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Sembra un’asta al ribasso, dove ognuno rilancia con offerte sempre più ridotte. Un secolo, qualche decennio, 25 anni… Quanto tempo ci vorrà prima che gli scienziati trovino tracce inequivocabili di vita extraterrestre? A quanto pare, pochissimo davvero: l’ultimo studio ne prevede la scoperta nel giro di 10 o 15 anni.

QUANDO TROVEREMO UN GEMELLO DELLA TERRA?

Un gruppo di astrobiologi ha infatti elaborato un nuovo metodo in grado di misurare la pressione atmosferica di lontani pianeti e che servirà anche ad individuare la presenza di forme di vita. Metodo che sarà messo alla prova presto, con il nuovo telescopio della Nasa, il James Webb Space Telescope, che dovrebbe essere lanciato in orbita nell’ottobre del 2018. Grazie al potente e tecnologico erede di Hubble, potremo forse scoprire il primo gemello della Terra.

I mondi con un’atmosfera densa come la nostra riescono a trattenere l’acqua, impedendo che essa si disperda nello spazio circostante: è proprio osservando le loro caratteristiche atmosferiche che i ricercatori sperano di scovare pianeti potenzialmente abitabili nei sistemi solari sparsi attorno a noi. Il team dell’ Università di Washington ha capito come analizzarle e come trovare di conseguenza anche i luoghi ideali per lo sviluppo della vita.

Il metodo è stato spiegato da Amit Misra e dai suoi colleghi in un articolo pubblicato dalla rivista Astrobiology. La tecnica si basa sull’individuazione  dei dimeri, ovvero molecole accoppiate: in chimica, con questo termine si intende infatti ogni composto prodotto dall’assemblaggio di due sub unità dette monomeri. In questo caso, però, oggetto di interesse degli astrobiologi sono solo i dimeri di ossigeno.

IL JAMES WEBB SPACE TELESCOPE SARÀ LANCIATO NEL 2018

Quando un pianeta passa di fronte alla sua stella ospite, la luce emessa dall’astro ne attraversa l’atmosfera per poi proseguire il suo viaggio nello spazio e giungere fino a noi. I dimeri di ossigeno presenti nell’aria, però, assorbono la luce come fa un filtro colorato nella lente di una fotocamera. Si creano così delle anomalie, individuabili a patto che la pressione del pianeta sia almeno di 0,25 bar- abbastanza per conservare l’acqua allo stato liquido.

I ricercatori hanno effettuato una simulazione al computer, testando lo spetto luminoso a varie lunghezze, verificando il comportamento dei dimeri e la loro sensibilità alla pressione e alla densità dell’atmosfera. “L’idea è che potremo cercare questo modello di assorbimento per identificare i pianeti”, dice Misra. “La presenza di queste molecole implica una pressione pari almeno ad un terzo o ad un quarto di quella terrestre.”

 

I biosegnali che Misra e il suo team descrivono saranno visibili, insomma, solo se l’atmosfera è pressurizzata e ricca di ossigeno. E l’unico modo che gli scienziati conoscono perchè l’atmosfera sia ossigenata è l’attività di fotosintesi– che produce O2. In altre parole, se gli astronomi osserveranno una forte presenza di dimeri di ossigeno, allora avranno una prova altrettanto forte che quel pianeta può ospitare forme di vita.

UN PIANETA RICCO DI OSSIGENO DEVE AVERE PIANTE O ALGHE


“È pressochè evidente che è impossibile avere tanto ossigeno in una atmosfera senza avere anche alghe o piante che lo producono costantemente. Se troviamo un pianeta interessante e riusciamo ad individuare quel tipo di molecole- cosa che potrebbe essere fattibile entro i prossimi 10 o 15 anni– allora non sapremmo soltanto indicare la sua pressione, ma anche se c’è vita“, conclude il giovane astrobiologo.

  

 Quindi, le tracce chimiche che essa lascia sulla superficie dei pianeti rocciosi simili al nostro ci daranno la certezza della sua presenza. Non subito, però, perchè per ora le strumentazioni in uso non permettono di sfruttare la tecnica messa a punto dall’equipe di Washington. Ma come dicevamo, il James Webb Space Telescope sarà, al contrario, molto utile. Basta aspettare solo qualche anno.

SABRINA PIERAGOSTINI

 

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