Le civiltà extraterrestri tecnologicamente avanzate potrebbero aver seminato una valanga di tracce della loro presenza nello spazio attorno a noi e potremmo presto trovarle- se soltanto ci impegnassimo nella loro ricerca con i tutti i mezzi disponibili e coordinando il lavoro degli studiosi in questo campo. È la conclusione alla quale è giunto un team di ricercatori guidato da Jason Wright, astronomo della Penn State University, l’università statale della Pennsylvania: a suo avviso, la scoperta che cambierà per sempre la nostra percezione del cosmo e della vita è possibile da un momento all’altro e sarà più facile se cerchiamo le tecnofirme oltre che le biofirme lasciate dagli Alieni.
TROVEREMO MAI LE PROVE DI UNA CIVILTÀ ALIENA TECNOLOGICA?
Vale a dire, tutti i prodotti di una società sviluppata almeno come la nostra: segnali radio, emissione di luce artificiale, inquinamento atmosferico, mezzi inviati ad esplorare altri mondi fino alle famigerate “sfere di Dyson”, le ultratecnologiche e ipotetiche strutture che una civiltà dello spazio molto evoluta potrebbe costruire attorno a una stella per catturarne tutta l’energia disponibile. Le biofirme sono invece processi chimici o fisici rivelatori di attività biologica in corso, come ad esempio la produzione di metano. Tracce decisamente diverse: le prime indicano la presenza di vita intelligente, le seconde la presenza di vita in senso lato e non per forza avanzata. D’altra parte, sulla Terra ci sono voluti oltre quattro miliardi di anni prima di arrivare a creature in grado di lanciare satelliti nello spazio.
UN’IPOTETICA SFERA DI DYSON
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal Letters, il numero dei pianeti sui quali è possibile trovare tecnofirme è più alto del numero dei pianeti sui quali potremmo individuare tracce di attività biologica. Il motivo è presto detto: gli ET potrebbero aver inviato sonde e astronavi ovunque nel loro sistema solare e anche altrove nel cosmo. Dunque, le loro strumentazioni potrebbero trovarsi adesso anche su pianeti non abitabili oppure su pianeti una volta popolati e ora privi di vita. La tecnologia, insomma, potrebbe durare molto più a lungo di chi l’ha ideata, anche per millenni. «Non siamo troppo lontani dal saper produrre macchine che si auto-riparano o che addirittura si costruiscono senza l’intervento dell’Uomo, quindi è facile immaginare che la tecnologia possa diventare autosufficiente e sopravvivere al proprio creatore», ha spiegato Wright al sito Inverse.com.
L’ASTRONOMO JASON WRIGHT
In effetti anche le nostre sonde Pioneer e Voyager, che ormai sono nello spazio interstellare, potrebbero rivelare la nostra esistenza a eventuali Alieni che dovessero intercettarle nel loro viaggio nel cosmo. Oppure, gli stessi scienziati extraterrestri, tra qualche centinaio di anni, molto prima di aver scovato molecole rivelatrici di vita nella nostra atmosfera potrebbero capire che c’è una civiltà evoluta in questo sistema solare captando i segnali radio emessi dalle sonde che hanno esplorato Venere, Marte o Plutone. Oppure troveranno antichi reperti tecnologici lasciati dalla specie umana ormai scomparsa… Come ad esempio i satelliti Lageos, sviluppati per convalidare alcuni aspetti della Relatività Generale e per effettuare degli studi sulla geodinamica della Terra, posti a 5900 km dal suolo. «Quei satelliti molto probabilmente saranno in orbita ancora per molto tempo dopo che il nostro pianeta sarà diventato inospitale», spiega infatti Jill Tarter, ex astronomo capo del progetto SETI, non coinvolta in questo ultimo studio.
UN SATELLITE LAGEOS, ORA IN ORBITA A 5900 KM
La ricerca di forme di vita aliena, nell’articolo di Jason Wright e colleghi, viene posta ovviamente in termini matematici. Lo si fa dai tempi dell’arcinota Equazione di Drake, formulata oltre 60 anni fa dall’astronomo Frank Drake per stimare quante possano essere le civiltà dello spazio in grado di comunicare con noi. Nella formula matematica, tra i vari fattori considerati c’è anche la durata di una ipotetica società extraterrestre. Elemento sempre considerato come un limite: se detta società si è sviluppata milioni di anni fa e poi si è estinta, non la troveremo mai. Ma in realtà non è così. Aggiunge la Tarter: «Spesso si crede che Lt, il fattore che rappresenta per quanto tempo possa essere in grado di comunicare una specie evoluta, sia l’epoca dei tecnologi, non la durata del tempo in cui la tecnologia continua ad operare, che potrebbe essere molto più lunga». Lo pensa anche Wright: gli strumenti prodotti dagli ET possono continuare a diffondere segnali nello spazio anche dopo che le creature che li hanno creati hanno cessato di esistere o si sono trasferite altrove.
LE SONDE VOYAGER POTREBBERO RIVELARE LA NOSTRA ESISTENZA A SCIENZIATI ALIENI
Tuttavia ciò non significa che le biofirme non siano importanti e non vadano più cercate. Piuttosto, vanno cercate insieme alle tecnofirme. L’obiettivo del team guidato dal professore della Penn University è in fondo proprio questo: colmare la frattura esistente tra astrobiologi e ricercatori SETI, questi ultimi principalmente specializzati in materie come ingegneria elettrica e radioastronomia. Per questo tendono ad usare un gergo diverso e a pubblicare i loro studi su riviste differenti. Se invece più astrobiologi considerassero le tracce tecnologiche (come per l’appunto i segnali radio) un modo praticabile per trovare la vita extraterrestre, allora gli scienziati di entrambi i campi potrebbero lavorare insieme e aumenterebbero cosi le probabilità di individuare qualcosa, sia che si tratti di un’atmosfera piena di metano e ossigeno oppure un’onda radio emessa da un telegiornale alieno.
I RADIOTELESCOPI CERCANO SEGNALI DI VITA INTELLIGENTE
La collaborazione tra le due comunità scientifiche che per ora lavorano su binari paralleli potrebbe anche aiutare gli studiosi a prepararsi nel gestire una potenziale svolta (o una cocente delusione). Negli ultimi tempi, l’individuazione di fosfina nell’atmosfera di Venere (https://extremamente.it/2021/12/31/su-venere-forse-forme-di-vita-del-tutto-sconosciute/) o il rilevamento di uno strano rumore mentre i radiotelescopi erano puntati su Proxima Centauri (https://extremamente.it/2020/12/21/un-segnale-radio-da-proxima-centauri/) hanno già messo alla prova i ricercatori, divisi sia sull’importanza di quelle scoperte sia sul modo di comunicarle all’opinione pubblica. Ma di recente qualcosa sta incominciando a cambiare: l’istituto SETI ora vede il coinvolgimrento di alcuni astrobiologi e le ultime conferenze incentrate sulle biofirme si sono occupate anche di tecnofirme. Inoltre, tanto la NASA quanto il progetto privato promosso dal magnate Yuri Milner, il Breakthrough Listen, stanno investendo energie e denaro nella ricerca di segnali di vita intelligente.
UN’IMMAGINE CHE SIMBOLEGGIA IL SEGNALE CAPTATO DA PROXIMA CENTAURI
Dallo scorso aprile, si sta creando un sistema per inviare al SETI i dati raccolti dal Very Large Array situato in California alla ricerca di segnali radio: il progetto chiamato COSMIC sarà attivo l’anno prossimo. Entro il 2026, il Breakthrough Listen avrà scandagliato un milione di stelle in 100 galassie. Nel 2027, poi, anche lo Square Kilometer Array (una vasta rete di radiotelescopi) si metterà in funzione per cercare i primi elementi costitutivi della vita nelle regioni intorno alle stelle appena nate e magari potrebbe anche ascoltare messaggi da parte di qualche civiltà cosmica. Tanta carne al fuoco, insomma. Ecco perché i ricercatori sperano che la svolta sia dietro l’angolo. «Non mi presento al lavoro aspettandomi che oggi sarà il giorno in cui troverò gli Alieni- dice l’astronomo della Berkeley University Steve Croft- ma mi presento comunque al lavoro, quindi credo di essere cautamente ottimista sulle nostre possibilità di successo».