Com’era la Terra 4 miliardi di anni fa, poco dopo la nascita del nostro sistema solare? L’immagine presentata in tutti i libri è quella di un pianeta ricoperto da un enorme oceano. Un’immagine corretta, eppure in contraddizione con i dati a disposizione degli astronomi. Anzi, il mondo degli albori avrebbe dovuto piuttosto apparire come una grossa palla di neve.
Tutta colpa del Sole, anche lui appena nato e meno potente di oggi: quando si mise in moto il processo di fusione, si calcola che la nostra stella avesse il 70 per cento del calore e della luminosità attuale. Con il passare del tempo, ne ha poi progressivamente aumentato l’intensità fino ad arrivare ai livelli presenti. Un processo inarrestabile: verrà un giorno, infatti, in cui il Sole irradierà così tanto calore da ardere il nostro pianeta e da far evaporare tutta l’acqua in esso contenuto.
Ma se in quell’epoca remota la Terra riceveva il 30 per cento in meno di raggi solari e di calore, allora doveva essere completamenta ricoperta da un robusto strato di ghiaccio il quale avrebbe riflesso così tanto la luce, disperdendola nello spazio, da impedire lo scongelamento per miliardi di anni. E addio acqua, addio brodo primordiale, addio vita…
Il problema è noto agli scienziati con il nome di “paradosso del giovane Sole debole” e da almeno 60 anni fa scervellare geochimici, fisici ed astronomi. Immaginare la Terra delle origini avvolta in spesse nubi capaci di produrre una sorta di effetto-serra non basta: le simulazioni al computer hanno dimostrato che anche la presenza in abbondanza di anidride carbonica e di metano nell’atmosfera non avrebbe potuto scaldare a sufficienza la superficie terrestre. Peggio: la loro combinazione poteva addirittura accrescere il raffreddamento planetario.
Ecco allora che si affaccia una nuova spiegazione, a metà tra scienza e fantascienza. A proporla è il professor David Minton, della Purdue University, nell’ Indiana, che ipotizza una migrazione: nella notte dei tempi, la Terra si trovava in un’orbita molto più stretta e solo in un secondo momento se ne sarebbe allontanata per occupare quella attuale. Per poter avere un clima tiepido in presenza di un Sole freddino, il nostro pianeta avrebbe dovuto trovarsi quasi 10 milioni di km più vicino alla nostra stella rispetto ad oggi.
“I pianeti non amano starsene fermi, preferiscono muoversi“, ha detto Minton durante la presentazione del suo studio qualche giorno fa a Baltimora. A confortare- e forse, ad ispirare- la sua teoria, è la scoperta di centinaia di pianeti extrasolari con la quale è stata dimostrata un’eventualità nemmeno presa in considerazione negli anni ’50, ovvero il fatto che i pianeti erranti siano una regola, e non un’eccezione, nell’Universo.
Secondo gli studiosi, esisterebbero milioni di simil-Giove dalle temperature bollenti, finiti in orbite pericolosamente troppo vicine alle loro stelle, sul punto di evaporare. E la migrazione planetaria spiegherebbe anche l’esistenza di pianeti composti quasi interamente da acqua ( uno di essi è stato recentemente individuato): il ghiaccio di cui erano ricoperti si sarebbe sciolto solo dopo aver raggiunto una nuova orbita ravvicinata.
Ma come avrebbe potuto la Terra modificare, ad un certo punto, la propria posizione rispetto al Sole? L’unico modello interpretativo, tra i tanti simulati, che sembra adatto ad un sistema solare giovane ed instabile ricorda un po’ il gioco del biliardo – o un flipper, se preferite- e viene chiamato “pianeta scaccia pianeta”. Il problema è che, per funzionare, la simulazione ha bisogno di un corpo celeste in più nel sistema solare, di tipo roccioso, di dimensioni abbastanza grandi e di massa compresa tra quella di Marte e di Venere.
Questo sfortunato gemello terrestre avrebbe fatto una brutta fine: forse è stato inghiottito dal Sole, forse si è frantumato in una collisione spaziale, forse è stato espulso ed ancora vaga nello spazio… Chissà. Comunque, di lui si sono perse le tracce. A chi gli ha rinfacciato di aver elaborato una spiegazione inverosimile, Minton risponde convinto: “Nessuno sa se i sistemi solari restano stabili per miliardi di anni”.
In assenza di controprove, dunque, la sua teoria resta valida. Il ricercatore afferma che la simulazione al computer più convincente per spiegare il ricollocamento della Terra in una nuova orbita prevede che un pianeta con il 75% della massa terrestre si sia schiantato contro Venere. L’impatto sarebbe avvenuto 2 o 3 miliardi di anni fa. “Ciò implica che Venere non abbia finito di formarsi fino a 2,5 miliardi di anni fa, cosa che spiegherebbe il suo aspetto e la sua natura vulcanica, tipica di un pianeta giovane”, dice Minton.
Il docente aggiunge: “L’idea è plausibile, anche se un po’ fantascientifica“. In effetti, questi sono tutti concetti che non suonano affatto nuovi a chi abbia letto testi ritenuti di pura fantasia dalla scienza ufficiale- da Sitchin a Velikovsky, solo per citare i più noti tra i ricercatori alternativi che hanno prefigurato simili scenari di mondi erranti e di collisioni planetarie. Ed ora, queste teorie ritenute “eretiche” vengono prese in prestito dagli accademici per spiegare fenomeni che altrimenti non riescono a spiegare…
Il modello elaborato da Minton, inoltre, è stato utilizzato anche per immaginare il futuro prossimo venturo. In una delle 2500 simulazioni dinamiche sulla possibile evoluzione del sistema solare, Mercurio, che si trova in un’orbita quasi-stabile, viene espulso e cacciato lontano. In un effetto a catena, ciò comporterebbe una collisione tra la Terra e Venere, mentre Marte si allontanerebbe dal Sole. Insomma, una vera catastrofe cosmica. Ma tranquilli: se accadrà, sarà tra 5 miliardi di anni.
SABRINA PIERAGOSTINI