La vita sulla Terra esiste nelle forme più complesse da circa 400 milioni di anni. L’uomo, inteso come Homo Sapiens, da appena 300 mila. In quel lasso di tempo è possibile che sia esistita una civiltà industriale pre-umana, che si è sviluppata e poi è finita molto prima della nostra comparsa? E se ciò è avvenuto, come possiamo scoprirlo? Dove e come trovarne la tracce? Sono questi gli interrogativi ai quali hanno provato a rispondere due ricercatori in un articolo scientifico pubblicato dalla rivista International Journal of Astrobiology.
Prima ancora di domandarci se ci sono civiltà aliene sorte su questo o quel pianeta, insomma, bisognerebbe chiedersi se ne sia mai esistita un’altra o magari anche molte altre (visto il tempo a disposizione) sul nostro mondo, dicono Adam Frank, fisico ed astronomo presso l’ Università di Rochester (New York), e Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. La fantasia li ha già immaginati: nella famosa serie tv Doctor Who, negli anni ’70, apparivano infatti i Siluriani, rettili umanoidi evoluti e tecnologici, anteriori alla comparsa dei primati.
Ovviamente, i due uomini di scienza non sposano l’ipotesi Siluriana, come la chiamano loro, ma la prendono come punto di partenza per le loro riflessioni. “Non credo che sia esistita una civiltà industriale prima della nostra, che sia stata di dinosauri o di bradipi– spiega Frank- ma è importante domandarsi come apparirebbe se fosse esistita. Come sappiamo che non c’è mai stata? L’essenza della scienza è porsi una domanda e vedere dove ti conduce, è questo che la rende così eccitante.”
E osservando con attenzione nel nostro passato, i due si sono posti una serie di domande: quali tracce geologiche lascia una civiltà evoluta? Si può individuarla anche se è scomparsa, magari da tempo immemorabile, dal pianeta che l’ha ospitata? “Queste domande ci inducono a pensare al passato e al futuro in modo differente, incluso come possa nascere e poi crollare qualsiasi civiltà su scala planetaria”, affermano i due autori. Dunque, sulla Terra come altrove, nel nostro sistema solare- magari su Marte o Venere– o in qualsiasi altro punto della galassia.
Come spiega lo stesso Frank sul sito theatlantic.com, quando si portano le lancette dell’orologio indietro di decine o centinaia di milioni di anni, la questione diventa molto complicata perché il tempo cancella inesorabilmente tutto: nulla di antecedente al Quaternario (iniziato circa 2,5 milioni di anni fa e tuttora in corso) può essere oggi visibile sulla superficie terrestre: è già stato ridotto in polvere. Dovremmo scavare sperando di trovare qualcosa. Forse dei fossili? Ipotesi remota, visto che solo una minuscola percentuale dei resti organici si fossilizza.”Non sarebbe facile individuare così neppure una civiltà industriale che è durata per 100 mila anni, ovvero 500 volte di più della nostra fino ad oggi”, scrive.
Ma cosa lascia allora dietro di sé una civiltà avanzata? Consideriamo la nostra: se dovessimo scomparire oggi, cosa troverebbero di noi gli scienziati del futuro, tra 100 mila anni? Sembra strano, ma non saranno certo i frutti migliori della nostra presenza- edifici, ponti, strade o macchinari tecnologici, sgretolati dal trascorrere dei millenni- a parlare di noi. Al contrario, saranno piuttosto i danni che la nostra permanenza sul pianeta ha provocato.
Come l’uso intensivo dell’ azoto nell’agricoltura: nello strato geologico relativo alla nostra era, denominata Antropocene, proprio perché profondamente segnata dall’attività dell’Uomo, verranno scoperti abbondanti sedimenti di azoto. Cosi come si troveranno sparsi qua e là molti più metalli rari del previsto, visto che li usiamo per costruire i nostri dispositivi elettronici. E poi ancora, ci saranno picchi di steroidi sintetici, che rimarranno negli strati geologici per 10 milioni di anni.
Senza dimenticare poi la plastica, che ormai invade anche i nostri mari, Artico incluso. Le nano particelle dei rifiuti plastici scomposti dall’ azione di vento, maree, sole si depositeranno sui fondali marini e lì resteranno per chissà quanto tempo. Ma in assoluto quello che più a lungo testimonierà l’esistenza della nostra civiltà è un sottoprodotto dell’attività industriale, ovvero l’eccesso di isotopi di carbonio prodotti dall’utilizzo di combustibili fossili. Insomma, dietro di noi lasceremo una scia di inquinanti e -paradossalmente- proprio quelle sostanze che ora mettono a repentaglio la nostra sopravvivenza ci sopravvivranno per milioni di anni. Potrebbe essere accaduto lo stesso anche nel remoto passato della Terra?
Nella storia del pianeta ci sono stati altri periodi con insoliti picchi nelle temperature e nella concentrazione di CO2 nell’aria, come durante il cosiddetto PETM, il massimo termico del Pleistocene-Eocene, durato svariati migliaia di anni, e la fase altrettanto lunga nel Cretaceo con gli oceani senza ossigeno, ma i due eventi non sembrano corrispondere alle caratteristiche dell’Antropocene, nel quale i cambiamenti sono avvenuti nel giro di appena due secoli, come mai era avvenuto nei miliardi di anni precedenti. Quindi non sembrano situazioni compatibili con la presenza di una civiltà industriale pre umana.
Resta così da stabilire se sia veramente possibile identificare geologicamente un evento intenso ma breve, come il rapido emergere e declinare di una forma avanzata di tecnologia: probabilmente non ne saremmo in grado, è la conclusione dei due ricercatori, perché potrebbero servire strumenti nuovi e nuovi metodi di analisi e difficilmente trovi ciò che non sai come cercare. Tuttavia, lo studio ha comunque raggiunto un obiettivo, anche se non è quello dichiarato. “Non capita spesso di scrivere un articolo scientifico su una tesi che non condividi”, ammette con autoironia Adam Frank.
“Io e Gavin non crediamo infatti che la Terra abbia ospitato, 50 milioni di anni fa, una civiltà del Paleocene. Ma chiederci se potremmo veramente vedere delle antiche civiltà industriali ci ha indotti a farci domande sui vari tipi di impatto che una qualsiasi civiltà potrebbe avere sul pianeta. E ciò è esattamente quello che sta facendo la prospettiva astrobiologica sui cambiamenti climatici.” Prima di ritrovarci su un pianeta bollente come Venere o senza atmosfera come Marte, dovremmo trovare fonti di energia a basso impatto per ridurre gli effetti negativi sull’ecosistema e per evitare l’autodistruzione. Così facendo, lasceremmo però anche meno tracce di noi alle future generazioni. E un giorno, magari, tra decine di milioni di anni, nessuno saprà che siamo mai esistiti.
SABRINA PIERAGOSTINI