La notizia ha già messo in fibrillazione tanto gli appassionati di archeologia alternativa quanto gli scettici più convinti. A scatenare- per opposti motivi, ovviamente- tutta questa agitazione, è stato l’annuncio lanciato in rete da un ricercatore fai-da-te che avrebbe tra le mani un test del DNA sconvolgente. Oggetto della sua analisi, i famosi crani allungati di Paracas.
Il ricercatore in questione si chiama Brien Foerster. Nel suo curriculum vanta alcuni libri scritti sull’argomento e una recente nomina ad assistente del direttore del Museo di Storia di Paracas, dove questi strani reperti sono conservati. A scoprirli, quasi un secolo fa, era stato il più importante archeologo del Perù, Julio Tello.
Durante una campagna di scavi nella penisola che si estende a sud della capitale Lima, alla fine degli anni ’20 del secolo scorso Tello riportò alla luce un’ antica necropoli. Nelle tombe erano sepolte intere famiglie: i corpi, in posizione seduta, erano avvolti da strati e strati di tela, intessuta a mano, di straordinaria fattura. Ma l’elemento più sorprendente, furono quei teschi deformati e straordinariamente allungati, appartenuti ad individui che la scienza definisce “dolicocefali“.
L’archeologo era convinto che quell’insediamento fosse legato alla civiltà Chavin e quindi datò i reperti scoperti in quell’area (resti umani inclusi) tra il 750 a.C e il 100 d.C. Una datazione non suffragata da altre evidenze scientifiche: all’epoca, l’esame del C14 non era stato neppure inventato. Ma l’autorità di cui godeva Julio Tello era tale che la sua ipotesi venne accettata in ambiente accademico e lo è tuttora.
Per quanto insolite, anche quelle teste abnormi trovarono subito una spiegazione: si trattava di alterazioni volontarie praticate per motivi sociali o rituali. Un uso molto diffuso tra le popolazioni di Messico, Perù e Bolivia, ma non solo: ne è stata trovata testimonianza in diverse culture dell’Africa (in Egitto, in Congo e in Sudan), in Russia, a Malta e in Polinesia. Il primo a parlarne, in un trattato, fu il medico greco Ippocrate, che tra i popoli dell’Asia citava anche i ” Macrocefali”.
In Centro e Sud America la pratica consisteva nel legare con strette bende, attorno alle teste dei neonati (sembra fino ai 3 anni di età), due tavole di legno- una sulla fronte, l’altra sulla nuca. L’osso cranico si consolidava deformandosi in modo permanente. Avere un cranio allungato in modo innaturale era considerato un segno di distinzione tipico di un determinato gruppo sociale- di solito, dominante.
Ma i dolicocefali hanno sempre affascinato i ricercatori alternativi, che hanno spesso visto in essi il segno di un contatto con civiltà misteriose, forse neppure di questo pianeta. Non fa eccezione Foerster, che da anni sta indagando sui reperti peruviani che tra l’altro sembrano avere caratteristiche sui generis. A partire dalle dimensioni fuori misura.
“La deformazione cranica volontaria cambia la forma, ma non il volume. Invece, Tello ha trovato numerosi teschi che hanno un volume più ampio del normale, alcuni anche il 25 per cento oltre il consueto. Come è possibile?”, si chiede nel suo sito e nei video visibili su Youtube. Non solo. Sostiene che essi presentino anche altre anomalie morfologiche: innanzi tutto avrebbero un unico osso parietale, anzichè due, e mostrerebbero due piccoli fori nella parte posteriore della teca cranica.
Brien Foerster ipotizza così che in questo caso le deformazioni abbiano una origine genetica. Qualche mese fa, il direttore- nonchè proprietario- del museo privato che ospita i crani di Paracas lo ha autorizzato a prelevare alcuni campioni da esaminare. Nell’agosto 2013, sono stati inviati ad un laboratorio genetico del Texas, tramite Lloyd Pye, il ricercatore scomparso lo scorso dicembre che ha legato il suo nome allo Starchild– altro cranio decisamente anomalo. Qualche settimana fa, Foerster- via internet- ha reso noti i primi, parziali risultati dei test genetici. Ed è scoppiato un putiferio. Basta leggere queste righe, per capire perchè.
“Qualunque sia la provenienza del campione 3A, esso presenta un DNA mitocondriale con mutazioni sconosciute finora in ogni essere umano, primate o animale. I dati sono molto lacunosi e servono molte altre sequenze prima di completare l’intero DNA. Ma i pochi frammenti che ho recuperato da questo campione 3A indicano che, se queste mutazioni verranno confermate, abbiamo a che fare con una creatura simile all’uomo, ma assai distante dall’Homo Sapiens, dal Neanderthal e dal Denisova.
Non è certo neppure se potrà avere un posto nell’ albero evolutivo a noi noto. La questione è: se erano così diversi, avrebbero potuto non incrociarsi con gli umani. Si sarebbero accoppiati all’interno del loro piccolo gruppo. Potrebbero essersi degenerati per via della consanguineità. Ciò spiegherebbe i bambini sepolti.” Nessun esplicito riferimento ad una natura extraterrestre, dunque, ma il cenno ad una possibile specie umana sconosciuta e radicalmente diversa dalla nostra è bastato a far scatenare il web.
Innanzitutto, chi è il genetista che ha effettuato i test? L’allusione al laboratorio texano ha fatto balzare sulla sedia molti scettici, che hanno subito pensato alla dottoressa Melba Ketchum, la veterinaria che nel 2012 ha affermato di aver sequenziato il DNA del Bigfoot. Uno studio che nessuna rivista scientifica ha voluto accettare e che alla fine è stata pubblicata- senza la normale procedura del peer review, ovvero la revisione dei pari- da un giornale online creato apposta per ospitare l’articolo della Ketchum.
La ricercatrice non ha mai fornito, per una controanalisi, i reperti che ha utilizzato per identificare il genoma dell’ Uomo-scimmia (a suo dire, un ibrido tra un ominide sconosciuto e l’Homo Sapiens) e dunque i suoi proclami sono stati respinti in toto dalla comunità scientifica. C’è la discussa dottoressa dietro al DNA dei teschi peruviani? In un primo momento, Foerster lo ha praticamente confermato, per poi fare marcia indietro e negare che l’esperto di genetica sia proprio la Ketchum. Ad oggi, l’autore del test è anonimo.
Una procedura non canonica, così come è irrituale anticipare i risultati (tra l’altro tanto parziali) di un esame del genere sul web e non tramite una pubblicazione scientifica. Da parte sua, lo scrittore americano ha risposto di aver solo diffuso l’esito preliminare per coloro che fin dall’inizio avevano seguito il suo progetto. “I dati ufficiali sono in arrivo, ma potrebbero servire mesi. L’esame peer review verrà ovviamente preso in considerazione, ma queste informazioni appartengono al mondo, non solo agli accademici”, ha scritto.
Quello che gli scettici però proprio non perdonano a Foerster è la sua mancanza di competenza specifica. Non è un antropologo, non è uno storico, non è un docente universitario: non ha dunque nessun titolo per occuparsi di questi strani crani e le sue affermazioni non sono, già per questo, credibili. Non solo: dai crani di Paracas trae guadagno, con i suoi libri e con il tour promosso tra i siti archeologici del Perù. Dunque, da un annuncio tanto clamoroso non può che ottenere un vantaggio personale.
Un coro di critiche e di accuse alle quali si contrappone, al contrario, l’attesa spasmodica di chi crede, invece, che da quei test, prima o poi, arriverà un risultato clamoroso in grado di scuotere dalle fondamenta le nostre certezze. Insomma, da un lato c’è chi vorrebbe bruciare- metaforicamente, s’intende- l’eretico Foerster e chi invece prende per oro colato il suo annuncio. Forse varrebbe la pena di fermarsi un attimo e di attendere qualche dato più concreto. Insomma, cautela. La stessa dimostrata da un colosso dell’archeologia misteriosa, Graham Hancock.
Commentando il can-can esploso sul web per le dichiarazioni di Brien Foerster, ha scritto:”Ho molti dubbi in merito a questa storia… Non abbiamo dettagli sul laboratorio che ha fatto i test e anche nelle notizie che stanno riscuotendo tanta attenzione si sottolinea che sono risultati preliminari. Aspettiamo di vedere queste scoperte di persona e cerchiamo di avere più dettagli, prima di agitarci.
Ciò detto, di specie umane precedentemente sconosciute ne sono state scoperte di recente (il Denisova, il Floresiensis), dunque: chi lo sa? È sempre bene tenere la mente aperta, ma al momento temo che l’intera questione dei crani di Paracas possa gettare un grande discredito sulla storia alternativa. Spero proprio di sbagliarmi”.
SABRINA PIERAGOSTINI