Acqua sulla Luna, acqua su Marte. Acqua sui satelliti di Giove e Saturno, acqua sulle comete. Acqua ovunque, persino su Plutone. Sì, una nuova ricerca sostiene che anche l’ex pianeta- da 10 anni retrocesso nella categoria di planetoide- pur essendo così lontano dal Sole e con una temperatura superficiale da super congelatore, nasconderebbe un oceano grande come il Texas. E allora, se è vero il binomio acqua=vita, il sistema solare si scopre ricco di potenzialità ancora tutte da scoprire.
PLUTONE, UNA VOLTA IL 9° PIANETA DEL SISTEMA SOLARE
Lo studio, condotto da un team di ricercatori giapponesi (delle Università di Hokkaido, Tokushima e Osaka e dell’Istituto di Tecnologia di Tokio) insieme ad alcuni colleghi americani (dell’Università della California), si è concentrato sull’area di Plutone denominata Sputnik Planitia, una pianura situata nel lobo occidentale di quella struttura che ricorda per la forma un cuore bianco. Quel bacino di mille chilometri, composto da azoto e monossido di carbonio ghiacciati, vicino all’equatore, è stato individuato di recente, grazie alle osservazioni della sonda New Horizons. In corrispondenza di Sputnik Planitia, il guscio di ghiaccio che ricopre il pianeta-nano si assottiglia molto. E proprio lì sotto si troverebbe una grande quantità di acqua liquida.
A sostenerlo è l’articolo “L’oceano di Plutone è tappato e isolato da gas idrati”, pubblicato da poco sulla rivista scientifica Nature Geoscience. I gas idrati sono composti solidi (clatrati) formati da acqua e gas naturali di basso peso molecolare .”Per mantenere un oceano liquido, Plutone ha bisogno di trattenere il calore all’interno. D’altra parte, per mantenere grandi variazioni nel suo spessore, il guscio di ghiaccio di Plutone deve essere freddo”, spiega lo studio. I ricercatori ipotizzano dunque la presenza di uno strato isolante di gas, probabilmente metano, che proviene dal crack di materiale organico nel caldo nucleo roccioso di Plutone e che mantiene sopra lo zero il suo oceano sotto la superficie congelata. Le simulazioni fatte al computer, almeno, dicono così.
LA SPUTNIK PLANITIA, DOVE SI TROVEREBBE UN OCEANO LIQUIDO
Se la scoperta sarà confermata, si aprono ovviamente nuovi scenari nella ricerca della vita extraterrestre. Trovare l’acqua su un corpo che riceve solo 1/1600 della luce solare rispetto alla Terra e con una temperatura equatoriale che tocca i -240°C significherebbe che è possibile trovarla anche altrove, quasi ovunque: magari anche negli Oggetti Transnettuniani che occupano la remota Fascia di Kuiper. E lo stesso potrebbe valere negli altri sistemi extrasolari, per pianeti e satelliti molto lontani dalla loro stella. Insomma, il limite finora invalicabile della “Goldilocks Zone” (la fascia di abitabilità) sembra espandersi in modo notevole.
I nostri telescopi alla ricerca di esopianeti candidati ad ospitare la vita dovrebbero allora non limitarsi soltanto a quelli che si trovano nella giusta posizione rispetto al loro sole (quella in cui la temperatura mantiene l’acqua allo stato liquido), ma anche a quelli a maggiore distanza. I numeri- già stratosferici- dei potenziali mondi abitabili rischiano di diventare incommensurabili. I nuovi parametri potrebbero presto essere utilizzati dagli astronomi, al pari dei nuovi algoritmi appena perfezionati da un gruppo di scienziati tedeschi che hanno permesso di rileggere in modo più accurato i dati raccolti da Keplero, scovando così già 18 nuovi pianeti prima non individuati.
IL TELESCOPIO KEPLERO, ANDATO IN PENSIONE POCHI MESI FA
I ricercatori dell’istituto Max Planck, dell’Università di Göttingen e dell’osservatorio di Sonneberg hanno riprocessato con un metodo nuovo l’enorme quantità di informazioni prodotte dal telescopio orbitante della NASA in quasi dieci anni di onorato servizio. Dall’inizio del 2009 all’ottobre del 2018 (quando ha esaurito il carburante), Keplero ha monitorato la luminosità di circa 150.000 sequenze di stelle alla volta e osservato la potenziale presenza di pianeti extrasolari attorno a oltre mezzo milione di soli. Il sistema adottato è quello del transito: ovvero, durante il suo passaggio davanti ad un astro, un pianeta ne riduce temporaneamente la luminosità e quella piccolissima percentuale di luce in meno è la prova della sua presenza.
Finora però si sono cercati i picchi improvvisi di luminosità, ignorando le transizioni di luce a seconda della posizione del pianeta extrasolare rispetto alla stella. Cosa che invece il nuovo sistema elaborato in Germania riesce a fare: ”Un disco stellare appare leggermente più scuro al bordo che al centro. Quando un pianeta si muove davanti a una stella, quindi, inizialmente blocca meno luce stellare rispetto a quanto non faccia a metà del tempo di transito. Il massimo oscuramento della stella si verifica nel centro del transito poco prima che la stella diventi gradualmente più luminosa”, ha spiegato uno dei ricercatori coinvolti, Renè Heller.
IL NUOVO ALGORITMO PERMETTE DI INDIVIDUARE ANCHE PIANETI PIÙ PICCOLI
Dopo aver applicato il nuovo algoritmo ai dati di 517 stelle, gli studiosi hanno potuto identificare anche i pianeti extrasolari più piccoli che erano sfuggiti durante il primo passaggio nell’ elaborazione. Ne hanno trovati 18, anche se pensano di poterne rintracciare in tutto almeno un centinaio. Uno dei nuovi mondi individuati è particolarmente interessante. Si trova a 831 anni luce da noi, tra la costellazione del Leone e della Vergine. Ha un nome impronunciabile- EPIC 201497682.03- ma caratteristiche perfette: grande come la Terra, si trova nella fascia di abitabilità della sua stella, una nana rossa, ed è potenzialmente pieno d’acqua e adatto alla vita. Anche se adesso – ne siamo sicuri- gli astrobiologi inizieranno a guardare con occhi diversi anche i pianeti al di fuori di quella “zona d’oro.”