E alla fine è arrivato lui, il non plus ultra della tecnologia ad oggi disponibile per osservare il cosmo. Dopo mesi di rinvii, il James Webb Space Telescope – frutto della collaborazione tra NASA, ESA ed Agenzia Spaziale Canadese- è stato finalmente messo in orbita: un regalo di Natale, visto che il lancio è avvenuto il 25 dicembre 2021 dalla Guiana Francese. Tutto è proceduto senza intoppi e secondo le previsioni il mega telescopio a fine gennaio raggiungerà la sua destinazione finale, a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, protetto dalla luce diretta del Sole per non danneggiare i suoi preziosissimi occhi elettronici.
IL JAMES WEBB SPACE TELESCOPO NELLO SPAZIO
Infatti il più grande telescopio spaziale mai costruito finora, dal costo di 10 miliardi di dollari, deve operare a temperature bassissime perché la sua ottica avanzata possa fotografare tutto quello che vede attorno a sé nel raggio di miliardi di anni luce. Dovrà esaminare il cielo nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso- come una telecamera in visione notturna. Il JWST non è certo il primo telescopio che utilizza questa tecnologia, ma è il più potente: è 60 volte più sensibile dello Spitzer, appena andato in pensione, e secondo la NASA sarebbe in grado di rilevare un calabrone alla distanza che separa la Terra dalla Luna. Riuscirà così ad individuare tutti gli oggetti che emanano il minimo calore, dal più piccolo asteroide alla più lontana galassia di cui si coglie solo un tenue bagliore. Capacità, quest’ultima, che farà del James Webb una sorta di macchina del tempo che ci porterà idealmente indietro fino alla fase immediatamente successiva al Big Bang per capire come si è formato l’Universo e perché è diventato quello che è adesso.
IL TELESCOPIO IN FASE DI COSTRUZIONE:
Ma indubbiamente i ricercatori ripongono molte aspettative anche su un altro “talento” del super telescopio: sarà in grado di immortalare anche remoti mondi alieni. Come ricorda l’astronomo capo del progetto SETI, Seth Shostak, dal 1995 ad oggi sono stati individuati più di quattromila esopianeti, ma pochissimi sono stati fotografati. Il Webb promette di fare meglio: potrà scattare le immagini di pianeti di medie dimensioni, due o tre volte più grandi della Terra. E da quelle foto, per quanto sgranate, si potrebbe ricavare la struttura chimica delle loro atmosfere. «Avrà un tremendo impatto sulla ricerca della vita extraterrestre perché potrà studiare con dettagli senza precedenti l’atmosfera di migliaia di pianeti extra solari che fluttuano nella galassia. Cambierà tutte le carte in tavola», ha dichiarato alla rivista Newsweek Claudia Maraston, docente di astrofisica presso l’istituto di Cosmologia e Gravitazione Universale dell’Università di Portsmouth, in Gran Bretagna.
IL NUOVO TELESCOPIO ANALIZZERÀ LA CHIMICA DELLE ATMOSFERE EXTRATERRESTRI
Il nuovo telescopio si concentrerà sui candidati più interessanti, ovvero i mondi di struttura rocciosa collocati nelle fasce di abitabilità delle loro stelle (vale a dire nelle aree in cui la temperatura appare quella ideale per evitare che l’acqua evapori o ghiacci). Su queste “simil-Terre”, il James Webb cercherà di evidenziare la presenza dei mattoni base della vita– ossigeno, azoto, carbonio. Il suo primo obiettivo sarà il sistema solare scoperto attorno alla stella Trappist-1, ad “appena” 39 anni luce da noi, formato da ben 7 pianeti rocciosi, tre dei quali posizionati alla giusta distanza dal loro Sole e che sembrano avere buone chance di ospitare la vita. Nel primo anno di attività, poi, analizzerà anche le atmosfere di Titano, Europa ed Encelado, le lune di Giove e Saturno che presentano sotto la loro crosta ghiacciata vaste distese di acqua e che potrebbero nascondere qualche sorpresa.
IL SISTEMA DI TRAPPIST-1: ALMENO TRE PIANETI SONO POTENZIALMENTE ABITABILI
Grazie alla sua vista agli infrarossi, il telescopio spaziale di ultima generazione potrà “bucare” le nubi e vedere di cosa è composta l’atmosfera dei satelliti naturali vicini a noi o dei pianeti al di là del nostro sistema solare usando la tecnica chiamata “spettroscopia di trasmissione”: comporta l’osservazione degli esopianeti mentre passano davanti alle loro stelle e la misurazione della luce stellare che viene filtrata attraverso le loro atmosfere, al fine di conoscere le composizioni chimiche. Infatti tutte le molecole e tutti gli atomi assorbono ed emettono la luce a una frequenza diversa e specifica, definita per l’appunto “spettro”, unica come un’impronta digitale. Osservando gli spettri delle atmosfere extraterrestri, i ricercatori prevedono di poter misura la quantità delle varie sostanze chimiche presenti.
OGNI ATOMO EMETTE UNA PROPRIA FREQUENZA LUMINOSA DETTA “SPETTRO”
Il Webb dovrebbe così scovare la presenza di sostanze chimiche che potrebbero rivelare tracce di attività biologica. «Se alcune molecole, come l’anidride carbonica e il metano, sono abbondanti, questo indicherebbe che si sta verificando una chimica non in equilibrio”, ha detto al magazine Sean Brittain, a capo del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università del Sud Carolina. «Vuol dire che ci deve essere un processo che produce queste molecole in uno stato stazionario poiché non tendono a sopravvivere l’una vicino all’altra. Ciò potrebbe significare che lì c’è vita». Un segnale importante, tuttavia non sufficiente. Come molti astrobiologi sottolineano, saranno poi necessarie le analisi dirette delle biosfere per confermare o meno l’abitabilità di un mondo alieno. «Dovremo attendere le missioni di generazione futura, anche se i risultati ottenuti dal James Web saranno cruciali per definire i prossimi obiettivi. Non dimentichiamoci che ci sono miliardi di stelle nella Via Lattea e abbiamo necessità di mirare il bersaglio giusto», ricorda la dottoressa Maraston.
IL JWST TROVERÀ I BERSAGLI ADATTI A FUTURE MISSIONI
Missioni che andranno alla ricerca delle cosiddette “biofirme”, ovvero di quegli elementi che possono dimostrare l’esistenza di vita, passata o presente. Come trovare l’ossigeno e l’acqua o la combinazione di ozono e vapore acqueo o di metano e ossigeno nella stessa atmosfera.. Sfortunatamente, il JWST non è stato progettato esplicitamente per individuare le biofirme: potrebbe riuscirci solo con i mondi più vicini e solo se questi avessero una giusta combinazione di gas nella loro atmosfera e non fossero troppo nuvolosi. Insomma, ci vorrebbe molta fortuna. Tuttavia, già poter conoscere gli elementi chimici costitutivi di queste atmosfere lontane sarà un grande passo avanti per capirne l’abitabilità e per comprendere la gamma di pianeti adatti alla vita. «Il viaggio del Webb è appena iniziato e continuiamo a trovare sempre più esopianeti- chiosa la ricercatrice Knicole Colón del Goddard Space Flight Center della NASA- per questo non vedo l’ora di sapere cosa imparerà il telescopio mentre esplora le atmosfere di mondi lontani conosciuti o non ancora scoperti».