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Cosa fare in caso di primo contatto alieno? Cosa dovremmo rispondere e soprattutto chi sarebbe autorizzato a prendere una decisione in nome dell’intera umanità? Sembrano domande peregrine, inutili e assurde visto che la scienza continua a ribadire di non avere alcuna prova dell’esistenza di intelligenze extraterrestri. Eppure, sono interrogativi che gli astrofisici si pongono spesso- segno che l’eventualità di una comunicazione proveniente dallo spazio non è affatto esclusa dal novero delle possibilità. Ora, due ricercatori sostengono che la pandemia possa averci dato indicazioni utili su quello che potrebbe accadere di fronte a un messaggio di ET.
Lo abbiamo visto al cinema: un piccolo radiotelescopio capta un segnale mai registrato prima, in arrivo da un pianeta lontano anni luce. Altri osservatori astronomici lo confermano. La sequenza ricevuta non è prodotta da un fenomeno naturale, ma contiene informazioni criptate: con un misto di eccitazione e di incredulità, gli scienziati capiscono che una civiltà intelligente si è messa in contatto con noi. La notizia scatena scompiglio a livello mondiale. Tra le mille incognite che questo scenario apre, c’è anche la questione chiave in merito al ruolo del potere politico e della scienza nella gestione di una simile informazione e soprattutto nel processo decisionale che porta a una risposta, condivisa e unitaria, al messaggio ricevuto.
Secondo due ricercatori dell’Università di Oxford- Peter Hatfield e Leah Trueblood, rispettivamente astrofisico e giurista- l’attuale emergenza sanitaria prodotta dal COVID-19 ci sta preparando in qualche modo al Primo Contatto perché presenta molti punti in comune: anche la pandemia è un problema che riguarda tutto il mondo nello stesso momento, mette l’intera umanità dalla stessa parte della barricata (a differenza, per esempio, di un conflitto globale), ha forte un impatto sociale ed economico, vede il diretto coinvolgimento degli scienziati come referenti numero uno, in sinergia con i governi. Per i due studiosi britannici, la situazione attuale, per quanto sfortunata, si sta rivelando un’opportunità imprevista che può aiutarci a sviluppare le linee d’azione in vista di un futuro Primo Contatto.
Nell’articolo “SETI and Democracy”, postato sul sito scientifico ArXiv.org della Cornell University, pongono la loro attenzione sull’opinione diffusa (anche se non proprio accettata da tutti) della necessità di rispondere a un eventuale messaggio inviato da un’intelligenza extraterrestre. Finora, in realtà, siamo stati noi a tentare di aprire un canale di comunicazione. Lo abbiamo fatto negli anni Settanta con le sonde Pioneer 10 e 11, in viaggio oltre i confini del sistema solare con due placche che raffigurano gli esseri umani e indicano la posizione del pianeta Terra. Un messaggio deciso da Frank Drake, da Carl Sagan e da sua moglie Linda- una scelta molto poco democratica e inclusiva, a giudizio di Hatfield e Trueblood.
In seguito, i messaggi spediti agli ET sono stati un po’ più condivisi, come- ricordano gli autori- la “capsula del tempo” digitale inviata in direzione di Gliese 581c e contenente oltre 500 tra foto, dipinti e testi scelti da un sito online. Nel 2016, è stato il radiotelescopio Cebreros dell’agenzia spaziale europea, l’ESA, a trasmettere nello spazio 3775 messaggi di altrettanti abitanti del pianeta verso la Stella Polare. Bottiglie lanciate nel mare cosmico, poco più di un gioco. Ma la risposta a un segnale inequivocabilmente prodotto da una civiltà avanzata sarebbe tutta un’altra cosa. Chi dovrebbe decidere? Con l’aiuto di una società specializzata in sondaggi, i due ricercatori di Oxford lo hanno chiesto a un campione di 2 mila cittadini britannici.
Questo il quesito: «Immagina uno scenario nel quale gli scienziati ricevano un indubbio messaggio da parte di extraterrestri (forme di vita aliena) da un pianeta distante. Delle seguenti opzioni, quale sarebbe la tua preferenza su come dovrebbe essere determinata la risposta dell’umanità a questo messaggio? 1) da un team di scienziati; 2) da rappresentanti eletti; 3) mediante un referendum su scala mondiale; 4) da un’assemblea di cittadini di adulti selezionati casualmente; 5) non so». La maggior parte degli intervistati- pari al 39%– ha optato per il team di scienziati, seguito da un numero significativo (il 23%) di indecisi che non hanno espresso un’opinione. I politici (ovvero i rappresentanti eletti) hanno raccolto il 15% delle preferenze. L’11% del campione si è espresso sia per la consultazione popolare sia per il gruppo di individui scelti a caso.
Ammesso che possa essere davvero significativo un sondaggio effettuato su appena 2 mila individui di una sola Nazione, gli esperti accademici comunque conquistano il primo posto. Ed è a questo punto che Peter Hatfield e Leah Trueblood mettono in relazione i due eventi- pandemia e Primo Contatto- evidenziando che all’inizio dell’emergenza sanitaria gli esperti in ambito scientifico hanno avuto un ruolo fondamentale, ma poi sono stati prontamente subordinati alla politica. Una situazione che probabilmente si ripeterà quando si dovrà stabilire come interagire con gli ET: saranno i governi a prendere la situazione in mano. Non solo, lo studio dei due ricercatori di Oxford punta il dito su un elemento che proprio la pandemia ha enfatizzato: la politicizzazione della scienza.
Lo abbiamo visto ovunque, anche da noi: alcuni esperti, “arruolati” come consulenti dal governo centrale o locale, hanno assunto posizioni molto distanti rispetto a quelle di altri loro colleghi (medici, virologi, epidemiologi) che -con pareri talvolta in aperto conflitto rispetto alle disposizioni ufficiali- sono diventati punti di riferimento dell’informazione alternativa. L’opinione pubblica ha scoperto una scomoda realtà: gli scienziati non sono sempre d’accordo tra di loro e anzi possono anche essere in conflitto, perché persino nella scienza non esistono solo verità granitiche, ma anche opinioni, interpretazioni, punti di vista, valutazioni e previsioni soggettive. Gli scienziati sono uomini e donne, con le proprie personali idee- anche politiche- che possono influenzare le loro scelte.
Analogamente, pure nel caso di un contatto alieno, le differenze tra i diversi scienziati emergerebbero con forza e potrebbero rendere impossibile una risposta comune e condivisa. Già ora- quando la questione è puramente teorica- ci sono astrofisici assolutamente contrari al METI (ovvero il Messaging for Extra Terrestrial Intelligence) perché lo ritengono molto pericoloso: si rischia di avvisare della nostra esistenza civiltà molto più avanzate di noi e potenzialmente pericolose che potrebbero conquistarci o distruggerci. Altri studiosi, invece, sostengono senza dubbi la necessità di tentare un contatto con altre creature dello spazio, perché comporterebbe un enorme arricchimento dal punto di vista tecnologico e culturale per il nostro pianeta.
Lo studio di Peter Hatfield e Leah Trueblood arriva a questa conclusione: chiunque sarà a gestire il Primo Contatto, dovrà avere la massima legittimazione popolare. «Una via che riteniamo possibile è che il processo decisionale sia guidato da un team di scienziati nominati da diverse giurisdizioni (piuttosto che da stati nazionali) con ampie opportunità di consultazione». Il candidato ideale: un politico con esperienza in ambito scientifico. Di sicuro, di fronte a un evento così straordinario, davvero epocale, la risposta dovrà essere adeguata perché condizionerà tutto il nostro futuro, in un modo al momento nemmeno immaginabile. E che la risposta ci debba essere, lo hanno detto anche gli intervistati nel sondaggio: più della metà, esattamente il 56%, si è espresso a favore di stabilire un contatto con i potenziali ET, rispetto ad appena il 13% contrario. Il mondo, insomma, sembra pronto. La scienza e la politica un po’ meno.