Un pianeta poroso come il polistirolo? Trovato. Uno composto di puro carbonio come un diamante? Anche. Un altro rosa shocking come un bubble gum? Appena scoperto. Eppure l’elenco dei mondi alieni, bizzarri più di quanto la nostra fantasia ha mai potuto immaginare, si è ulteriormente allungato: l’ultimo della lista è una palla di fuoco.
Kepler 78-b dista circa 700 anni luce da noi ed è formato da oceani di lava incandescente. Superfluo aggiungere che non è un candidato ideale ad ospitare la vita: la temperatura superficiale supera i 5 mila gradi Fahrenheit, ovvero oltre 2700 ° C. Non solo: questo pianeta è praticamente incollato alla sua stella, visto che le è vicina 40 volte di più rispetto a quanto non lo sia Mercurio al Sole. Fattore che ne determina una rivoluzione rapidissima: Kepler 78-b la compie in appena 8,5 ore.
Dunque, se fosse mai possibile metter piede su quel mondo tanto anomalo, un anno passato lassù equivarrebbe ad una giornata di lavoro sulla Terra. Ad individuarlo, grazie ai dati del telescopio orbitante Kepler, è stata un’equipe del MIT– il Massachusetts Institute of Technology- guidata da Josh Winn che quasi in contemporanea ha divulgato anche un secondo studio, relativo ad un altro stranissimo pianeta chiamato KOI 1843.03 e trovato lo scorso anno. Ultraveloce ed ancora più appiccicato al suo sole, visto che orbita in appena 4,25 ore terrestri.
Il MIT è ora riuscito a stabilirne anche la composizione: KOI 1843.03 sarebbe interamente composto di ferro. Solo così può resistere alle intensissime forze gravitazionali della sua stella. “Il fatto stesso che possa rimanere al suo posto implica che sia molto denso“, ha spiegato Winn. “Ma come faccia la natura a creare pianeti del genere, è ancora una domanda aperta“, ha concluso.
I due sorprendenti esopianeti sono tra gli ultimi trovati dal telescopio orbitante progettato per catturare i cali di luminosità che coincidono con il passaggio di un corpo celeste davanti ad una stella. Ma ora, dopo circa 3500 mondi alieni scoperti all’attivo, Kepler rischia di andare in pensione prima del previsto, per via di un problema al giroscopio che gli impedisce di puntare i suoi obiettivi con precisione.
Con lui fuori uso, gli astronomi a caccia di pianeti- possibilmente simili alla Terra e nella cosiddetta fascia di abitabilità- si devono affidare alle strumentazioni degli osservatori sparsi sul globo. Nelle scorse settimane, a meritarsi i titoli dei giornali di mezzo mondo è stato Subaru, il telescopio agli infrarossi posizionato sull’isola di Mauna Kea, alle Hawaii, per conto del governo giapponese.
Sue infatti le foto che hanno immortalato un pianeta lontanissimo da noi, nella Costellazione della Vergine, a circa 57 anni luce: GJ 504 b, per l’appunto quel gigante gassoso color fucsia che ha sorpreso gli scienziati. “Se lo sorvolassimo, vedremmo un mondo ancora in fase di formazione, con sfumature che ricordano il colore intenso dei fiori di ciliegio“, hanno detto con un tocco di romanticismo gli astronomi. In effetti, il sistema solare di cui GJ 504 b fa parte è molto giovane: avrebbe solo 160 milioni di anni. Insomma, è un neonato rispetto al nostro che di anni ne ha circa 4 miliardi e mezzo.
Il mondo rosa è il più piccolo mai fotografato da un osservatorio fino ad oggi, ma è pur sempre un enorme pianeta gioviano. Per ora, sperare di scattare l’immagine di una simil-Terra è impossibile: l’odierna tecnologia non è in grado di individuare corpi di quelle dimensioni, anche se gli scienziati stanno facendo progressi nell’ aumentare i contrasti e poter così distinguere i pianeti dalle stelle.
Il Gemini Planet Imager, ad esempio, entro dicembre verrà installato sul telescopio Gemini Sud, in Cile: la nuova ottica inizierà ad analizzare il cielo non più tardi del 2014. Con questo strumento, i cacciatori di mondi alieni contano di analizzare 600 stelle e relativi sistemi solari in due anni.
Sempre l’anno prossimo, poi, verrà realizzata l’ottica adattativa denominata SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet Research) che andrà a potenziare il Very Large Telescope. Inizialmente, obiettivi della ricerca saranno i giganti gassosi- grandi quanto e più di Giove- sparsi per la galassia, per studiarne gli stadi evolutivi.
“Così miglioreremo di una-due volte la capacità di risoluzione dei telescopi”, sostiene Adam Burrows, astronomo presso l’Università di Princeton e coautore dello studio su GJ 504 b. “Certo, ancora non basta per fotografare i pianeti grandi quanto il nostro. Ma è assai probabile che tra 10 o 20 anni saremo capaci di separarli dalla luce emessa dalle loro stelle e di vederli direttamente.”
SABRINA PIERAGOSTINI