L’analisi del DNA dello Starchild:”Non è terrestre”
15 Agosto 2011
Starchild è davvero un Figlio delle Stelle? Sembrerebbe proprio di sì. E’ il risultato sconcertante degli esami del DNA compiuti su questo cranio, scoperto nel 1930 in un grotta del Messico. Un teschio dalla forma anomala, dalle orbite oculari molto ravvicinate e con la scatola cranica deforme. Passato di mano in mano, alla fine è stato consegnatol ricercatore americano Lloyd Pye che ha voluto approfondire la ricerca fin dove la scienza moderna può arrivare. Lo ha fatto così sottoporre ad un test genetico in un laboratorio, per ottenerne una mappatura completa.
La risposta che sta arrivando lascia senza parole: Starchild ha un Dna mitocondriale (mtDNA)- quello che si trasmette solo in linea materna- profondamente diverso dal nostro. Il numero massimo di differenze che si registra tra gli esseri umani è 120: questo teschio invece ne presenta tra le 800 e le 1000. Il risultato è ancora parziale, ma secondo Pye non c’è dubbio: il mtDNA del teschio non è umano… Ovviamente, se confermata, questa notizia sarebbe a dir poco clamorosa: proverebbe la presenza, sul nostro pianeta, di una creatura di provenienza ignota, non terrestre. Insomma, aliena…
Per capire fino in fondo la potenziale portata rivoluzionaria di questa scoperta, bisogna entrare all’interno della cellula umana.
Il DNA umano è di due tipi: uno nucleare (nuDNA) e uno appunto mitocondriale (mtDNA). Il primo si trova nel nucleo della cellula e proviene da entrambi i genitori mentre- come abbiamo detto prima- il mtDNA proviene solo dalla madre e si trova in sub-unità cellulari chiamati mitocondri. Ogni cellula umana ha un nucleo che contiene una copia dell’intero genoma (la famosa “doppia elica”) formato da oltre 3 miliardi di coppie di base (in inglese, base pair o bp, i “gradini” dell’elica) e migliaia di mitocondri- ciascuno dei quali contiene il genoma mitocondriale con esattamente 16.569 coppie. Ogni essere umano- dall’uomo di Neanderthal in poi- e anche i primati come scimpanzé e gorilla hanno genomi simili per dimensione.
Nel 2010, decine di frammenti del DNA nucleare dello Starchild sono stati sequenziati, raggiungendo circa 30mila coppie di basi. Quindi, una percentuale bassissima, rispetto ai 3 miliardi di bp: solo lo 0,0001%, ben al di sotto della percentuale minima, l’1%, necessaria per trarre delle conclusioni attendibili. Invece, per quanto riguarda il DNA mitocondriale sono stati sequenziali 1583 coppie di base del genoma: quasi il 10 per cento del totale. In questo caso, dunque, i dati emersi da queste prime analisi sono attendibili e possono essere considerate significativi.
Altra premessa fondamentale: nel genoma nucleare, solo il 2% delle sequenze sono indispensabili per la vita. Il resto, circa il 98%, è definito invece “DNA spazzatura”: non serve a nulla e ancora i genetisti non sono riusciti a capirne lo scopo. In questa parte del DNA, avvengono spessissimo mutazioni, ma senza conseguenze.
Avviene l’esatto contrario, invece, nel DNA mitocondriale, nel quale quasi tutte le bp sono indispensabili per la nostra sopravvivenza: la minima alterazione segna una condanna a morte. Se in un feto, ad esempio, si verificano anche solo 1 o 2 mutazioni in questo genoma, la Natura stessa fa sì che l’embrione sia abortito.
La struttura del mtDNA è perfettamente conosciuta ai biologi, che proprio in base alle rarissime mutazioni sono potuti risalire alla prima, comune antenata dell’attuale specie umana, la cosiddetta “Eva mitocondriale”, vissuta circa 200mila anni fa. E in questo lasso di tempo, da allora fino ai nostri giorni, abbiamo accumulato un massimo di 120 variazioni nel mtDNA. Non entriamo ulteriormente nei dettagli, ma già questo ci fa capire che meccanismo delicato e preciso sia il genoma contenuto nei mitocondri e quanto approfondita sia la conoscenza che abbiamo raggiunto in merito.
Nel sito del Progetto Starchild vengono mostrate le tabelle di confronto che mostrano le differenze del mtDNA tra l’uomo moderno, l’uomo di Neanderthal e l’uomo di Denisova- un ominide di recente scoperto in Siberia. I nostri antenati presentano tra le 80 e le 300 variazioni del DNA mitocondriale rispetto a noi (nello scimpanzé sono invece circa 1500).
Detto questo, si capisce perché le analisi effettuate sul cranio dello Starchild hanno lasciato a bocca aperta i genetisti: porta in sé una serie impressionante di mutazioni del genoma mitocondriale. Nel campione esaminato, finora, sono addirittura 93! Il totale previsto- nell’intero genoma- porta ad un numero senza paragoni: 976… Anche ammettendo un margine di errore nella lettura delle sequenze, si arriva comunque a circa 840 variazioni del DNA mitocondriale. Insomma: 720 in più di qualsiasi altro essere umano sulla Terra.
Non solo: le analisi dei denti hanno stabilito che lo scheletro apparteneva non ad un bambino, ma ad un adulto. Nato, dunque, e poi cresciuto e vissuto nonostante queste variazioni genetiche multiple che non avrebbero dovuto permetterne neppure la venuta al mondo.
Questi risultati fanno così affermare ad Lloyd Pye che senza ombra di dubbio lo Starchild non è né un ominide né un pre-sapiens. Ma qualcosa di molto diverso. Il ricercatore americano ipotizza un’unica possibile spiegazione: la provenienza di questa creatura da un altro pianteta. Ed è convinto che l’analisi genetica del DNA nucleare- appena all’inizio- porterà la conferma: Starchild è davvero un Figlio delle Stelle, insomma, un alieno. Staremo a vedere.
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