’appunto estremofilo) che è stata lasciata per tre anni, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2018, su un pannello esterno. Poi i campioni sono stati esaminati in laboratorio.

L'ESPERIMENTO CONDOTTO SULLA ISS

L’ESPERIMENTO CONDOTTO SULLA ISS

Al di sotto dello strato superficiale formato da batteri morti, tutti gli altri erano vivi. Secondo i ricercatori, una colonia di 1 millimetro di diametro potrebbe resistere fino a 8 anni nello spazio. «Il risultato suggerisce che il deinococcus possa sopravvivere durante il viaggio tra la Terra e Marte e viceversa, pari ad alcuni mesi o anni nell’orbita più ravvicinata», ha spiegato Akihiko Yamagishi, docente di Farmacia e Scienze della Vita e tra i principali responsabili della missione denominata Tanpopo – ovvero, “dente di leone”, il soffione del tarassaco pieno di semi che il vento sparge nell’aria. In effetti, non si esclude che la vita sul nostro pianeta sia arrivata proprio da Marte, a bordo di rocce marziane espulse in seguito a un enorme impatto e lanciate alla deriva nello spazio.

Non solo Marte, però. La panspermia dovrebbe agire in un contesto molto più ampio. «L’origine della vita sulla Terra è il mistero più grande per l’umanità e gli scienziati hanno punti di vista molto divergenti in materia. Alcuni pensano che la vita sia molto rara e si sia verificata solo una volta nell’Universo, mentre altri ritengono che possa verificarsi in ogni pianeta adatto», ha detto il dottor Yamagishi. «Se la panspermia è possibile, allora la vita deve esistere in modo molto più frequente di quanto immaginato in precedenza.» Anche perché- a differenza del pannello della ISS, continuamente esposto ai raggi solari e cosmici, all’interno di comete e asteroidi i microorganismi risulterebbero più protetti e quindi rimarrebbero vitali per un periodo maggiore degli 8 anni ipotizzati dallo studio.

COMETE E ASTEROIDI TRASPORTANO I MATTONI DELLA VITA?

COMETE E ASTEROIDI TRASPORTANO I MATTONI DELLA VITA?

La scoperta del team giapponese dunque dà nuova linfa all’ultimo sviluppo di questa teoria, la “panspermia interstellare o galattica”, secondo la quale la vita è ovunque attorno a noi perché i batteri vengono trasportati da rocce spaziali e pulviscolo per l’intero cosmo, anche a distanze enormi. Un articolo, postato nel novembre 2018 su arXiv.org,  subordinava la probabilità della panspermia galattica alla sopravvivenza degli organismi e alla velocità di comete e asteroidi, sostenendo però che nella Via Lattea ci potrebbe essere un costante scambio di “mattoni della vita” provenienti da luoghi remoti della galassia. Magari grazie a quegli oggetti misteriosi, come Oumuamua, sicuramente proveniente da un altro sistema stellare, che ha incrociato il nostro tre anni fa per poi proseguire il suo viaggio verso l’infinito. Tra gli autori di questo studio, c’era anche il fisico teorico Avi Loeb, direttore del Dipartimento di Astronomia di Harvard.

UNA RESA ARTISTICA Di OUMUAMUA, VIAGGIAOTRE INTERSTELLARE

UNA RESA ARTISTICA Di OUMUAMUA, VIAGGIATORE INTERSTELLARE

Loeb ha stupito la comunità scientifica sostenendo la possibilità che Oumuamua non fosse una stramba cometa interstellare, ma una sonda costruita chissà quando da una civiltà dello spazio e poi mandata in esplorazione. Nell’articolo del 2018, compare un’altra ipotesi poco ortodossa: la possibilità che i pianeti vengano “inseminati” di vita volontariamente. «Specie intelligenti e tecnologicamente avanzate a un certo punto avranno bisogno sia di insediarsi su un nuovo pianeta sia semplicemente di desiderarlo fare (panspermia diretta)», si legge nelle conclusioni.  «Distinguere tra panspermia naturale e diretta sarà complicato. Tuttavia, trovare biofirme su un pianeta al di fuori della fascia di abitabilità potrebbe essere una prova della panspermia diretta. È anche plausibile che alcuni oggetti come Oumuamua siano artificiali. Considerando l’elevato numero di oggetti simili che prevediamo di intercettare, trovare segni di tecnologia extraterrestre sarà difficile, tuttavia vale la pena di cercarli.»

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