COLD CASE 9: Lo strano caso dell’incidente al Passo Dyatlov
5 Febbraio 2014
Il Codice Voynich scritto in un dialetto azteco?
10 Febbraio 2014

“La vita comparsa subito dopo il Big Bang”

7 Febbraio 2014

I Terrestri? Solo gli ultimi, in ordine di tempo, nella lista delle forme di vita comparse nell’Universo. Un altro brutto colpo alla visione antropocentrica  arriva dallo studio di un fisico teorico israeliano, secondo il quale i primi batteri alieni potrebbero essere comparsi appena 15 milioni di anni dopo il Big Bang.

UN'IMMAGINE SIMBOLICA DEL BIG BANG

Ciò potrebbe essere avvenuto anche su pianeti assai distanti dalla cosiddetta Fascia di Abitabilità, perchè a riscaldarli, in quei tempi remoti, sarebbe stato il calore della radiazione elettromagnetica residua emessa durante la formazione del cosmo- fissata dagli scienziati a circa 13,8 miliardi di anni fa. Questa, almeno, è l’opinione espressa da Avi Loeb, professore dell’Università di Harvard, in un articolo pubblicato su ArXiv.org.

Appena dopo il Big Bang- il modello più accreditato dalla comunità scientifica per spiegare lo sviluppo e l’espansione dell’Universo- le temperature erano elevatissime: ovunque, c’era plasma – un gas ionizzato superbollente- che poi progressivamente si è andato raffreddando. La prima luce prodotta da questo plasma è la radiazione cosmica di fondo (abbreviata con la sigla CMBR, dall’inglese Cosmic Microwave Backgroud Radiation) che osserviamo ancora oggi.

La sua attuale temperatura è di 454 gradi Fahrenheit, pari a 270 gradi centigradi sotto lo zero. Ma non è sempre stata così. Nella sua fase di raffreddamento, ad un certo punto ha raggiunto e mantenuto per qualche milione di anni una temperatura compresa tra 0 e +100 °C, quella adatta per la vita. “Quando l’Universo aveva solo 15  milioni di anni, la radiazione cosmica di fondo era calda come una bella giornata estiva sulla Terra. Avrebbe dunque potuto mantenere temperata la superficie dei pianeti rocciosi, se ne esistevano all’epoca. Potevano avere acqua liquida ed essere abitabili, indipendentemente dalla distanza dalla loro stella”, scrive il professor Loeb.

Ma il punto è proprio questo: a quei tempi, c’erano già corpi rocciosi? Secondo la teoria comunemente accettata, le prime stelle si formarono a partire da idrogeno ed elio qualche decina di milione di anni dopo il Big Bang quando ancora non esistevano elementi pesanti necessari, invece, per la formazione planetaria. Loeb, tuttavia, ipotizza che potessero esistere, in questo universo delle origini, tra i 10 e i 17 milioni di anni di età,  rare isole composte da  materia più densa e che stelle massive dalla breve vita potrebbero essersi formate prima di quanto pensiamo.

La loro successiva esplosione avrebbe sparso per il cosmo gli elementi pesanti, dando così vita ai primi pianeti rocciosi. E proprio questi sarebbero i mondi primigeni riscaldati e resi accoglienti dalla CMBR per svariati milioni di anni, duranti i quali la vita avrebbe potuto svilupparsi. A detta del ricercatore, per verificare la sua teoria basterebbe trovare, nella nostra galassia, dei pianeti in orbita attorno a stelle quasi prive di elementi pesanti: sarebbero analoghe ai primi mondi del nascente universo.

LA MAPPA DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO NELL'UNIVERSO

Ma il professor Loeb, in questo modo,  mette anche in discussione il concetto noto in cosmologia come “il principio antropico”. Il testo originale, proposto dal fisico australiano Brandon Carter, afferma: “La nostra posizione nell’Universo è necessariamente privilegiata, nella misura in cui deve essere compatibile con la nostra esistenza come osservatori” . In sostanza, le leggi che regolano il cosmo non possono essere in contraddizione con lo sviluppo della vita intelligente: nel formulare nuove teorie scientifiche, bisogna quindi verificare che siano compatibili con la nostra esistenza.

Pertanto, ammesso che esistano- in un più vasto multiverso– delle regioni nelle quali ci siano leggi fisiche diverse, allora si deve supporre che le creature intelligenti possano esistere solo in un universo identico al nostro, dove i parametri sono esattamente quelli richiesti per permettere la vita come noi la conosciamo. Uno di questi parametri ritenuti essenziali è la cosiddetta costante cosmologica espressa della Teoria della Relatività di Einstein, utilizzata per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo.

Detta anche “energia oscura”, questa costante può essere interpretata come la densità di energia del vuoto. Il ragionamento antropico afferma che potrebbero esistere diversi valori di questo parametro nelle diverse aree del multiverso, ma il nostro universo è stato istituito con la corretta costante cosmologica, che consente a noi di esistere e di osservare il cosmo che ci circonda.

Avi Loeb però non è d’accordo, anzi afferma che la vita avrebbe potuto emergere nell’universo primordiale anche se la costante cosmologica fosse stata un milione di volte superiore. Ciò nonostante, la teoria esposta dal docente di Harvard viene considerata  “stimolante e molto originale”, da altri scienziati. Come il professor Edwin Turner, astrofisico della Princeton University, e il collega Joshua Winn del MIT, interpellati dal sito Space.com.

“Nel nostro campo, è diventata consuetudine definire potenzialmente abitabile un pianeta con una superficie solida e con una temperatura in grado di mantenere l’acqua allo stato liquido”, ha detto Winn. “Sono stati scritti tantissimi articoli sulle esatte condizioni per individuare quei pianeti- che tipo di composizione interna devono avere, che atmosfera, quale campo di radiazione stellare. Avi si è domandato se sono davvero queste le uniche condizioni importanti e se esiste un’altra via per individuarli, come potrebbe essere la radiazione cosmica di fondo.”

IL PROFESSOR ABRAHAM AVI LOEB

Dunque- ammesso che il modello interpretativo avanzato da Loeb sia corretto- la vita avrebbe potuto formarsi praticamente ovunque e praticamente subito, pochi milioni di anni dopo il Big Bang, circa 13, 8 miliardi di anni fa. Sulla Terra, gli organismi unicellulari hanno fatto invece la loro comparsa “solo” 3,8 miliardi di anni fa. Esisterebbe dunque un gap di 10 miliardi di anni, tra noi e quei mondi lontani. La domanda è inevitabile: se quei batteri alieni hanno continuato ad evolvere in forme di vita sempre più complesse, in tutto quel tempo che hanno avuto a disposizione, quale livello di sviluppo possono aver raggiunto?

SABRINA PIERAGOSTINI

 

 

 

 

CATEGORIA: 

TAGS: 

ARTICOLI CORRELATI