Adesso scende in campo lui, Avi Loeb. Il professore dell’Università di Harvard che ha fatto balzare sulla sedia tutti i colleghi sostenendo la natura artificiale e tecnologica di Oumuamua- il primo viaggiatore interstellare avvistato dai nostri telescopi- ora vara un programma finalizzato all’ individuazione di tutte le anomalie scientifiche in circolazione attorno a noi, allo scopo di comprendere cosa sono e da dove arrivano. Insieme alla sua squadra di ricerca, il fisico teorico israeliano naturalizzato americano cercherà di dare risposte ai tanti interrogativi ancora aperti con una ricerca sistematica per scovare artefatti extraterrestri.
IL PROFESSOR AVI LOEB
Il Progetto Galileo è illustrato sul sito della prestigiosa università nella quale Loeb insegna. Obiettivo dichiarato: identificare la natura dei Fenomeni Aerei Non identificati (o UAP, la sigla che nel mondo scientifico ha ormai soppiantato il più celebre acronimo UFO) e gli oggetti interstellari come Oumuamua. L’intento è trovare tracce di tecnologia aliena, non più sulla base di osservazioni accidentali o saltuarie, ma utilizzando un metodo scientifico standard basato sull’analisi trasparente dei dati raccolti con le strumentazioni più adatte. Male che vada, il nuovo progetto potrà comprendere meglio la natura di quei fenomeni di origine naturale che ancora ci sfuggono, ma nella migliore delle ipotesi potrebbe addirittura scoprire nuove prove straordinarie riguardo le civiltà extraterrestri. I tre punti fondamentali nei quali il team di Avi Loeb si cimenterà sono: recupero delle immagini ad alta risoluzione; ricerca di nuovi “viaggiatori” provenienti da altri sistemi stellari e identificazione di possibili satelliti di provenienza extraterrestre. Un programma niente male, vediamolo nel dettaglio.
LA PAGINA DELL’UNIVERSITÀ DI HARVARD CHE PRESENTA IL PROGETTO
«Una foto vale migliaia di parole. Per esempio, un’immagine a megapixel della superficie di uno UAP su scala umana alla distanza di un miglio permetterà di distinguere la targa “prodotto dalla Nazione X” dalla possibile alternativa “Prodotto dalla Civiltà Extraterrestre Y” su un vicino esopianeta della nostra galassia. Questo obiettivo sarà ottenuto cercando gli UAP con una rete di telescopi di medie dimensioni e ad alta risoluzione e con una serie di rivelatori forniti di fotocamere e di sistemi informatici adatti distribuiti in luoghi selezionati. I dati saranno a disposizione del pubblico e l’analisi scientifica trasparente», si legge sul sito. I ricercatori poi prevedono un ampio ricorso all’intelligenza artificiale e all’uso di algoritmi per differenziare i fenomeni di normale spiegazione (uccelli, fulmini, droni, palloni meteo e così via) da potenziali oggetti tecnologici.
«Al fine dell’imagining ad alto contrasto- prosegue questo primo punto del Progetto Galileo- ogni telescopio farà parte di una serie di rivelatori di capacità ortogonali e complementari a partire dai radar tradizionali, dai radar Doppler e dai radar ad apertura sintetica ad alta risoluzione fino ai telescopi dotati di sofisticate telecamere sia nell’ ampia gamma del visibile sia nella banda infrarossa. Se si scopre che una civiltà aliena sta facendo indagini sulla Terra utilizzando uno UAP, allora dobbiamo presumere che lo stesso abbia padroneggiato le tecnologie radar passive, ottiche e a infrarossi. In tal caso, il nostro studio sistematico di tale UAP sarà potenziato mediante un sistema di rivelatori ad alte prestazioni, integrati e a multi-lunghezza d’onda.» Termini scientifici un po’ ostici per i non addetti ai lavori, ma in sintesi indicano la volontà di ricorrere a tutte le strumentazioni più avanzate a nostra disposizione per un’analisi approfondita e coordinata, senza lasciare nulla al caso.
IL NUOVO STUDIO CERCHERÀ GLI UAP E LI ANALIZZERÀ CON METODO SCIENTIFICO STANDARD
Ma all’Università di Harvard sono anche interessati alla scoperta dei gemelli di Oumuamua– qualunque cosa fosse: una cometa o un asteroide dal comportamento decisamente anomalo, un frammento di esopianeta simile a Plutone oppure, come ha ipotizzato il professor Loeb, un relitto tecnologico inviato nel cosmo da una civiltà aliena per esplorare la Terra. «Il gruppo di ricerca del Galileo Project utilizzerà anche indagini astronomiche esistenti e future, come il prossimo LSST (Legacy Survey of Space and Time) presso l’Osservatorio Vera Rubin, per scoprire e monitorare le proprietà dei visitatori interstellari del sistema solare. Ideeremo e progetteremo – possibilmente con le agenzie o le società private spaziali interessate- una missione con lancio immediato per mostrare oggetti interstellari inusuali come Oumuamua, intercettando le loro traiettorie di avvicinamento al Sole o usando i telescopi terrestri per scoprire delle meteore interstellari.»
UN’IMMAGINE ARTISTICA DELL’OGGETTO INTERSTELLARE DENOMINATO OUMUAMUA
Ma se gli ET fossero già qui, magari per spiarci con sonde aliene in incognito nella nostra atmosfera? Il Progetto Galileo vuole accertare anche questa eventualità: «La scoperta di potenziali satelliti di 1 metro o più piccoli che potrebbero esplorare la Terra, ad esempio in orbite polari a poche centinaia di km sopra di essa, potrebbe diventare fattibile con il Vera Rubin nel 2023 e in seguito, ma se gli ET padroneggiano le tecnologie radar, ottiche e agli infrarossi, allora potrebbero essere necessari grandi telescopi molto sofisticati sulla Terra. Progetteremo avanzati metodi algoritmici e basati sull’Intelligenza Artificiale per il riconoscimento e per il filtraggio rapido degli oggetti, metodi che il Progetto Galileo intende implementare, inizialmente su telescopi non orbitanti.» Insomma, obiettivi ambiziosi: se qualcosa di insolito, di bizzarro, di apparentemente sconosciuto alla scienza si muove nella nostra atmosfera o nello spazio attorno a noi, Avi Loeb lo vuole sapere, lo vuole studiare e lo vuole capire. E soprattutto- assicura- lo vuole dire pure a noi. Nessun segreto, promette. E questa, forse, è la parte più eccitante del Progetto Galileo.