Ricorda il romanzo di Mary Shelley: un chirurgo visionario e geniale ridà vita ad un cadavere con un’ operazione rivoluzionaria. Ma questo non è un racconto dell’orrore, non parliamo del Dottor Frankenstein e della sua creatura mostruosa. Il protagonista di questa storia vera è Sergio Canavero, uno stimato neurochirurgo torinese che da tempo sostiene la possibilità di effettuare, con successo, un trapianto di testa. Ed ora sarebbe praticamente pronto a farlo.
Lo ha affermato in uno studio pubblicato da Surgical Neurology International nel quale ha esposto in sintesi la tecnica che ha messo a punto. L’articolo è stato poi ripreso da New Scientist e in queste ore sta facendo il giro del mondo. Il dottore annuncerà il progetto nei dettagli nel corso della conferenza annuale dell’Accademia Americana di chirurgia neurologica ed ortopedica, che si svolgerà il prossimo giugno ad Annapolis, nel Maryland. Ma già fa discutere.
Fin dal 2013, Canavero afferma che in casi di malattie neurologiche degenerative o di tumori tanto estesi da non essere operabili la soluzione possa essere il cosiddetto “full body transplant”. Sul corpo del donatore morto verrebbe impiantata la testa del paziente da salvare, innestando il tronco encefalico nella nuova spina dorsale e collegando ad una ad una tutte le terminazioni nervose. Si può fare- assicura- già a partire dal 2017.
In passato tentativi del genere hanno visto sul tavolo operatorio animali condannati a morte certa. Come i cani sacrificati dal russo Vladimir Demikhov nell’URSS degli anni ’50, sopravvissuti solo poche ore o pochi giorni al trapianto di testa. O come le scimmie dall’identico destino utilizzate 20 anni dopo da Robert White, in Ohio. In questo ultimo caso, il primate trapiantato rimase in vita 9 giorni – completamente paralizzato– prima che la reazione di rigetto lo uccidesse. “Al punto in cui siamo, gli aspetti tecnici sono tutti superabili”, assicura però il medico torinese.
Nell’articolo scientifico, spiega che sia la testa del ricevente sia il corpo del donatore dovranno essere sottoposti a basse temperature per permettere alle cellule di sopravvivere in assenza di ossigeno. Il tessuto attorno al collo sarà dissezionato e i vasi sanguigni principali saranno collegati usando dei micro-tubicini prima di tagliare il tronco encefalico. A quel punto, sarà fondamentale riuscire ad allacciare (anzi, dice il chirurgo italiano, a fondere) i midolli spinali di ricevente e donatore.
Per farlo, Canavero intende usare una sostanza chimica chiamata glicole polietilenico. In fase sperimentale (sempre su cavie da laboratorio) questo polimero ha dimostrato di favorire la crescita delle terminazioni nervose. Anche muscoli e vasi sanguigni verranno ovviamente suturati. Il paziente sarà poi tenuto in coma indotto per un mese, per tenerlo perfettamente fermo e permettere alle ferite di rimarginarsi. Degli elettrodi impiantati produrranno una regolare stimolazione elettrica necessaria al midollo spinale per sviluppare nuove connessioni nervose.
Cosa ne sarà, dopo queste settimane di coma, del malato trapiantato? Secondo il medico torinese, riprenderà lentamente una vita normale. Sarà in grado da subito di muovere e di sentire il suo volto oltre che di parlare con la medesima voce. Avrà invece bisogno di lunghi mesi di riabilitazione e di fisioterapia per riuscire a camminare. Ma ci sarebbero già molti volontari pronti a sottoporsi a questo intervento di avanguardia.
Come è comprensibile, il progetto del neurochirurgo solleva vari dubbi di natura medica in molti illustri colleghi. Davvero il trapiantato potrà sperare in una vita normale oppure sarà condannato ad un’esistenza vegetativa, immobile in un letto? “Non ci sono prove che la connessione di midollo spinale e cervello permetta al paziente di recuperare la funzione motoria o la sensibilità”, ha ad esempio commentato Richard Borgens, direttore di un centro di ricerca sulle paralisi all’Università Purdue di Lafayette, in Indiana.
Se il glicole polietilenico non dovesse funzionare, si potrebbero ipotizzare altre soluzioni, come ad esempio iniettare le cellule staminali nel midollo spinale oppure creare un “ponte” utilizzando membrane che sembrano in grado di aiutare a far camminare malati che hanno subito traumi spinali. Sergio Canavero però è convinto che l’approccio chimico sia preferibile, perché meno invasivo e più semplice.
Assai meno problematica appare invece la questione rigetto. Dai tempi di Robert White, in questo campo la scienza ha fatto molti progressi. Oggi conosciamo il giusto mix di farmaci immunosoppressori in grado di ridurre al minimo questo pericolo: così come un paziente accetta un organo o un arto non suo da un donatore compatibile, dovrebbe succedere altrettanto nel caso di un corpo intero. Resta tuttavia aperto un altro fronte di polemiche: è eticamente accettabile questo tipo di trapianto?
Secondo Patricia Scripko, esperta di bioetica californiana, bisognerebbe innanzi tutto definire il concetto stesso di vita. “Io credo che ciò che ci rende esseri umani è contenuto nella corteccia cerebrale. Se la modifichi, non sei più la stessa persona e ci si può interrogare sulle implicazioni etiche. Ma in questo caso, non ci sono alterazioni nel cervello”, ha detto. Inoltre, dice la dottoressa, se mai tali interventi saranno davvero effettuati, saranno casi rarissimi.”Non avverranno perché uno dice <sto invecchiando, forse mi serve un corpo migliore…>”
In generale, però, la comunità scientifica sembra respingere a priori anche solo l’idea. Molti chirurghi, contattati da New Scientist, si sono addirittura rifiutati di commentare la notizia, giudicandola troppo stravagante per prenderla in considerazione. Una sensazione quasi di fastidio, che potrebbe impedire al dottor Canavero di sperimentare la sua tecnica negli Stati Uniti. “Il vero ostacolo è nell’etica. Ovviamente, ci saranno molte persone contrarie a questo tipo di chirurgia”, ammette.
Sembra però averla presa con filosofia. “Se la società non è pronta, allora non lo farò. Ma se non lo vuole la gente negli Stati Uniti o in Europa, non vuol dire che non si possa fare altrove. Sto tentando di seguire la retta procedura, ma prima di andare sulla Luna, devi essere sicuro che la gente ti seguirà”, ha chiosato il medico.
SABRINA PIERAGOSTINI