“Non mi interessa sapere cosa vogliono, mi bastano le informazioni che mi hanno dato”. A parlare, è Jean-Pierre Petit, una delle figure più controverse, discusse e affascinanti del panorama scientifico internazionale. Le informazioni alle quali fa riferimento sono quelle che gli hanno permesso di costruire un modello interpretativo dell’universo alternativo a quello corrente. Tutto merito- sostiene lui- di un gruppo di Alieni con i quali sarebbe in contatto da moltissimo tempo.
Ingegnere aeronautico e astrofisico con un curriculum di altissimo profilo, è una delle personalità coinvolte nel famoso “Caso Ummo”. Questa la storia in estrema sintesi: verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, lo spagnolo Josè Jordan Peña affermò di aver visto atterrare un UFO che recava sulla sua superficie un segno particolare- tre linee verticali ricurve unite da una orizzontale- simile al simbolo con cui si raffigura in modo stilizzato Urano. Poco dopo, Fernando Sesma Manzano, fondatore di un’associazione ufologica, ricevette le prime lettere dattiloscritte contrassegnate dal medesimo simbolo.
Gli autori dicevano di provenire da un pianeta extrasolare di nome Ummo e di essere giunti sulla Terra in missione, con lo scopo di dare informazioni scientifiche all’umanità. Con il passare del tempo, il numero dei destinatari di quelle lettere si allargò e i contenuti si fecero più filosofici. A riceverle, fu anche lo scienziato francese. Molti già sospettavano che tutta la storia fosse solo una bufala, anche tra gli ufologi, fino a quando, nel 1993, lo stesso Peña ammise di essere stato lui l’autore di quei testi. Insomma, era tutto un grosso imbroglio. Eppure, nonostante questa confessione, Petit non ha mai fatto marcia indietro.
Anzi, ha ribadito di credere fermamente che quelle informazioni siano davvero di origine extraterrestre. A partire dal 1990 nei suoi libri ha parlato dei suoi contatti con gli Ummiti, sostenendo che da loro abbia tratto ispirazione per sviluppare le sue nuove teorie. Affermazioni che gli hanno fatto guadagnare l’ostracismo del mondo accademico: per tutti, Petit è diventato “l’astrofisico ufologo”, una definizione usata non certo come complimento. Ma ha trovato il modo di divulgare comunque le sue idee, anche utlizzando i fumetti da lui stesso realizzati per spiegare nel modo più semplice possibile quei complicati concetti di fisica e astrofisica.
Ho incontrato Jean-Pierre Petit a Firenze, ospite del convegno ufologico organizzato dal GAUS lo scorso novembre. Anche in quella occasione, ha illustrato il suo concetto di cosmo, elaborato nel modello da lui denominato Janus, ovvero Giano, come il dio bifronte della mitologia romana, che guarda al passato e al futuro contemporaneamente. Petit contempla infatti l’esistenza di due universi gemelli, uno speculare all’altro, con le frecce del tempo che vanno in direzione opposta. La teoria, sviluppata a partire dal lavoro del fisico russo Andrej Sakharov (secondo Petit, anche lui tra i destinatari delle lettere ummite), è nata nel 1977 come modello non relativistico. Nel 1988, Petit ha poi introdotto il concetto di velocità variabile della luce in cosmologia, lasciando invariate le leggi della fisica.
Nel 1994, le due idee sono state integrate in un’unica visione. Più di recente, l’aggiunta della teoria dei gruppi dinamici ha spiegato perché l’inversione temporale vada di pari passo con l’inversione di energia e di massa. Concetti inarrivabili per chi non vive di matematica, ma complessi anche per gli esperti del settore, visto che lo stesso scienziato francese riconosce: “Da solo, non ci sarei mai arrivato. Impossibile elaborare queste teorie da terrestre.” E anche se ormai il caso Ummo è stato archiviato come una clamorosa truffa, Petit sostiene invece che è tutto vero. Di più: che la sua esperienza con creature di altri mondi ha avuto inizio molto tempo prima e che prosegue tuttora.
“Sono coinvolto in un caso di contatto con uno o più gruppi alieni. La mia è una lunga storia, è iniziata nel 1947, quando avevo 10 anni. Ed è andata avanti fino ad ora. Di solito gli uomini, quando vivono esperienze del genere, non sanno cosa pensare e si rifugiano nella religiosità. Io invece ho reagito da scienziato”, ha detto al pubblico del convegno fiorentino. E durante una pausa, mi ha rivelato alcuni aneddoti che proverebbero, ancora oggi, la presenza nella sua vita di entità misteriose.
Nel 1988, un pomeriggio si addormentò così profondamente da svegliarsi solo dopo 12 ore filate di sonno. Con suo stupore, trovò un segno sul ventre- come una cicatrice– che non ricordava di essersi procurato. Non ci pensò più, fino al giorno in cui- circa 8 anni fa- dovette sottoporsi ad un intervento di ernia addominale. Il medico, vedendo quella cicatrice, decise di incidere per capirne l’origine ed estrasse dal suo corpo una pallina bianca gelatinosa. La mostrarono a Petit e gli dissero che l’avrebbero mandata in laboratorio per analizzarla. “Bè, ovviamente, non l’ho più vista. A quanto pare, è sparita”, ha raccontato.
E ancora, due anni fa, l’ultima “visita” dei suoi amici extraterrestri: ”Me li sono trovati in casa, erano in tre: due mi hanno tenuto fermo per le braccia, mentre un terzo mi ha fatto un check-up con uno strumento che mi ha irradiato. A quanto pare, è andato tutto ok, sono in forma!”, ha detto sorridendo. Ma chi sono, cosa vogliono, quali intenzioni hanno? Petit non si pone il problema. “Non mi interessa. Mi vengono a trovare da quando sono bambino, mi bastano le informazioni che mi hanno dato,” ha risposto scrollando le spalle. Ma una sua ipotesi sul perché di queste visite aliene se l’è data e l’ha offerta anche a noi.
Per Petit, da tempo è iniziato nei nostri confronti un tentativo per innalzarci e migliorarci, condotto su due piani: alcune razze aliene stanno provando la strada dell’ibridazione biologica (così si spiegano, secondo lui, le abduction e i prelievi forzati di DNA), mentre altre preferiscono tentare l’ibridazione culturale. Così avrebbero fatto gli Ummiti, inviando nozioni avanzate ad un ristretto numero di individui prescelti, per vedere come avrebbero reagito gli esseri umani di fronte a quelle informazioni scientifiche. “L’esito di questo esperimento? Pari a zero, purtroppo. Le informazioni sono rimaste circoscritte a un piccolo gruppo di persone”, ammette sconsolato.
SABRINA PIERAGOSTINI