Per cinquant’anni ha studiato un fenomeno antico come l’uomo e che dopo migliaia di anni non ha ancora una spiegazione univoca. Perché da sempre alcuni individui sperimentano esperienze drammatiche e nello stesso tempo illuminanti: arrivano a un passo dalla morte e quando tutto sembra finito, per loro tutto invece sembra avere finalmente inizio. Sono le esperienze di pre-morte sulle quali la scienza da tempo si interroga. Lo ha fatto anche Bruce Greyson, professore emerito di Psichiatria all’Università della Virginia che dopo mezzo secolo ha deciso di raccogliere in un libro le storie sorprendenti che tanti sopravvissuti gli hanno raccontato.
IL PROFESSORE BRUCE GREYSON
Come la storia di Gregg. Aveva 24 anni quando scivolò nelle acque di un fiume e si ritrovò senza aria, sul punto di morire per annegamento, sul fondale sabbioso. In quel preciso momento, davanti ai suoi occhi passarono immagini nitide della sua infanzia che nemmeno sapeva di ricordare e altre della sua vita da ragazzo: velocissime, eppure ben distinte e distinguibili, una dopo l’altra, come un’onda. Contemporaneamente però era anche consapevole di quello che lo circondava: l’acqua, il fondale sabbioso, la mancanza d’aria. E li percepiva “come mai prima”, senza ansia o paura: si sentiva calmo e a proprio agio. Nel raccontare al dottore quegli istanti, disse in seguito di aver pensato che i suoi sensi dovevano essere rimasti offuscati fino a quel giorno, perché solo allora poteva “comprendere appieno il mondo e il vero significato dell’Universo”. Poi, all’improvviso il buio e la sensazione che qualcosa sarebbe accaduto: nel suo caso, il salvataggio e il ritorno alla vita.
Era vivo, ma non capiva cosa gli era successo. E non era il solo a voler sapere. Alle riunioni organizzate negli Anni Ottanta dal professor Greyson partecipavano 30 persone o anche più, che ascoltavano le esperienze altrui e riferivano le proprie. Per lo psichiatra non erano novità. Già ai tempi della sua formazione universitaria aveva sentito un paziente raccontare di aver lasciato il corpo mentre giaceva incosciente in un letto di ospedale: poteva descrivere eventi successi in un’altra stanza. Per Greyson, cresciuto in una famiglia con un forte background scientifico, quelle parole non avevano alcun senso. La sua prima reazione, dunque, fu di scetticismo. Ma i continui resoconti di persone che avevano vissuto esperienze ultraterrene una volta dichiarate clinicamente morte lo ha spinto nel corso degli anni ad affrontare questo affascinante e discusso campo di indagine. Il punto di svolta, la lettura del best seller “Life After Life” del collega Raymond Moody pubblicato nel 1975 che ha dato pubblica visibilità al fenomeno e gli ha anche trovato un nome, NDE, Near Death Experiences– esperienze di pre-morte.
CHI SPERIMENTA UN’ESPERIENZA DI PRE-MORTE SPESSO RACCONTA DI AVER LASCIATO IL PROPRIO CORPO
«Per la prima volta mi sono reso conto che non si trattava di un solo paziente, ma era un fenomeno comune», ha detto il dottore in un’intervista al quotidiano britannico The Guardian. Ad affascinarlo, la domanda più grande di tutte: cosa succede davvero quando moriamo? La risposta non l’ha ancora trovata, ma da uomo di scienza almeno ha iniziato a sgombrare il campo da qualche risposta elaborata forse troppo frettolosamente. Nel suo libro, “After” riporta decine di testimonianze. Si avvicina ai pazienti tornati a respirare dopo lunghi minuti di blackout e rivolge sempre le stesse domande: «Chiedo: “Qual è l’ultima cosa che ricordi prima di aver perso conoscenza?” Poi: “Cos’è che ti ricordi successivamente?” E infine: “Cosa ricordi tra quei due momenti?” Non tutti reagiscono bene alle domande: la maggior parte delle persone mi fissa senza capire. Ma circa uno su cinque risponde: “Beh, sai, pensavo di aver visto mio padre, che è morto 20 anni fa”. Io dico: “Raccontamelo” e li lascio parlare …»
IL LIBRO DELLO PSICHIATRA APPENA PUBBLICATO
In “After” ritroviamo i dettagli che abbiamo visto molte volte al cinema. Alcune persone ricordano esperienze extracorporee o riferiscono di aver viaggiato attraverso un lungo tunnel; altri hanno incontrato entità che considerano Dio oppure parenti morti da tempo; alcuni hanno sentito il tempo piegarsi e deformarsi, come se fosse elastico. Quasi tutti ricordano sensazioni di pace, serenità, benessere. E quasi nessuno riesce a trovare le parole adatte per spiegare quell’esperienza trascendentale, a volte mistica, ma sempre straordinaria. «Quando parlo con coloro che hanno sperimentato la pre-morte, una delle prime cose che dicono è: ”Non riesco a dirlo in parole”.» Una volta uno di loro gli ha spiegato perché: «Noi viviamo in tre dimensioni e ciò che ho visto al confine tra la vita e la morte sembrava in qualche modo più grande». Un altro gli ha detto che raccontare la sua NDE era come cercare di “disegnare un odore con i pastelli”: insomma, praticamente impossibile.
TRA I RICORDI PIÙ COMUNI, L’IMMAGINE DI UN TUNNEL DI LUCE
Negli anni, la scienza ha cercato di dare una spiegazione a queste immagini vivide, cristalline e nello stesso tempo assurde. Il neurologo Kevin Nelson le ritiene una fusione tra due stati di coscienza– veglia e sonno REM- in un momento di grande stress emotivo e fisico. Per la maggior parte, i ricercatori interpretano le NDE come allucinazioni complesse, effetto dello stato di sofferenza del cervello che induce il corpo a produrre endorfine- gli ormoni che attenuano il dolore e ci fanno sentire felici. Il professor Greyson non si sbilancia, ma si capisce che queste spiegazioni non lo entusiasmano. «Ci sono ipotesi fisiologiche che sembrano plausibili in teoria, ma nessuna è decisiva. Le sostanze chimiche del benessere, come le endorfine, vengono rilasciate nel corpo in un punto di pericolo, creando euforia? Il cervello in crisi di ossigeno provoca fantasie apparentemente reali? Diverse aree del cervello iniziano improvvisamente a lavorare in concerto per creare strani stati alterati? Nessuno lo sa per certo. I dati non lo dimostrano», dice Bruce Greyson al suo intervistatore.
LA MENTE HA UN’ESISTENZA SEPARATA DAL CERVELLO?
In “After”, Greyson afferma di prendere sul serio la possibilità che le NDE possano essere provocate da cambiamenti fisici nel cervello e accetta l’idea che la mente possa essere in grado di funzionare indipendentemente da esso. Lo dice alla luce delle centinaia di testimonianze di persone che hanno sperimentato esperienze vivide- le più intense della loro vita- proprio mentre per tutti erano morti. Un apparente nonsense che gli fa chiedere: «Sono questi gli ultimi momenti della coscienza? O i momenti iniziali dell’Aldilà?». Domande alle quali i neuroscienziati ribattono infastiditi che non ci sono prove scientifiche né ordinarie né straordinarie in grado di sostenere queste affermazioni, di pertinenza solo della fede. Obiezioni davanti alle quali Greyson non si scompone: è vero, non si possono fare verifiche, anche perché le NDE avvengono senza preavviso e per questo sono praticamente impossibili da testare. Non di meno, però, il professore insiste nella sua convinzione spiazzante: «Mi sembra molto probabile che la mente sia in qualche modo separata dal cervello e, se è vero, forse può funzionare quando il cervello muore. Ma se la mente non è lì, nel cervello, dov’è? E che cos’è?» Già.
LE NDE TRASFORMANO PROFONDAMENTE CHI LE VIVE
A sorprendere di più il docente- uno psichiatra con una lunga esperienza, abituato a ogni tipo di psicosi e di disturbo mentale- è l’impatto che le esperienze di premorte hanno sui sopravvissuti, per i cambiamenti radicali che determinano sui loro valori, le convinzioni, l’atteggiamento generale nei confronti della vita. Soprattutto, non hanno più paura della morte e vivono in modo più profondo ogni attimo. E aborrono tutto ciò che è violenza. Nient’altro sortisce il medesimo effetto. Studiare le NDE ha reso Bruce Greyson più aperto alle idee insolite e più conscio dell’ignoto. Per lui, cresciuto in un ambiente familiare tutto intriso di razionalità e privo di spiritualità, adesso si fa strada una visione del tutto inconcepibile per l’uomo di scienza che era una volta. «Sono convinto ora, dopo aver fatto questo per 40-50 anni, che ci sia vita oltre il nostro corpo fisico. Riconosco che c’è una parte non fisica di noi», dice. «È spirituale? Non ne sono certo. La spiritualità di solito implica la ricerca di qualcosa di più grande di noi, per trovare il senso e lo scopo nell’universo. Beh, io di sicuro ce l’ho.»