Basta tabù, gli UFO vanno studiati in modo scientifico. A dirlo sono due nomi pesanti del mondo accademico statunitense, ovvero Ravi Kopparapu, studioso di scienze planetarie del Goddard Space Flight Center della NASA, e il collega Jacob Haqq-Misra, ricercatore al Blue Marble Space Institute of Science. I due astrobiologi in un articolo scritto a quattro mani e pubblicato dal Washington Post invitano a rimuovere imbarazzi e pregiudizi che ancora avvolgono gli oggetti volanti non identificati, per assumere un atteggiamento di seria indagine.
Innanzitutto, scrivono, finalmente la politica, l’Intelligence e l’apparato militare si stanno interrogando sulla natura di queste strane presenze nei nostri cieli. Ma si fanno una domanda, dicono, un po’ prematura. Prima di chiedersi che cosa sono, bisognerebbe domandarsi come possiamo comprendere la loro realtà. Ed è qui che dovrebbe intervenire lo scienziato, finora tuttavia il grande assente nel dibattito in corso sugli UAP. «Per troppo tempo, lo studio scientifico degli oggetti volanti e dei fenomeni aerei non identificati- in breve, UFO e UAP- è stato un tabù. Una grave conseguenza di ciò è il vuoto di conoscenza che è stato riempito da proclami ascientifici grazie a quella mancanza di indagine scientifica», affermano i due studiosi.
Il mondo accademico, negli ultimi decenni, si è concentrato sulla ricerca di tracce di vita nel cosmo o sui pianeti del sistema solare, puntando i radiotelescopi random nello spazio nella speranza di ascoltare segnali intelligenti e di cogliere “tecnofirme” oppure inviando sonde per osservare da vicino Marte e le lune più interessanti. Ricerche complesse, che hanno richiesto un grande sforzo organizzativo, costringendo gli scienziati a cimentarsi in un vasto novero di discipline diverse e a coordinarsi tra di loro in ogni parte del globo. Lo stesso, suggeriscono Kopparapu e Haqq-Misra, andrebbe fatto anche per il fenomeno UFO.
«Se vogliamo capire cosa sono gli UAP, dobbiamo coinvolgere la comunità scientifica mondiale in uno sforzo comune per studiarli. Decenni fa, il concetto di una seria ricerca sugli UFO non era assurdo. Alla fine degli anni Sessanta, il Progetto Blue Book condotto dall’Aeronautica Militare esaminò migliaia di avvistamenti. Nel 1968, tuttavia, un altro report, commissionato dall’Air Force ma guidato dall’Università del Colorado per valutare la ricerca sugli UFO fino a quel punto, stabilì che dallo studio su di essi non erano derivate nuove conoscenze scientifiche. Subito, l’Aeronautica abbandonò il Blue Book. Ma circa 700 di oltre 12mila casi rimasero senza spiegazione».
Una storia che è emersa e si è chiarita solo negli anni: a convincere gli scienziati coinvolti nello studio che il fenomeno UFO non meritasse attenzione e che anzi, per non alimentare panico tra la popolazione, andasse sminuito e ridicolizzato, era stata la CIA, con indebite e decise pressioni, fin dai tempi del Giurì Robertson, istituito nel 1953. Eppure, nonostante il discredito che da quel momento in poi ha ricoperto l’argomento- sempre più scabroso, fino ai giorni nostri- non sono mancate voci fuori dal coro, che i due astrobiologi citano: dall’astronomo Carl Sagan al collega J. Allen Hynek, convinti che i misteriosi intrusi avvistati da testimoni spesso molto qualificati e credibili andassero studiati in modo scientifico.
Un altro ricercatore controcorrente fu il fisico e meteorologo James McDonald che volle approfondire i casi rimasti ufficialmente non identificati nel Progetto Blue Book. McDonald spiegò che il suo metodo di lavoro consisteva nell’interrogare in modo approfondito i testimoni, nel ricostruire dettagliatamente i loro avvistamenti, nel raccogliere dati dai radar o da altre possibili fonti tecnologiche. Lo espose nel testo “Science in Default” che presentò a un simposio dell’American Association for the Advancement of Science nel 1969. Il fisico analizzava tutti i dati disponibili di ogni singolo evento, senza selezionarli a suo piacimento: la sua conclusione fu che, al contrario, il Rapporto Condon del 1968 era stato parziale e superficiale.
«Abbiamo bisogno di inquadrare il presente problema UAP/UFO con lo stesso livello di indagine attiva, sia coinvolgendo gli esperti accademici di discipline quali l’astronomia, la meteorologia e la fisica, sia i professionisti dell’industria e del governo con conoscenze specifiche di velivoli militari, telerilevamento da terra e analisi satellitari», dicono Ravi Kopparapu e Jacob Haqq-Misra. «Chi vi prende parte deve essere agnostico nei confronti di qualsiasi spiegazione con l’obiettivo primario di raccogliere dati sufficienti- inclusi dati visivi, agli infrarossi, radar o altre possibili osservazioni-per permetterci finalmente di dedurre l’identità di tali UAP.»
Agnostico, ovvero senza opinioni precostituite, senza tesi da dimostrare a priori, senza pregiudizi inveterati, ma pronto ad accettare tutto quello che le informazioni raccolte potranno dimostrare. Concludono i due ricercatori nella loro lettera aperta al Washington Post: «Seguire un approccio agnostico e fare affidamento su solidi metodi scientifici sottoposti a revisione tra pari sarebbe molto utile per eliminare il tabù dal pensiero scientifico attuale». E ricordano: «Senza i dati robusti e credibili ricavati dagli accademici, gli studi sugli UAP saranno sempre visti come scienza marginale. Con una raccolta sistematica di nuovi dati e l’accesso a tutti quelli esistenti, possiamo applicare rigore scientifico a quanto osservato e documentato. In definitiva, la comprensione degli UAP è un problema scientifico. Dovremmo trattarlo in questo modo.»
Sulla stessa lunghezza d’onda, c’è un’altra eminente ricercatrice- Carol Cleland, docente del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Boulder (Colorado), che per molti anni ha lavorato a stretto contatto con gli astrobiologi impegnati nell’individuazione di microorganismi extraterrestri: è nota per il suo lavoro sulla definizione di vita e della cosiddetta “biosfera ombra”. La Cleland è anche membro del SETI Institute con base in California e dirige il Centro per lo Studio delle Origini. La sua ultima ricerca si è focalizzata su come, nel corso dei secoli, le scoperte scientifiche siano state possibili grazie ad anomalie o fenomeni che non avrebbero dovuto esistere o che i ricercatori non erano in grado di spiegare sulla base del loro modo di interpretare il mondo.
La professoressa, intervistata dal giornale dell’università per la quale lavora, CU Boulder Today (articolo poi ripreso dal sito Phys.org), ha accettato di buon grado di parlare in merito all’ attesissimo report sugli UAP che entro la fine del mese di giugno dovrà essere consegnato al Congresso degli Stati Uniti. Da subito, ha ammesso di aver avuto fin da giovanissima un grande interesse per l’ufologia: divorava i libri di fantascienza, raccoglieva gli articoli relativi ad avvistamenti insoliti e sperava che fossero davvero astronavi aliene. Adesso, dopo decenni, è il Pentagono a lasciare aperta questa sconvolgente possibilità, se davvero nel documento dell’Intelligence l’ipotesi aliena non verrà né confermata né esclusa. Un segno, comunque, per la Cleland che gli UFO incominciano ad essere trattati in modo diverso.
«Devono prenderli seriamente. Dobbiamo aspettare per vedere quello che il rapporto dirà, ma quello che la gente si aspetta è qualcosa del tipo: ”Guardate, abbiamo fatto studi approfonditi. Su questi fenomeni abbiamo dati provenienti da varie sofisticate strumentazioni. Sono stati osservati da un grande numero di persone tecnologicamente qualificate e nonostante sforzi notevoli non possiamo spiegarli in termini di fenomeni naturali”. Se le cose stanno proprio così- ha spiegato la filosofa della scienza- si ha a che fare con un fenomeno spiazzante. Potrebbe rappresentare un problema legato alle strumentazioni, di cui devi essere al corrente perché è quel genere di errore che ha conseguenze potenzialmente molto gravi, incluso un conflitto armato. In alternativa, potrebbe rappresentare un fenomeno naturale che trascende la nostra attuale conoscenza del mondo e forse mette persino in crisi la teoria fisica.
Per questo è tanto importante investigare perché potrebbe comportare grandi cambiamenti nella comprensione della scienza. Infine, ed è quello che io ho sognato da bambina, potrebbe rappresentare una tecnologia extraterrestre.» E non sarebbe la prima volta, sottolinea Carol Cleland, che il progresso della scienza avviene con scoperte rivoluzionarie possibili solo con un cambio di mentalità. «Ci sono fenomeni da sempre presenti, ma che non vengono riconosciuti per quello che sono effettivamente. Vengono ignorati o mal interpretati, fino a quando, finalmente, qualcuno dice: “Ma guarda un po’, nulla di quello che abbiamo fatto finora per spiegare questo fenomeno ha funzionato, è qualcosa di veramente strano. Forse è profondamente sbagliato il modo in cui lo abbiamo studiato”. Quindi, invece di provare a spiegarlo nei termini della nostra attuale comprensione scientifica, si incomincia a contemplare possibilità più radicali. Questo a sua volta può portare a importanti scoperte e persino a importanti revisioni della teoria scientifica». Succederà così anche con gli UFO?