Ormai ci siamo. Entro pochi anni– forse due o poco più- sapremo se esiste la vita al di fuori della Terra. Ne è convinto James Green, capo scientifico della NASA. La scoperta arriverà da Marte e cambierà per sempre la nostra idea dell’universo. «Sarà rivoluzionaria. È come quando Copernico affermò che siamo noi a girare attorno al Sole. Darà il via ad un modo di pensare del tutto nuovo”, ha dichiarato l’astrofisico che dirige la Divisione Scienza Planetaria.
In un’intervista pubblicata dal quotidiano britannico Sunday Telegraph, Green ha spiegato che il momento-clou inizierà il prossimo anno. Nel 2020, il Pianeta Rosso si troverà alla distanza minima dal nostro e per questo sia l’ente spaziale americano sia quello europeo, l’ESA, hanno programmato due missioni molto importanti. Mars 2020 e ExoMars hanno lo stesso, ambizioso obiettivo: scovare forme di vita marziane. Non solo tracce della loro esistenza in un passato remoto, ma magari attualmente presenti. Dove? Nel sottosuolo, protette dalle nocive radiazioni solari.
“Il punto di partenza è questo, dove c’è acqua c’è vita”, dice lo scienziato della NASA. E di acqua, su Marte, ce ne sarebbe ancora molta, sia in forma di ghiaccio ai poli, sia- allo stato liquido, come ha evidenziato un recente studio europeo- nella crosta rocciosa. Ecco perché entrambe le sonde robotiche che cercheranno di “ammartare” nei prossimi mesi avranno con sé una trivella, allo scopo di penetrare nel terreno e fare dei carotaggi, alla ricerca di batteri, microorganismi, forme biologiche elementari, con la quasi certezza di trovare qualcosa.
L’esperienza, sul nostro pianeta, mostra infatti che la vita si annida ovunque, anche in condizioni estremamente proibitive, come a temperature elevatissime, in ambienti acidi, senza luce. Purchè ci sia sufficiente umidità, però. “Siamo andati negli scarichi di scorie nucleari, luoghi in cui si pensa che nulla possa sopravvivere. Siamo andati a tre chilometri in profondità e se gocciolava acqua, anche lì pullulava la vita» ha spiegato Green. Ecco perché per queste imminenti missioni marziane le aspettative sono molto alte: anche quelle rocce, anche quel sottosuolo potrebbero riservare delle sorprese.
Tuttavia, nella sua chiacchierata con il giornale inglese, Jim Green non ha nascosto la sua apprensione, proprio per la portata rivoluzionaria della scoperta. «Sono preoccupato, perchè penso che siamo vicini a trovare la vita e a fare degli annunci. Cambierà il nostro intero modo di pensare. Non credo che siamo preparati al risultato, no, non lo siamo. Si aprirà una serie di nuovi interrogativi scientifici. È vita come la nostra? Come siamo collegati?», si è domandato. Teme forse che la scoperta della vita extraterrestre possa scatenare il panico o comunque una reazione scomposta dell’opinione pubblica?
Inquietudini che un altro noto e autorevole scienziato, Seth Shostak, capo astronomo del SETI in California spiega in questo modo: a suo avviso, la vera preoccupazione espressa da Green riguarda soltanto i prossimi passi che la scienza dovrà fare. La gente non rimarrà sconvolta, assicura Shostak, perché lo abbiamo già sperimentato due decenni fa. Nel 1996, uno studio sosteneva che in un meteorite marziano fossero presenti tracce di microbi fossilizzati. Prima che la notizia fosse ridimensionata e smentita, ha avuto una grande eco sui giornali, ma il pubblico ha reagito con serenità: «Ha trovato la storia affascinante, ma non allarmante», spiega l’astronomo del SETI in un articolo per NBCNews.
Ma che accadrebbe se, anziché microorganismi morti da milioni di anni, se ne trovassero di vivi e vegeti, nel terreno umido del Pianeta Rosso? Anche gli scienziati non hanno una risposta pronta. «Che dovremmo fare? Qualcuno dovrebbe dire a Elon Musk di sospendere le escursioni già programmate su Marte perché il pianeta ha una popolazione indigena? Evidentemente, questo è lo scenario per il quale siamo impreparati. Persino se le nuove sonde robotiche trovassero solo prove di organismi biologici estinti miliardi di anni fa, non è chiaro il piano di battaglia della scienza a venire. Questo è il monito di Green: a differenza dei boyscout, noi non siamo abbastanza preparati».
Nessun rischio, invece, di imbattersi in creature intelligenti. L’unico modo per venire in contatto con i potenziali marziani, secondo Seth Shostak, è quello di impacchettarli in un tubo sterile pieno di roccia e di spedirli indietro sulla Terra per osservarli al microscopio. Insomma, niente più che minuscoli microbi. Ma anche così, l’impatto sarà notevole: «Sarebbe la dimostrazione che la vita è un processo che ha inizio su molti mondi e di conseguenza che l’universo è brulicante di forme biologiche, un’idea che per ora non è altro che una affascinante ipotesi».
SABRINA PIERAGOSTINI