È guerra aperta tra il Ministero delle Antichità Egizie e la Germania. Questa volta a scaldare gli animi non sono le rivendicazioni del governo del Cairo per il busto di Nefertiti conservato a Berlino, ma le accuse contro dei ricercatori indipendenti tedeschi ritenuti responsabili di aver trafugato dei reperti dalla Grande Piramide della piana di Giza.
I DUE ARCHEOLOGI DILETTANTI TEDESCHI FINITI SOTTO ACCUSA
Il caso è esploso nei giorni scorsi e sta avendo grande eco sui principali mezzi di informazione egiziani. L’ondata di indignazione si é sollevata dopo la denuncia del furto commesso lo scorso aprile durante una visita nella Camera del Re: in quel frangente, l’archeologo dilettante Dominique Goeritz ha raschiato qualche frammento dal cartiglio del faraone Khufu – per noi, Cheope- dipinto sul soffitto di un comparto sovrastante la Camera del Re. Esisterebbe anche un video che mostra l’operazione, ora rimosso da Youtube.
A maggio, quei minuscoli campioni sono stati consegnati ad un laboratorio di Dresda, il Fresenius Institut, per stabilirne la datazione precisa. Per gli egittologi, infatti, quel nome tratteggiato in pittura rossa prova in modo certo che ad edificare la colossale costruzione fu davvero il secondo sovrano della Quarta Dinastia verso il 2500 a.C. Ma altri studiosi alternativi – il piú celebre, Zecharia Sitchin- lo ritengono invece un falso realizzato proprio durante la prima esplorazione della piramide ad opera del colonnello inglese Howard-Vyse nel 1837 e ipotizzano che in realtà la piramide sia molto più antica.
É questa l’opinione anche di Goeritz, archeologo sperimentale, scrittore e docente, noto in Germania per la sua teoria del “marinaio preistorico”: secondo lui, già nell’età della pietra i nostri antenati erano in grado di navigare nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico con imbarcazioni di giunco intrecciato e quindi, grazie a questi viaggi, in epoche remote culture geograficamente lontane hanno potuto incontrarsi e influenzarsi a vicenda. Una specie di “villaggio globale” ante litteram.
LA PIANA DI GIZA E LE SUE TRE PIRAMIDI
Nella spedizione in Egitto, lo ha accompagnato un altro personaggio piuttosto famoso e discusso in Germania: Stefan Erdmann, teorico del complotto. Nei suoi libri mescola le tesi di Erich Von Daeniken sulla origine extraterrestre della civiltà umana (a dimostrarlo, ci sarebbero le grandi costruzioni del passato come appunto le piramidi) con ipotesi storiche decisamente poco ortodosse: a suo avviso, ad esempio, dietro ai personaggi biblici Davide e Salomone si celerebbero in realtà i faraoni Tutmosis III e Amenophis III.
Abbastanza per far infuriare il Ministro delle Antichità Egizie che ha chiesto all’Interpol l’espulsione dei ricercatori “eretici” ed ha aperto un’inchiesta per furto. In una conferenza stampa, il responsabile del dipartimento Mohamed Abdel Maqsoud ha smentito punto per punto le teorie di Goeritz e Erdmann, definendole assurde, citando tutte le prove documentarie ed archeologiche che confermano- senza ombra di dubbio- che fu proprio Cheope ad ordinare la costruzione della piramide a scopo funerario. “Non é una cava dalla quale qualsiasi dilettante possa prelevare dei frammenti, a suo capriccio”, ha tuonato.
I tre tedeschi ( l’identità del terzo uomo non è chiara) nel frattempo sono tornati in patria e respingono le accuse di furto. “Abbiamo solo svolto una ricerca, non capisco questa reazione indignata”, ha detto Dominique Goerlitz senza rivelare da chi abbia ottenuto i permessi per esplorare la Camera del Re. “Evitiamo di gettare altra benzina sul fuoco…”, ha aggiunto.
Lo rivela invece l’agenzia di stampa egiziana Mena: gli archeologi fai-da-te avevano ottenuto l’autorizzazione dal Supremo Consiglio per le Antichità tramite una compagnia turistica che organizza le escursioni nei siti. Il primo permesso risale al 17 aprile e riguardava sia una visita nella Tomba degli Uccelli, nel cimitero ovest di Giza, sia alla Grande Piramide. A giugno, poi, un altro via libera per una seconda visita nella stessa tomba. Ma ovviamente non erano autorizzati né il video né i prelievi di materiale. Ecco perché é stato ritenuto responsabile l’ispettore dei beni culturali che li accompagnava e che non ha vigilato. Sarà lui, probabilmente, a pagare il conto più salato.
IL CARTIGLIO DIPINTO CHE ATTRIBUISCE LA GRANDE PIRAMIDE AL FARAONE CHEOPE
L’impresa di Goerlitz e Erdmann potrebbe però non portare al risultato sperato. Contattato dal giornale Die Welt, il portavoce del laboratorio di Dresda, Bernd Mehkich, oltre a giustificarsi sull’origine dei campioni (“Per noi erano solo delle briciole dentro un sacchetto”, ha dichiarato) ha anche prospettato un possibile fallimento delle analisi: i frammenti sono così piccoli che non sarebbe neppure possibile sottoporli all’esame del radio carbonio. Nessuna datazione, dunque. E nessuna clamorosa scoperta.
SABRINA PIERAGOSTINI