«Una conseguenza involontaria dei progressi nella ricerca sulle cellule staminali, nelle neuroscienze e nella scienza della rianimazione è stata quella di consentire intuizioni scientifiche su ciò che accade al cervello umano in relazione alla morte. L’esplorazione scientifica della morte è in gran parte possibile grazie al riconoscimento che le cellule cerebrali sono più resistenti agli effetti dell’anossia di quanto ipotizzato. Quindi, le cellule cerebrali vengono danneggiate irreversibilmente e “muoiono” nel giro di ore o giorni dopo la morte. La scienza della rianimazione ha consentito di riportare in vita milioni di persone dopo che il loro cuore si era fermato. Questi sopravvissuti hanno descritto un insieme unico di ricordi in relazione alla morte che sembrano universali.» Recita così l’abstract– ossia, la sintesi- di un articolo scientifico che potrebbe cambiare per sempre la nostra percezione della morte.
COSA ACCADE QUANDO MORIAMO?
Un tema che riguarda ognuno di noi, eppure finora raramente studiato in modo sistematico. La scienza appare in imbarazzo, soprattutto quando si tratta di NDE, Near Death Experience– l’esperienza di premorte talora sperimentata da coloro che vengono riportati alla vita dopo che il cuore è rimasto fermo per secondi, a volte minuti interminabili. Sensazioni che si ripetono quasi sempre identiche: si vede dall’alto il corpo inanimato, si ha la consapevolezza di non essere più vivi, si ripercorre in un istante i momenti più importanti della propria esistenza, si viene attirati da una luce intensa, si prova uno stato di pace e di amore assoluto, si incontrano i familiari già deceduti oppure esseri spirituali. Se chiedete a un medico rianimatore o a un neurologo cosa ne pensa, quasi sicuramente risponderà che si tratta solo di allucinazioni di un cervello che sta morendo. Ma forse si sbagliano nel liquidare così facilmente la faccenda.
MOLTE PERSONE TORNATE IN VITA RACCONTANO DI AVER VISTO UN TUNNEL DI LUCE
A dirlo sono alcuni loro colleghi, specializzati in diversi ambiti della medicina. Insieme hanno curato un nuovo studio pubblicato dagli Annals of the New York Academy of Sciences. Il documento è il primo del genere in assoluto sottoposto a peer review: ha ottenuto quindi la revisione tra pari, nel senso che è stato vagliato e approvato da altri ricercatori. L’articolo che prende in esame scientificamente cosa sia la morte ha come obiettivo quello di fornire approfondimenti sui potenziali meccanismi, implicazioni etiche e considerazioni metodologiche per l’indagine sistematica, di identificare problemi e controversie nell’area di studio in questione, di standardizzare e facilitare la ricerca futura. Evidentemente i tempi sono maturi: per molti scienziati il concetto stesso di morte è radicalmente cambiato e non è più paragonabile oggi a quello comunemente accettato solo qualche decennio fa.
Già nel 2016, Anders Sandberg- ricercatore presso il Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford- scriveva:«Essere “irreversibilmente morto” dipende dalla tecnologia. Per molto tempo, la mancanza di respiro e di polso sono stati considerati segni distintivi della morte, fino a quando i metodi di rianimazione non sono migliorati. Oggi, le vittime di annegamento che soffrono di estrema ipotermia, mancanza di ossigeno, battito assente per diverse ore possono essere rianimate (se hanno fortuna e grazie a intensi interventi medici). Anche non avere un cuore non è morte se sei sul tavolo del chirurgo dei trapianti». Insomma, i progressi delle medicina hanno mostrato quanto poco ne sappiamo di questa fase inevitabile della vita.
LE TECNICHE DI RIANIMAZIONE HANNO FATTO GRANDI PROGRESSI
Autore principale del nuovo testo è Sam Parnia, direttore della Critical Care and Resuscitation Research presso la Grossman School of Medicine dell’Università di New York. Il medico rianimatore studia le NDE da molti anni ed è uno dei massimi esperti mondiali in merito, insieme al cardiologo olandese Pim Van Lommel (abbiamo parlato a lungo delle loro ricerche sul blog). «L’arresto cardiaco non è un attacco di cuore, ma rappresenta la fase finale di una malattia o di un evento che causa la morte di una persona» ha spiegato più volte Parnia. «L’avvento della rianimazione cardiopolmonare (RCP la sigla in inglese) ci ha mostrato che la morte non è uno stato assoluto, piuttosto è un processo che potrebbe potenzialmente essere invertito in alcune persone anche dopo che è iniziato». Insomma, la morte- a determinate condizioni- è un processo reversibile. Ma non solo.
IL DOTTOR SAM PARNIA
Secondo Parnia e i suoi colleghi che hanno firmato l’articolo, l’evidenza suggerisce che né i processi fisiologici né quelli cognitivi terminano in punto di morte. Anzi, paradossalmente in quegli attimi finali i pazienti mostrano un’estrema lucidità anche se si trovano in stato di incoscienza. Tutti gli studi compiuti finora non sono stati in grado di dimostrare la realtà di quelle esperienze- nell’articolo definite Recalled Experience of Death (RED), esperienze richiamate di morte, anziché NDE- ma non sono stati nemmeno in grado di di confutarle. Esperienze, come dicevamo, che seguono una sorta di arco narrativo ricorrente, indipendentemente dalla cultura, dal credo religioso o dall’estrazione sociale di chi le sperimenta. Inoltre, studi recenti hanno anche dimostrato che tali “visioni” non hanno praticamente niente in comune con le allucinazioni prodotte dalle droghe psichedeliche, eccetto che spesso determinano lo stesso tipo di trasformazione psicologica: i redivivi sono molto più sereni e ottimisti di prima e soprattutto non temono più la morte.
A rendere possibile un nuovo approccio a questa tematica troppo spesso archiviata come pura fantasia sono il progresso nelle tecniche di rianimazione e la scoperta che le cellule cerebrali non vengono danneggiate in modo irreversibile entro pochi minuti dalla privazione di ossigeno quando il cuore si ferma, come si pensava in passato, ma impiegano anche molte ore per morire. «Ciò consente agli scienziati di studiare oggettivamente gli eventi fisiologici e mentali che si verificano in relazione alla morte», aggiunge il direttore della Critical Care and Resuscitation Research. Ne abbiamo parlato di recente nel blog: un encefalogramma registrato mentre un anziano paziente stava morendo ha permesso per la prima volta di scoprire cosa accade in quel momento cruciale al cervello e ha mostrato picchi insoliti di onde gamma, collegate alla memoria e alla consapevolezza (https://extremamente.it/2022/03/02/si-quando-moriamo-rivediamo-tutta-la-nostra-vita/).
L’ATTIVITÁ ELETTRICA DEL CERVELLO CAMBIA IN PUNTO DI MORTE
Era forse il momento- riferito da coloro che hanno sperimentato la morte e sono tornati indietro- in cui si rivive in un lampo la propria vita e si percepisce uno stato accresciuto di coscienza? Per gli autori della ricerca pubblicata sugli Annals of the New York Academy of Sciences è troppo presto per affermarlo, ma ci sono le basi per ipotizzarlo. Con la ricerca futura, sperano Parnia e i suoi colleghi, un giorno potremmo conoscere con certezza la risposta. Serviranno altri studi mirati per esplorare in modo oggettivo cosa accade quando si muore e perché proviamo una serie di esperienze extracorporee, ma già ora i ricercatori sono convinti che non si tratta di allucinazioni. E non è poco…