Nella lista dei mondi abitabili– e potenzialmente abitati- spunta una categoria in più: quella dei pianeti avvolti da uno spesso strato di polvere. Sotto quella coltre, potrebbero realizzarsi le condizioni più adatte allo sviluppo della vita . Ma nello stesso tempo, proprio quel pulviscolo disperso nell’atmosfera rischia di ostacolare le analisi e le osservazioni delle nostre strumentazioni che cercano le prove di biofirme, ovvero tracce di vita.
UN’ATMOSFERA PIENA DI POVERE MINERALE FAVORIREBBE LO SVILUPPO DELLA VITA
A puntare l’attenzione su questo tipo di esopianeti è uno studio recente condotto da un team di astronomi, astrofisici e climatologi dell’Università di Exterer e di quella dell’East Anglia, in Gran Bretagna, pubblicato sulla rivista Nature Communications. «Identificare pianeti abitabili oltre il nostro sistema solare è l’obiettivo chiave delle missioni spaziali attuali e future», si legge nella sintesi dell’ articolo. «L’abitabilità dipende non solo dall’irraggiamento solare, ma altrettanto anche dagli elementi che costituiscono l’atmosfera planetaria. Qui dimostriamo, per la prima volta, che la polvere minerale che emette energia per radiazione avrà un significativo impatto sull’abitabilità degli esopianeti simili alla Terra.»
Un’immagine che richiama alla memoria famosi film di fantascienza, ad esempio Dune oppure Guerre Stellari, ambientati su immaginari mondi alieni desertici come Arrakis e Tatooine, dal cielo perennemente offuscato dalla sabbia, ma popolati da vari tipi di creature-umane e non. Ora però è la scienza a dire che pianeti del genere possono effettivamente ospitare la vita anche se si trovano a una distanza apparentemente errata dalla loro stella ospite, quindi non esattamente all’interno della cosiddetta Fascia di Abitabilità. Eppure finora la Goldilocks Zone è sempre stata considerata una “conditio sine qua non” per prendere in considerazione un mondo lontano come potenziale gemello della Terra.
IL PIANETA TATOOINE DELLA SAGA DI STAR WARS
I ricercatori, per prima cosa, hanno appurato che molto probabilmente i pianeti in orbita ravvicinata a delle nane di categoria M, più piccole del nostro Sole e meno calde, si mantengono in rotazione sincrona, mostrando sempre lo stesso lato alla loro stella. Pertanto, una faccia sarà perennemente illuminata, l’altra continuamente in ombra, senza l’alternanza giorno-notte che sperimentiamo noi. Tuttavia, la presenza di polvere minerale sospesa nell’aria permetterebbe di raffreddare il lato luminoso e di scaldare il lato buio, estendendo così l’area nella quale una temperatura moderata consente all’acqua di mantenersi liquida. E il pianeta risulta più abitabile.
Analogamente, la presenza di polvere nell’atmosfera sarebbe di grande utilità anche per i mondi che si trovano nelle parti più interne della Fascia di Abitabilità, quelle più prossime alla stella, dove il clima è così torrido da determinare, col passare del tempo, la perdita dell’acqua superficiale, come sarebbe successo a Venere. Ma quando l’acqua scompare, le particelle minerali in sospensione aumentano e ciò contribuisce a raffreddare la temperatura- un fenomeno noto chiamato “feedback climatico negativo”. Per gli autori dello studio, la presenza di polvere dispersa nell’aria dovrebbe essere considerata un indicatore chiave della vita, allo stesso modo in cui il metano indica la presenza della vita microbica.
ANCHE IL PIANETA ARRAKIS DI “DUNE” È AVVOLTO DALLA SABBIA
Tuttavia, la stessa polvere rischia di compromettere la nostra capacità di individuare eventuali tracce di attività biologica e in assenza di riscontri quei pianeti potrebbero essere considerati non abitabili ed essere così ingiustamente depennati dalla lista dei candidati più interessanti, come sottolinea uno dei ricercatori coinvolti nello studio, il professor Manoj Joshi:«La polvere dispersa in atmosfera è qualcosa che potrebbe mantenere questi pianeti abitabili, ma nello stesso tempo oscura la nostra capacità di trovare segni di vita. Questi effetti devono essere tenuti assolutamente in considerazione nella prossime ricerche.»
Inoltre, lo studio ha anche calcolato quanto il pulviscolo minerale influisca sul clima grazie alle sue proprietà ottiche di ridistribuzione della radiazione solare. Utilizzando i modelli climatici più avanzati a disposizione, il team ha condotto simulazioni di esopianeti delle dimensioni della Terra e, per la prima volta, ha indicato in che misura la quantità di polvere determina che un esopianeta possa o meno supportare la vita. A dimostrazione ulteriore che l’abitabilità di un pianeta dipende non solo dalla quantità di energia luminosa emessa dalla stella più vicina, ma anche dalla composizione atmosferica.
I MODELLI CREATI AL COMPUTER DAI RICERCATORI INGLESI
«È entusiasmante vedere che lo studio condotto nell’ultimo anno ha dato i suoi frutti», ha dichiarato Duncan Lyster, a capo di un programma universitario in questo ambito. «Stavo lavorando a un affascinante progetto di simulazione dell’atmosfera di pianeti extrasolari e ho avuto la fortuna di far parte di un gruppo in grado di portarlo a un livello di ricerca mondiale». Le tipologie dei potenziali candidati a ospitare la vita, da oggi in poi, aumentano ancora di più. E i numeri diventano sempre più stratosferici: nella sola Via Lattea, secondo le ultime stime, dovrebbero esserci almeno 100 miliardi di mondi sconosciuti. Ma la nostra è solo una dei 2 trilioni di galassie dell’universo– insomma, un 2 seguito da 18 zeri… La vita aliena è la fuori.