Ecco l’ultima immagine di 3I/ATLAS, l’oggetto interstellare in rapido avvicinamento al nostro sistema solare che divide gli scienziati e solleva molte perplessità. La foto è stata scattata dal James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale della NASA con un’ottica molto avanzata (ha uno specchio primario di oltre 6 metri di diametro) che gli permette di realizzare scatti dettagliati nello spazio profondo. Proprio per questo era grande l’attesa, tra gli addetti ai lavori, di poter vedere l’immagine ad alta risoluzione del misterioso corpo celeste, utile a fugare qualche dubbio e a dare qualche certezza in più. Bè, le aspettative sono andate deluse.

La foto è a dir poco sgranata. Al contrario del solito (ricordate le meravigliose immagini di galassie lontane milioni di anni luce, dai colori variopinti e delle forme precise, belle come dei quadri?), questa volta il JWST ha mostrato un oggetto circolare dal nucleo giallo-oro, circondato da un alone arancio intenso che via via sfuma nel rosso e nel viola. Tutto qui. Nessun contorno, nessun dettaglio, con una risoluzione bassissima, inferiore persino a quella del telescopio SPHEREx, circa cento volte meno potente del Webb. Tanto da far sollevare il sospetto che lo scatto abbia subìto delle pesanti manipolazioni prima di essere reso pubblico. Ogni pixel della foto, infatti, copre un’area di qualche chilomentro, mentre invece il gioiello della NASA a quella distanza dovrebbe produrre un pixel ogni 100-200 metri. Ovviamente, questa constatazione ha fatto nasce degli interrogativi: quale caratteristica di 3I/ATLAS non andava mostrata ad alta risoluzione? Perché questo visitatore arrivato da chissà dove va occultato o mascherato? Anzichè sciogliere qualche dubbio, l’immagine li ha moltiplicati. E ha scatenato la fantasia…

Sui social gira di tutto. A partire da un presunto messaggio (in morse!) inviato dall’oggetto interstellare, captato da non ben identificati scienziati cileni e decifrato così dall’Intelligenza Artificiale: “Stiamo arrivando da voi, vi abbiamo visto. Non temete-arriveremo presto”, fino a un’ ipotetica nota per uso interno scritta da un ricercatore della NASA (anonimo, ovviamente) e postato sul dark web nel quale, tra le altre cose, si legge: «L’oggetto NON è naturale. Lo chiamiamo [CLASSE-7]. Sono state date istruzioni per mantenere la narrazione riservata. Il pubblico non può saperlo.(…) L’oggetto precedentemente designato come Cometa ATLAS mostra proprietà accelerative incoerenti con le previsioni newtoniane. Analisi preliminari indicano influenze non gravitazionali di origine sconosciuta. Le scansioni superficiali suggeriscono la presenza di materiale composito altamente riflettente, anomalie spettrali registrate. Azioni da intraprendere: Sospendere ogni discussione pubblica sull’Oggetto C/2019 Y4 al di fuori della narrativa prestabilita.» E ancora:«RISERVATO: L’oggetto sembra essere sotto controllo vettoriale attivo. Mantenere il silenzio operativo.»

Notizie non verificabili che lasciano il tempo che trovano. Eppure, il viaggiatore interstellare sta effettivamente mostrando caratteristiche insolite per una cometa– come è stata ufficialmente definita. Innanzitutto, è strana la sua composizione chimica, rivelata proprio dal JWST: è avvolta da una gigantesca e simmetrica nube di CO₂ (il colore rosso nella foto) che si estenderebbe per 348 mila chilometri (la distanza tra la Terra e la Luna). Ma le comete, di solito, sono fatte di ghiaccio d’acqua che sublima ed evaporando crea la scia (la cosiddetta “coda”) nella direzione opposta al Sole. Non in questo caso: 3I/ATLAS emana 130 kg di CO₂ al secondo, con una piccola percentuale di H₂O. La proporzione tra anidride carbonica e acqua è di 8 a 1, mai vista nelle consuete comete. Inoltre, il misterioso corpo celeste non è circondato, come ci si aspetterebbe, da polvere e non ha la tipica coda. Anche il suo nucleo è anomalo: i dati ricavati da SPHEREx fanno ipotizzare una circonferenza di 46 chilometri- enormemente più grande degli altri oggetti interstellari di cui siamo a conoscenza.

Ma se 3I/ATLAS è davvero così gigantesca, avremmo dovuto osservarla già tempo fa. Perché è anche estremamente luminosa, come se brillasse di luce propria. L’interpretazione degli astrofisici per questa “riflettività simmetrica” è che al momento sta evaporando solo il suo strato esterno composto appunto da CO₂ e frammenti di ghiaccio, ma nessuno sa cosa ci sia al di sotto di questo “guscio” superficiale. Se ancora non bastasse, a rendere questo oggetto celeste davvero intrigante sono poi la velocità eccezionale mai registrata prima (sfreccia a 210 mila km/h), la sua orbita (con una perfetta inclinazione che le permette un passaggio ravvicinato su Marte, Venere e Giove senza essere visibile dalla Terra) e anche la sua età stimata (addirittura dai 7 ai 13 miliardi di anni…insomma, esisteva agli albori dell’Universo). Una serie di anomalie che hanno spinto il celebre astrofisico di Harvard, il professor Avi Loeb, a considerare plausibile che la presunta cometa sia in realtà il prodotto di una civiltà dello spazio.

Nella sua personalissima “Scala Loeb” per stimare la possibilità da minima (livello 0, del tutto esclusa) a massima (livello 10, totale certezza) che un oggetto sia artificiale, ha collocato 3I/ATLAS al livello 4: insomma, 4 possibilità su 10 che non sia un corpo naturale. In un recente articolo per la rivista online Medium, ha affermato che, secondo i suoi calcoli, la luce riflessa proviene principalmente dalla sua superficie e non dalla polvere che lo circonda. «Data la sua luminosità, il raggio di 3I/ATLAS dovrebbe essere dell’ordine di 10 chilometri per un’albedo del 5% », scrive. Il che solleva una domanda senza risposta in merito alle sue dimensioni “extra”, rispetto ai due precedenti visitatori interstellari (1I/Oumuamua e 2I/Borisov), lunghi qualche centinaio di metri. Statisticamente, dovremmo incontrare 100 mila rocce spaziali lunghe 100 metri per ogni roccia grande 20 chilometri- ma non è successo, ne abbiamo incontrate solo due. Inoltre, dice il professor Loeb, la riserva di materiali rocciosi nello spazio interstellare può fornire una roccia di 20 chilometri solo una volta ogni 10.000 anni…

Così conclude: «Se 3I/ATLAS non è una roccia composta da elementi pesanti, in base a queste considerazioni, cosa potrebbe essere? Una possibilità è che si tratti di un iceberg di idrogeno o elio, che sono più abbondanti nello spazio interstellare di diversi ordini di grandezza. Il problema è che un iceberg di idrogeno verrebbe facilmente evaporato dalla luce stellare, come ho dimostrato in un articolo con Thiem Hoang. In alternativa, 3I/ATLAS potrebbe aver preso di mira il sistema solare interno e non avere nulla a che fare con il serbatoio di rocce su traiettorie casuali nello spazio interstellare. Un progetto tecnologico spiegherebbe anche l’allineamento della sua traiettoria con il piano dell’eclittica (probabilità dello 0,2%) e il suo passaggio ravvicinato a Marte, Venere e Giove (probabilità dello 0,005%). Ci auguriamo che i dati raccolti nei prossimi mesi rivelino maggiori dettagli su 3I/ATLAS man mano che si avvicina al Sole e diventa più luminoso e caldo. Accendere la luce su 3I/ATLAS potrebbe rivelarne la natura.»

A Loeb, intanto, lancia un “guanto di sfida” sui social l’astronomo statunitense Marian Rudnyk (con un passato alla NASA e un presente come esperto di effetti speciali cinematografici), sicuro che invece l’intruso nel nostro sistema solare sia un’antica crio-cometa, un tipo di corpi celesti noti per le loro spettacolari esplosioni vulcaniche di ghiaccio e gas. «Le particelle di ghiaccio espulse durante le eruzioni sono altamente riflettenti e faranno sì che queste comete siano più luminose della media. L’aumento di luminosità dovuto a tale attività può essere facilmente scambiato per “autoilluminazione”. Inoltre, questa attività può anche causare una grande chioma “sfocata” che circonda il nucleo della cometa. Dal punto di vista compositivo, la cometa 3I/ATLAS è un mix di materiale incontaminato che probabilmente rappresenta l’antico sistema solare da cui proviene: ricca di ghiaccio d’acqua, silicati pieni di sostanze organiche (che contribuiscono al suo colore rossastro), minerali carbonatici».
