Attendere ancora o prendere l’iniziativa? Continuare a restare in ascolto o inviare un messaggio? Gli esperti si dividono, tra coloro che ritengono sia arrivato il momento di cercare un contatto con la vita presente su altri mondi e quanti invece reputano l’idea assolutamente sbagliata.
Si è discusso anche di questo, al recente convegno dell’American Association for Advancement of Science, che si è svolto a San Josè, in California. Ad esporre l’esigenza di una svolta nel percorso- finora infruttuoso- per individuare eventuali civiltà dello spazio è stato il direttore del SETI, il centro di ricerca che da 30 anni tenta di captare segnali extraterrestri intelligenti. Davanti alla platea del simposio, Seth Shostak ha affermato che è ormai tempo di fare un decisivo cambio di strategia.
“Alcuni di noi, all’ Istituto, sono interessati ad un SETI attivo, ovvero che non solo ascolti, ma che spedisca messaggi in direzione di stelle vicine, perché c’è una qualche possibilità che se svegli qualcuno otterrai una risposta”, ha detto Shostak a BBC News. Una prospettiva- ammette- criticata da altri. “Molta gente è contraria perché la ritiene pericolosa. È come urlare nella giungla: non sai chi c’è, là fuori. Meglio non farlo. E se inciti gli Alieni a distruggere il pianeta, non è esattamente quello che vorresti veder inciso sulla tua lapide al cimitero, giusto?”
Di certo, l’ironia non manca all’astronomo senior del SETI. Ma proprio questo suo modo di fare e di parlare lo ha reso un comunicatore efficace e una figura molto nota nel panorama della ricerca astronomica. Il suo volto sorridente circondato da una zazzera di capelli ormai grigi compare in tutti i principali programmi di divulgazione scientifica e da grande esperto qual è viene spesso invitato a convegni e simposi. E non ha timore di fare affermazioni controcorrente.
Dopo il meeting della AAAS, ha invitato nella sede del SETI astronomi, antropologi, psicologi e sociologi- tra i più in vista attualmente- per discutere una proposta concreta da presentare all’opinione pubblica e al mondo della politica in merito alla comunicazione attiva con E.T. Il primo punto nell’ordine del giorno è stabilire se un simile approccio potrebbe portare “all’annientamento del nostro pianeta”- per usare le parole esplicite di Shostak. Ipotesi da lui ritenuta improbabile.
“Non vedo perché gli Alieni dovrebbero essere motivati a farlo. Inoltre, involontariamente, noi stiamo comunicando con loro da almeno 70 anni. Non sono stati messaggi molto interessanti, però le prime trasmissioni televisive, gli albori della radio, persino i radar ai tempi della Seconda Guerra Mondiale… è tutta roba che è stata diffusa nello spazio dalla Terra. Qualsiasi civiltà in grado di venire qui e di rovinarci la giornata incenerendo il pianeta sa già dove siamo.”
Tra i meno convinti e più critici, c’è lo scrittore di fantascienza David Brin. Anche lui è intervenuto al Simposio della AAAS e ha apertamente attaccato la posizione espressa dallo scienziato. “Gli storici confermeranno che il primo contatto tra una civiltà industrializzata e una popolazione indigena non va mai bene”, ha detto. Anzi, a suo avviso, coloro che sostengono l’idea di un SETI attivo stanno convincendo l’opinione pubblica a mandare messaggi senza una approfondita e completa discussione sull’ impatto culturale che potrebbe provocare.
Pur affermando di non temere l’eventualità di una invasione aliena in stile Hollywood e di ritenere, al contrario, assai remota l’ipotesi che si possa stabilire un reale contatto, Brin sostiene che comunque i rischi sono troppo elevati e bisogna pensarci bene, prima di spedire un qualsiasi segnale verso un mondo potenzialmente abitato. “L’arroganza di urlare nel cosmo senza aver prima valutato tutti i rischi non è accettabile: è un comportamento che potrebbe mettere a repentaglio le future generazioni.”
Insomma, una situazione un po’ paradossale, con un autore di fantascienza che frena e uno scienziato che al contrario spinge sull’acceleratore. Ma se prevarrà la linea interventista, c’è ancora un elemento da prendere in considerazione. Ovvero, una volta stabilito che dobbiamo comunicare, va chiarito anche quale sia il contenuto della comunicazione. Cosa dovremmo dire ad E.T.?
C’è chi pensa che bisognerebbe mandare una summa della nostra storia come specie- storia però emendata, ripulita dagli errori di cui non andiamo fieri ed amplificata invece per quanto riguarda i risultati finora raggiunti. In pratica, dovremmo comportarci come durante un colloquio di lavoro o al primo appuntamento- venderci al meglio, mascherando tutti i difetti.
Ancora una volta, però, Seth Shostak la pensa diversamente: per lui, dovremmo essere semplicemente noi stessi. “Io personalmente preferirei inviare internet– tutto quanto”, dice. Da quella massa enorme di informazioni che viaggiano in rete forse gli Alieni riusciranno a farsi un’idea su di noi.
SABRINA PIERAGOSTINI