La ricerca ormai spasmodica della vita extraterrestre nello spazio ci porta dritti dritti verso Urano, il pianeta più esterno del Sistema Solare. Un mondo gigante: potrebbe contenere 64 Terre al suo interno. È composto principalmente da roccia e ghiaccio e impiega circa 84 dei nostri anni per compiere un’orbita attorno al Sole. Lontano dalla luce solare e freddo, freddissimo. Insomma, non sembra proprio il luogo ideale per gli astrobiologi. Ma una revisione dei dati raccolti nel 1986 dalla sonda Voyager 2 che lo ha sorvolato e di altre rilevazioni scientifiche ha rivelato una sorpresa inaspettata. Delle ben 27 lune di Urano- tutte chiamate con i nomi di alcuni dei personaggi delle opere di Shakespeare e di Pope-ce ne sono quattro che hanno destato l’interesse dei ricercatori.
Si tratta di Ariel, Umbriel, Titania e Oberon: questi satelliti potrebbero nascondere oceani profondi decine di chilometri sotto lo spesso strato di ghiaccio che li avvolge. E dove c’è acqua allo stato liquido c’è possibilità anche di forme di vita, per quanto elementari o poco evolute. La dottoressa Julie Castillo-Rogez, geofisica del Jet Propulsion Laboratory della Nasa e autrice principale dello studio, ha spiegato: «Quando si tratta di piccoli corpi – pianeti nani e lune – gli scienziati hanno già trovato in precedenza prove della presenza di oceani in diversi luoghi improbabili. Quindi ci sono meccanismi in gioco che non capiamo del tutto. Questo documento indaga su quali potrebbero essere tali meccanismi e in che modo sono rilevanti per i molti corpi del sistema solare che potrebbero essere ricchi di acqua pur avendo un calore interno limitato».
Infatti, prima delle lune dell’ultimo pianeta del nostro vicinato, erano già finite nell’elenco dei posti più interessanti da esplorare quelle di Saturno e Giove, per l’esattezza Encelado, Mimas (una delle ultime aggiunte alla lista), Europa e Ganimede, oltre che i planetoidi Cerere e Plutone. I dati raccolti da varie sonde hanno infatti evidenziato la presenza di vapore d’acqua e persino di veri e propri geyser oltre che indizi della presenza di oceani sotterranei. Segno che nonostante l’enorme distanza dal Sole e le croste gelate superficiali, su questi piccoli corpi celesti c’è una temperatura interna elevata e una grande quantità dell’ingrediente considerato basilare per ogni forma di vita. Anche i satelliti del gigante azzurro celerebbero un cuore caldo, anzi, caldissimo.
Nell’articolo pubblicato sul Journal of Geophysical Research, intitolato “Compositions and Interior Structures of the Large Moons of Uranus and Implications for Future Spacecraft Observations” (“Composizione e strutture interne delle grandi lune di Urano e implicazioni per le osservazioni future con mezzi spaziali”) si evidenzia infatti quella che sembra essere una potenziale fonte di calore nei mantelli rocciosi dei satelliti in questione, che rilasciano liquido bollente permettendo a un oceano di mantenersi a una temperatura alta. «Questo scenario appare particolarmente probabile per Titania e Oberon, dove gli oceani potrebbero anche essere abbastanza caldi da supportare potenzialmente l’abitabilità” , dice l’analisi della NASA. Inoltre, secondo l’ente spaziale ci sono prove emerse dai telescopi che almeno una delle lune, Ariel, presenta materiale che scorreva sulla sua superficie, forse fuoriuscito da vulcani ghiacciati, relativamente di recente.
Anche una quinta luna, Miranda, è stata al centro dello studio, ma almeno per il momento quassù è stata esclusa la presenza di acqua liquida, a meno che- dice la ricercatrice del Jet Propulsion Laboratory- non abbia subito un riscaldamento delle maree qualche decina di milioni di anni fa. In ogni caso, per la NASA i 5 satelliti di maggiori dimensioni di Urano sono diventati osservati speciali. «Sono obiettivi importanti per le future missioni di veicoli spaziali»- dice infatti l’abstract dell’articolo scientifico. «Per motivare e informare l’esplorazione di queste lune, modelliamo la loro evoluzione interna, le strutture fisiche attuali e le firme geochimiche e geofisiche che possono essere misurate dai veicoli spaziali. Prevediamo che se le lune hanno conservato liquido fino ad oggi, è probabile che si tratti di oceani residui spessi meno di 30 km su Ariel e Umbriel e meno di 50 km su Titania e Oberon”.
La conservazione del liquido dipende fortemente dalle proprietà del materiale e, potenzialmente, da circostanze dinamiche attualmente sconosciute. Infatti il calore interno non sarebbe l’unico fattore che contribuisce a formare un oceano sotterraneo di una luna. Una scoperta chiave nello studio suggerisce che i cloruri, così come l’ammoniaca, siano probabilmente abbondanti negli oceani interni dei satelliti di Urano. E si sa che l’ammoniaca agisce come antigelo. proprio come i sali disciolti nell’acqua. L’esplorazione del pianeta più lontano del sistema solare era già stata indicata come una priorità da un rapporto delle Accademie Nazionali per la Scienza Planetaria e l’Astrobiologia e diventa adesso quanto mai di attualità, anche perché scoprire come e dove possiamo individuare ambienti potenzialmente adatti allo sviluppo di forme di vita ci aiuterà a meglio indirizzare le missioni del futuro anche al di fuori del nostro sistema solare: potrebbe trovarsi anche dove meno ce lo aspettiamo.
Come dicevamo, la potenziale presenza di oceani nascosti è un grande passo in avanti nella ricerca di vita extraterrestre nelle vicinanze del nostro pianeta, ma stiamo pur sempre parlando di forme basilari. Per sperare di imbatterci in tracce di vita intelligente, invece, gli astrobiologi guardano sempre un po’ più lontano. E ora hanno persino calcolato quando potremmo ricevere un primo segnale. Pubblicando i loro risultati nel documento intitolato “Nearby Stars’ Close Encounters with the Brightest Earth Transmissions” (“Incontri ravvicinati di stelle vicine con le trasmissioni terrestri più intense”) i ricercatori del Breakthrough Listen Search for Intelligent Life- l’iniziativa scientifica per cercare tracce radio e ottiche di civiltà extraterrestri- hanno azzardato persino una data.
Il team dell’Università della California ha infatti esaminato il percorso delle nostre sonde attualmente in viaggio nel cosmo (le due Voyager già nello spazio interstellare, le Pioneer e la New Horizons vicine all’eliopausa), per capire quali stelle potrebbero captare le emissioni che questi veicoli spaziali stanno inviando alle antenne radio della Deep Station Network (DSN) che raccoglie tutti i loro dati. La ricerca si è basata sul Gaia Catalog of Nearby Stars, un catalogo di stelle mappate con precisione entro 100 parsec, pari a 326 anni luce. I ricercatori hanno così evidenziato le stelle che si trovano sullo sfondo delle trasmissioni DSN calcolando data e luogo di questi incontri via radio. Sempre ammettendo l’esistenza di civiltà intelligenti, secondo loro dovremmo incominciare a sperare in una risposta già a partire dal 2029.