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La vera storia di Ata, la misteriosa creatura scoperta in Cile

29 Aprile 2013

Un fagotto scoperto tra l’immondizia di una città abbandonata del Cile. Ecco la storia di Ata, la piccola e misteriosa creatura alta poco più di 12 centimetri, al centro di una diatriba tra chi sostiene che sia un essere umano dalle sconcertanti e finora inspiegabili mutazioni genetiche e chi invece insiste nel ritenerlo un alieno.

IL CORPO DELLA MISTERIOSA CREATURA: È GRANDE QUANTO UNA MANO

A raccontarla, è stato l’ultimo proprietario di questa piccola mummia, che deve il suo soprannome al deserto di Atacama e la sua fama al film-documentario “Sirius” appena uscito nelle sale americane. Ramon Navia-Osorio Villar, presidente di un gruppo ufologico denominato “Istituto di Investigazione e Studi di Esobiologia” di Barcellona, dopo vari passaggi di mano è entrato in possesso di quello stranissimo reperto. Sapeva che era stato trovato nelle vicinanza di La Noria,  a 56 chilometri da Iquique, ed è andato ad investigare.

L’autore dell’ eccezionale scoperta, secondo le cronache dei quotidiani locali, si chiama Oscar Muñoz. Faceva il “ferrovecchio”: andava in giro, per le periferie dei centri abitati, alla ricerca di bottoni, pezzi di metallo e altri scarti da rivendere poi nei mercati paesani. Un giorno del 2003, aveva appena infilato la sua pala tra i rifiuti di una vecchia chiesa abbandonata versandone il contenuto nel setaccio, quando vide rotolare qualcosa avvolto in panno e stretto con un fiocco viola.

Aprì l’involucro e  si trovò di fronte ad un corpicino scheletrico, dall’ aspetto mai visto: una testa oblunga e deformata, arti esili, una cassa toracica con nove costole. Emanava un cattivo odore, ma non per la decomposizione: era rimasto a lungo sepolto tra la spazzatura. Muñoz buttò via il panno sporco e lo avvolse in un telo pulito. La notizia si diffuse rapidamente e anche la tv cilena si occupò di quello strano, piccolo umanoide che venne chiamato “l’extraterrestre di La Noria”

Curioso di vedere con i propri occhi il luogo del ritrovamento, poco tempo dopo Navia-Osorio si fece accompagnare nella cittadina-fantasma da un amico cileno. E con sua stessa sorpresa, si imbattè proprio in Muñoz: era tornato tra le rovine della chiesa e gli indicò il punto esatto nel quale aveva recuperato il fagotto. L’ufologo spagnolo contattò poi Ricardo Clotet, il barista che aveva acquistato il piccolo scheletro, e glielo ricomprò: voci non confermate parlano di parecchie centinaia di dollari.

UN DETTAGLIO DELLA TESTA DELLA MINUSCOLA MUMMIA

A partire dal 2004, decise di sottoporre ad esami approfonditi quel reperto biologico per appurarne la reale natura. Incontrò subito molte difficoltà a trovare medici disponibili ad associare i loro nomi a quella presunta creatura aliena: nessuno voleva metterci la faccia ed apporre la propria firma sul rapporto. Anzi, alcuni luminari dell’Università Complutense di Madrid e di altre istituzioni accademiche in privato avrebbero ammesso di trovarsi di fronte a qualcosa di assolutamente unico ed inspiegabile, rifiutandosi però di ripetere le stesse parole in pubblico.

Alla fine, la minuscola mummia venne esaminata da un team di dottori, biologi e zoologi dell’Accademia reale delle Scienze di Barcellona. Navia-Osorio ha reso note due relazioni scientifiche. La prima riguarda l’esame radiologico effettuato da tre dottori: è una dettagliata descrizione della creatura dal punto di vista morfologico, ma non contiene alcuna ipotesi sulla sua origine. Nel rapporto tuttavia i tre escludevano in modo categorico che si trattasse di un falso, come avevano invece ipotizzato i ricercatori della Complutense per i quali quel corpo era stato assemblato con ossa di uccello.

Il secondo documento è invece il rapporto redatto dal dottor Francisco Etxeberria Gabilondo, professore di medicina legale e forense presso l’Università della regione basca, nonchè specialista di antropologia forense presso l’Università Complutense. Per il dottor Etxeberria, quel corpo scheletrito aveva le tipiche caratteristiche di un feto. Scriveva infatti: “Le proporzioni delle strutture anatomiche, il livello di sviluppo di ogni singolo osso e la sua macroscopica configurazione ci permette di identificarlo senza alcuna ombra di dubbio come un normale feto mummificato. Basandosi sulla lunghezza del corpo e delle ossa, si può supporre una gestazione di 15 settimane.”

Nessuna indicazione precisa sulla datazione del reperto. Secondo il medico legale, non sarebbe però molto antico- non nell’ordine di centinaia di anni, per intenderci- ma solo “abbastanza vecchio”. Per l’assenza di flora batterica nel tubo digerente, da dove ha inizio la putrefazione, quel piccolo feto si sarebbe conservato meglio di un corpo adulto. Inoltre, a preservarlo dalla decomposizione sarebbe stato il clima estremamente secco del deserto di Atacama. Senza risposta, ovviamente, anche come poteva essere finito lì, avvolto con cura in un telo, tra i resti di una chiesa abbandonata.

LA RADIOGRAFIA DI "ATA": È UN CORPO VERO, NON UN ARTEFATTO

La parte finale del lungo articolo dell’ufologo spagnolo, pubblicato da un sito argentino (Evidencia Ovni) descrive come sia entrato in contatto con il ricercatore americano Steven Greer, grazie ad una comune amica, una dottoressa di Dallas. Dalla loro collaborazione sono scaturiti quegli ulteriori esami condotti sul misterioso corpicino negli Stati Uniti- gli stessi diventati parte integrante del documentario “Sirius”- dai risultati contrastanti. Perchè se da un lato il biologo molecolare Garry Nolan afferma che Ata sia umano- ma non un feto, essendo vissuto sicuramente qualche anno dopo la nascita- Greer nel film sostiene che il DNA sia di “sconosciuta classificazione”.

Un’opinione, sembra, non completamente condivisa da Ramon Navia-Osorio Villar:  dopo quasi 10 anni di inutili tentativi e di ricerche, mantiene infatti un atteggiamento di estrema cautela. “Io non sono tra coloro che ritengono questa creatura un extraterrestre, anche se dal punto di vista morfologico è assai simile ad alcuni di essi. Non lo possiamo negare, ma prima di dirlo dobbiamo considerare anche altre possibilità. In sostanza, non abbiamo prove conclusive che possano stabilire la reale natura del reperto.”

SABRINA PIERAGOSTINI

 

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