Una riserva popolata da animali ormai estinti, riportati in vita da un gruppo di genetisti e di biologi. Non è solo la trama del famoso film “Jurassic park”, ma il progetto reale di un gruppo di scienziati americani. Nelle loro intenzioni, però, non saranno i dinosauri a rivivere in laboratorio, ma il mammut forse sì…
L’idea è venuta ai ricercatori che lavorano al progetto “Revive and Restore”, promosso dalla Long New Foundation, in California. Obiettivo della fondazione è il salvataggio genetico di specie a rischio estinzione e il recupero di quelle già estinte. Sul sito web, si legge infatti: “Il DNA di molte creature non più esistenti è ben conservato nei campioni esposti ai musei e in alcuni fossili. Ora siamo in grado di leggere ed analizzare l’intero genoma.”
Come far rinascere le specie che non esistono più? Trasferendo le informazioni genetiche nelle cellule dei loro parenti più prossimi tuttora viventi: così, l’animale scomparso da decenni, secoli o millenni, tornerebbe alla vita grazie al suo diretto discendente in linea evolutiva. Non solo: il progetto contempla anche il recupero dell’habitat originale nel quale la specie estinta aveva vissuto, per farla sentire “a casa”.
In una intervista al New York Time Magazine, il vulcanico Stewart Brand- presidente e cofondatore del progetto- ha spiegato l’origine di questo suo interesse, diventato quasi un’ossessione: tutto è partito dal desiderio di ripopolare l’America con un volatile estremamente diffuso, fino alla fine dell’800, e poi scomparso nel giro di pochi decenni, ovvero il piccione migratore. L’ultimo esemplare noto è morto nel 1914.
Tre anni fa, con l’aiuto dei biologi George Church ed Edward O. Wilson, l’idea ha preso forma. Se tutto procede secondo i loro piani, il piccione migratore ritornerà a volare. Anche se non subito. A detta di Ben Novak, consulente scientifico della fondazione, la ricostruzione del genoma è a buon punto, ma contano di reintrodurre in natura il volatile, estinto 100 anni fa, entro il 2060.
Da cosa, però, nasce cosa. Il team californiano si è reso conto di quanto entusiastici fossero i commenti durante i convegni che organizzavano per promuovere il loro progetto. “La de-estinzione non era più un concetto, ma una realtà potenziale. Abbiamo capito che potevamo intervenire non solo sul piccione, ma anche su altre specie. C’era così tanto interesse e così tante idee che abbiamo creato la struttura per poterle realizzare”, spiega la moglie di Brand, Ryan Phelan, direttore esecutivo di Revive and Restore.
Nell’elenco dei futuri candidati da resuscitare in laboratorio, compaiono l’orso grizzly della California, il parrocchetto della Carolina, la Tigre della Tasmania, la vacca marina di Steller (un grosso mammifero acquatico) e l’alca impenne (un tipo di pinguino), tutti animali scomparsi tra il XVIII e il XX secolo. Ma tra gli obiettivi della Fondazione, ci sono persino animali preistorici, come ad esempio il mammut, estinto da qualche migliaio di anni.
Il pachiderma del passato, coperto da una folta pelliccia e con lunghe zanne ricurve, potrebbe ripopolare le stesse aree che abitava un tempo. Il piano di Brand contempla infatti di ricollocare i mammut in una riserva, in Siberia, chiamata “Pleistocene Park”, creata dallo scienziato russo Sergey Zimov. “Li riporteremo in vita per ripristinare la steppa dell’Artico. Uno o due mammut non è un successo, 100 mila sì”, ha detto al magazine. Il pascolo di questi elefanti lanosi favorirebbe la crescita di una varietà di erbe, proteggendo il permafrost artico dalla fusione.
A spingere la fondazione c’è infatti un forte intento ambientalistico. Il concetto di base è questo: come la perdita di una specie indebolisce l’ecosistema, così il reinserimento in natura di una specie estinta dovrebbe sortire effetti opposti. Ma non tutti i biologi concordano. Anzi, molti considerano la de-estinzione non solo troppo costosa, ma persino un azzardo. Le specie riportate in vita potrebbero diventare veicoli di malattie sconosciute. E in ogni caso, gli animali creati in laboratorio- utilizzando cellule di esemplari viventi geneticamente diversi– non sarebbero veri cloni.
Ma la strada ormai sembra aperta. In altre parti del mondo, altri team di ricerca sono al lavoro: un consorzio di studiosi europei è impegnato nel Progetto Uruz, nel tentativo di creare una sottospecie bovina che assomigli all’ uro– scomparso nel 1627- mentre il Progetto Lazarus dell’Università di New Castle sta riportando in vita un tipo di rana australiana estinta 30 anni fa. Per nostra fortuna, nessun laboratorio potrà far rinascere un dinosauro. Ma solo perchè è impossibile recuperare un DNA tanto antico…
SABRINA PIERAGOSTINI